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Giugno 2010

Lombardia, Malpensa, un museo e una bolla di sapone

Scrivo questo post dall’onirica seduta consigliare della Regione Lombardia in quel di Malpensa. L’ennesima trovata pubblicitaria che più volte ho contestato e che costa come qualche buona borsa di studio per i figli dei disoccupati dello scalo varesino che vorrebbe fare il milanese. A dire il vero non abbiamo nemmeno la soddisfazione di essere dentro lo scalo (eppure ci sono passati in tanti: passeggeri al di sotto delle previsioni, lavoratori in inesorabile e costante calo e alcuni uomini della cosca Farao-Marincola come ha perfettamente illustrato il PM Venditti), il Consiglio è stato accampato nel museo Volandia. Ecco, in trasferta non si poteva che atterrare in un museo con il nome di un parco dei divertimenti (museo, tra l’altro da vedere, ma con i propri figli e non con Formigoni e la Giunta al seguito).
Sfilano le ovvietà su danni o benefici (dipende solamente dal colore politico dell’oratore ma i fatti raccontati magicamente sono identici) di un aeroporto che voleva essere una rivoluzione ed è stato un goffo harakiri. Intanto fuori hanno appena condannato Dell’Utri (o forse sarebbe meglio dire questa nostra Seconda Repubblica), e già sulle agenzie si legge il solito ring. La sensazione è di essersi rinchiusi in una bolla di sapone nemmeno troppo divertente mentre saremmo chiamati per rispetto ad essere fuori. Non qui.

Visite nelle carceri lombarde: Opera

Durante la campagna elettorale ho affermato più volte che avrei guardato con attenzione a tutte le situazioni di difficoltà e, tra queste, ovviamente rientra anche quella carceraria.

È per questo motivo che ho deciso di condurre visite ispettive in ogni carcere lombardo.

Devo ammettere che spesso non è semplice essere obiettivi e lucidi nell’analisi delle case di reclusione, soprattutto per persone che, come me, si ritrovano a intravedere, al di là delle sbarre, associati delle famiglie mafiose che vogliono eliminarle.

Il carcere di Opera è per la sua stessa struttura un ambiente asettico e anonimo. All’interno i colori si spengono quando lo sguardo incrocia le sbarre.

Ho percorso i corridoi, ho visto le celle, i passeggi dove i detenuti usufruiscono delle ore di aria, le mense, i laboratori e gli ambulatori. Ho visto facce, uomini dietro le sbarre e uomini con la divisa che vivono con estrema difficoltà la lontananza da casa, il lavoro recluso e una paga irrisoria.

Mentre osservavo tutto questo mi sono chiesto dove potessero posizionarsi gli slogan sulla sicurezza di questo governo, in quale recondito luogo della dignità dovesse inserirsi la vittoria di una struttura penitenziaria che riesce a far coabitare in una cella (di grandezza circa 3×2,5) “solo due detenuti”. Mi sono chiesto quale concetto di sicurezza abbiano coloro che ritengono necessaria l’apertura di nuove carceri come unica soluzione al sovraffollamento delle stesse.

Il problema sicurezza è strettamente legato alla situazione carceraria, che senza un reale apporto per il reinserimento dell’individuo è assolutamente inutile oltre che incostituzionale (art.27 Cost.). Il lavoro all’interno del carcere di Opera è ben strutturato, ma non è sufficiente. Sono necessari più laboratori, psicologi, educatori e agenti.

Eppure il governo della sicurezza non ha aumentato i fondi per le strutture ed il personale penitenziario. Ad Opera, inoltre, la struttura sanitaria interna a breve non sarà più in funzione per un passaggio di competenza alla Regione, che sicuramente dilungherà i tempi delle visite ed aumenterà i costi.

Non si può ritenere che le spese per i detenuti e per le case di reclusione siano inutili. Un uomo in carcere deve poter mantenere sempre la sua dignità e deve poter accedere a tutti gli strumenti che gli possano servire per il reinserimento nella società. Una politica che non si interessa di queste problematiche è una politica criminale, punitiva e medioevale, che non merita rispetto in un paese costituzionalmente orientato.

C’è un particolare che mi ha colpito molto in questa visita. Ad Opera sono reclusi colpevoli di ogni tipo di reato contro la persona e contro il patrimonio. Eppure una domanda mi è balzata alla mente: ma tutti i “colletti bianchi” che si situano in quella zona grigia della criminalità organizzata dove sono? Come mai c’è una categoria di colpevoli che riesce sempre a sfuggire alle maglie della reclusione? Forse tutte le riforme legislative di questi ultimi anni hanno avuto lo scopo di punire spacciatori, immigrati e ladruncoli e hanno perso di vista corruttori e frodatori? Sono convinto che non possa essere così perché, altrimenti, saremmo al cospetto di un governo schizofrenico.

Talvolta sento urlare allo scandalo per le condizioni in cui vivono i reclusi sotto regime di 41 bis. Oggi li ho visti nelle loro celle. Non mi sembra che possano essere considerati detenuti uguali agli altri e non ritengo che vivano in una situazione disagiata e terribile. Spero solo che tutto questo vocio non porti alla distruzione di questo regime speciale, che è stato ampliato dopo la strage di Capaci. Sebbene nessuno possa essere privato della dignità personale, ritengo doveroso che lo Stato utilizzi un trattamento carcerario differente per chi volutamente ha calpestato non solo la dignità di molte persone, ma ha vissuto in una società parallela guidata da regole proprie, che non ha mai riconosciuto le istituzioni se non quando le ha usate per patti, affari e compromessi.

Vi terrò aggiornati sulle prossime visite sperando di potervi illustrare situazioni sempre adeguate al rispetto dei diritti umani.

Un ministero con un prezzo altissimo: la decenza

Sono molti e diversi i motivi per cui Brancher ministro dovrebbe accendere rigurgiti insopportabili e non sopportati da un Paese che ha perso il gusto del risveglio: la storia di Brancher, innanzitutto, è un sentiero di ombre che mette le radici nelle pieghe di quella Prima Repubblica che è stata “riciclata” piuttosto che essere confiscata e riassegnata ad uso sociale.

Aldo Brancher è sempre stato ad un soffio dalla quasi condanna grazie all’uso spregiudicato delle pieghe “garantiste” e rassicuranti della politica dell’impunità: detenuto per 3 mesi nel carcere di San Vittore, fu uno dei pochissimi inquisiti di Mani pulite a ricevere solidarietà dall’ambiente esterno: lo rivelò il suo datore di lavoro Silvio Berlusconi raccontando che “quando il nostro collaboratore Brancher era a San Vittore, io e Confalonieri giravamo intorno al carcere in automobile: volevamo metterci in comunicazione con lui”. Scarcerato per decorrenza dei termini di custodia cautelare, è stato condannato con giudizio di primo grado e in appello per falso in bilancio e finanziamento illecito al Partito Socialista Italiano. In Cassazione il secondo reato va in prescrizione, mentre il primo è stato depenalizzato dal Governo Berlusconi II, del quale faceva parte. Viene indagato a Milano per ricettazione nell’indagine sullo scandalo della Banca Antonveneta e la scalata di Gianpiero Fiorani all’istituto creditizio: la Procura ha rintracciato, presso la Banca Popolare di Lodi, un conto intestato alla moglie di Brancher con un affidamento e una plusvalenza sicura di 300mila euro in due anni.

Oggi il neo ministro del neonato e patetico “Ministero per il federalismo” decide di sfoderare il “legittimo impedimento” per l’udienza prevista domani mattina. Deve organizzare il proprio ministero, dice sornione. Primo buco libero nella fitta agenda del servile ministro è per il prossimo 7 ottobre. In un Paese civile si scenderebbe in piazza, si chiamerebbe la rivoluzione della dignità che viene fatta marcire sotto le suole di un Governo che ha superato il limite dell’oltraggio non solo alla democrazia ma anche alla Costituzione, ai cittadini, alle Istituzioni, alla Giustizia e alla decenza.

Ecco, se si dovesse trovare un aggettivo per abbigliare questo momento politico, “indecente” sarebbe il più calzante. L’indecenza di un ministero lanciato come una ciambella di salvataggio. L’indecenza di un potere che usava l’impunità per preservarsi e ora pornograficamente nomina potere per impunirsi. L’indecenza di un sorriso che sta sulla faccia di un presunto ladro mentre sfugge al giudizio e tutto intorno gli arredi di palazzo della Repubblica Italiana, i fotografi delle grandi occasioni, il Presidente che stringe la mano, le congratulazioni del Governo, la compostezza dei messi, i flash da cerimonia, gli uffici stampa che hanno raccontato sessant’anni di storia, i braccioli dei padri costituenti.

In mezzo, un ministro in calzamaglia e senza maschera come la pagina di un giornaletto erotico incollata a forza in mezzo ad un manuale di Storia. Come un pacchetto scagazzato lasciato a tutti i cittadini, al mattino presto, fuori dalla porta. Un ministro indecente. L’ennesimo e non l’ultimo. Di una rivoluzione che russa.

Inceneritore: salvo il Parco Sud, cos’è successo e cosa può succedere

Cronaca di un mattone piccolo ma significativo di una Lombardia molto meno sopita di come si potrebbe pensare.

Ieri in Consiglio Regionale si è discussa la mozione del PD (primo firmatario Penati) che diceva no all’inceneritore all’interno dell’area Parco Sud. Un’ottima notizia se vista nell’ottica del Palazzo che ascolta e riesce a farsi carico di un malessere civilmente manifestato da sindaci e cittadini attivi riuniti in un consistente movimento di opinione. Certo, e questo lo sappiamo in tanti, l’inceneritore è “ben voluto” da molti. Semplicemente in aree diverse (e per un fiuto sinistro immagino anche dove e perché, ma ci sarà tempo per parlarne…).
Nella mozione del PD, condivisibile e meritoria in larga parte, si chiude con un “fulmen in clausola” degno delle migliori sceneggiature: no al Parco Sud ma urgentemente sì ad un luogo altro per “evitare l’emergenza rifiuti”. Nel video i passaggi:

http://www.youtube.com/watch?v=SshsE0XSoKw

La mozione “corretta” è stata votata all’unanimità.

Il segnale incoraggiante è la voce delle piazze, dei cortei, dei sindaci che è stata interpretata (in modo assolutamente bipartisan e con sfumature diverse) dentro l’istituzione. Ora è il momento di compattarsi e riuscire a portarla ancora più forte. Perché la “cittadinanza attiva” non sia ascoltabile solo nei momenti di protesta ma anche, e soprattutto, nella fase della progettazione.

Restiamo uniti.

Resta, Silvia. Usciamo noi dai tuoi cassetti.

Ci sono momenti nella vita in cui la confusione tutta sottosopra della propria vita è uno stato che ti rimbalza in pancia e solo dopo è una questione di cassetti e voci. Le mani messe dentro il proprio stomaco sono la fucilata dei codardi che vorrebbero giocare a fare i militari ma hanno il naso da pagliaccio della propria codardìa. Silvia Resta si è ritrovata una porta scardinata come fotografia di una violazione che ha sensi diversi. E immagino gli occhi di Silvia mentre frugano con la stessa fretta a scardinarsi il cervello per capire o cercare almeno di immaginare con un pizzico di realismo. Non so nient’altro che immaginare quanto costi oggi parlare con lo sguardo diritto e la certezza comune di sbagliare spesso. So che gli occhi di Silvia nei suoi servizi andati in onda (e in quelli lasciati nel cassetto) sono gli occhi di chi ci crede. Nonostante tutto. Disinteressata. Con tutto solo da perdere. O trafugare. Per questo vorrei provare ad uscirci io dai cassetti in disordine per stringerti la mano Silvia. Per dirti che non sei da sola. Che ci possono portare via a pezzetti ma mai tutti insieme. E che siamo qui. Tutti. Insieme. Questa sera ancora di più con te.

Il Saramago che è stato

Un occhio e una penna così lucida ci mancherà. Un bel po’.

La Cosa Berlusconi di José Saramago

Questo articolo, con questo stesso titolo, è stato pubblicato ieri sul quotidiano spagnolo “El País”, che me lo aveva espressamente commissionato. Considerando che in questo blog ho lasciato alcuni commenti sulle prodezze del primo ministro italiano, sarebbe strano non mettere anche qui questo testo. In futuro ce ne saranno sicuramente altri, visto che Berlusconi non rinuncerà a quello che è e a quello che fa. Né lo farò anch’io.

http://caderno.josesaramago.org/2009/06/08/a-coisa-berlusconi/

Non trovo altro nome con cui chiamarlo. Una cosa pericolosamente simile a un essere umano, una cosa che dà feste, organizza orge e comanda in un paese chiamato Italia. Questa cosa, questa malattia, questo virus minaccia di essere la causa della morte morale del paese di Verdi se un profondo rigurgito non dovesse strapparlo dalla coscienza degli italiani prima che il veleno finisca per corrodergli le vene distruggendo il cuore di una delle più ricche culture europee. I valori fondanti dell’umana convivenza vengono calpestati ogni giorno dalle viscide zampe della cosa Berlusconi che, tra i suoi vari talenti, possiede anche la funambolica abilità di abusare delle parole, stravolgendone l’intenzione e il significato, come nel caso del Polo della Libertà, nome del partito attraverso cui ha raggiunto il potere. L’ho chiamato delinquente e di questo non mi pento. Per ragioni di carattere semantico e sociale che altri potranno spiegare meglio di me, il termine delinquente in Italia possiede una carica più negativa che in qualsiasi altra lingua parlata in Europa. È stato per rendere in modo chiaro ed efficace quello che penso della cosa Berlusconi che ho utilizzato il termine nell’accezione che la lingua di Dante gli ha attribuito nel corso del tempo, nonostante mi sembri molto improbabile che Dante l’abbia mai utilizzato. Delinquenza, nel mio portoghese, significa, in accordo con i dizionari e la pratica quotidiana della comunicazione, “atto di commettere delitti, disobbedire alle leggi o a dettami morali”. La definizione calza senza fare una piega alla cosa Belusconi, a tal punto che sembra essere più la sua seconda pelle che qualcosa che si indossa per l’occasione. È da tanti anni che la cosa Belusconi commette crimini di variabile ma sempre dimostrata gravità. Al di là di questo, non solo ha disobbedito alle leggi ma, peggio ancora, se ne è costruite altre su misura per salvaguardare i suoi interessi pubblici e privati, di politico, imprenditore e accompagnatore di minorenni, per quanto riguarda i dettami morali invece, non vale neanche la pena parlarne, tutti sanno in Italia e nel mondo che la cosa Belusconi è oramai da molto tempo caduto nella più assoluta abiezione. Questo è il primo ministro italiano, questa è la cosa che il popolo italiano ha eletto due volte affinché gli potesse servire da modello, questo è il cammino verso la rovina a cui stanno trascinando i valori di libertà e dignità di cui erano pregne la musica di Verdi e le gesta di Garibaldi, coloro che fecero dell’Italia del secolo XIX, durante la lotta per l’unità, una guida spirituale per l’Europa e gli europei. È questo che la cosa Berlusconi vuole buttare nel sacco dell’immondizia della Storia. Gli italiani glielo permetteranno?

Pomigliano miniera moderna e contrattualizzata

Ho pensato a lungo alla vicenda degli operai Fiat di Pomigliano. Ho pensato anche a come si potrebbe dipingere una situazione che stride con ogni diritto del lavoro eppure, anche questa, sembra diventata una battaglia ideologica o una nota di meridionalismo di spettacolo. Poi ho letto quello che ha scritto Lidia Ravera e mi ci sono ritrovato. Per intero.

I Cipputi di Lidia Ravera

La classe operaia, fino al 1980, doveva “dirigere tutto”. O almeno così si cantava, in piazza. Dall’80 all’89 ha incominciato ad abbassare la testa, sotto l’urto della ristrutturazione. Con la caduta dei regimi comunisti, sono stai “liberati” lavoratori che non aveva mai avuto il permesso di lottare,a dispetto di quello che si cantava in piazza. I malpagati del secondo mondo. Con la globalizzazione, ai malpagati si sono sommati gli affamati. Malpagati e affamati sono accolti a calci se si affacciano al primo mondo, ma tornano utili se restano nel loro, così la Fiat cambia “mondo”, e risparmia. Per riavere la fabbrica a Pomigliano, la classe operaia deve accettare turni di 8 ore senza mangiare, 2 settimane l’anno di straordinario, A “pari condizioni” lavorano soltanto gli ufo-robot. Il prossimo “ente inutile” da chiudere sarà, probabilmente, il Sindacato.

http://www.unita.it/news/lidia_ravera/100103/i_cipputi

Le Commissioni e la mollezza di Penati e del PD

Sono ufficialmente insediate tutte le Commissioni. Nella posizione di minoranza le Commissioni sono il luogo fondamentale dove poter conoscere, analizzare, dibattere le decisioni che arriveranno in Consiglio, lì dove la prostituzione partitica non è ancora padrona dell’informazione. In campagna elettorale ho più volte chiarito le priorità della mia agenda politica e, con soddisfazione, posso dire oggi di essere nelle Commissioni che coprono per intero le priorità della mia agenda politica:

  • III Commissione Sanità e Assistenza (Competenze: Tutela della salute; politiche assistenziali e servizi socio sanitari; politiche per la famiglia; associazionismo e volontariato; sicurezza sul lavoro; integrazione.)
  • V Commissione Territorio (Competenze: Governo del territorio: porti e aeroporti civili; reti di trasporto e di navigazione; edilizia; lavori pubblici; intermodalita’.)
  • VI Commissione Ambiente e Protezione civile ( Competenze: Valorizzazione dei beni ambientali; valutazione di impatto ambientale; inquinamento; smaltimento dei rifiuti; cave e torbiere; miniere; produzione, trasporto e distribuzione dell’energia; protezione civile; sicurezza industriale; vigilanza ecologica.)
  • VII Commissione Cultura, Istruzione, Formazione professionale, Sport e Informazione (Competenze: Istruzione; formazione professionale; professioni; ricerca scientifica; valorizzazione dei beni culturali; promozione e organizzazione di attività culturali; politiche oer i giovani; comunicazione e mass media; sport e tempo libero.)

Con questa scelta credo di potere mantenere il mandato elettorale dei miei elettori; qui passeranno molti dei temi caldi anche in previsione Expo.

Un altro punto che credo debba personalmente chiarire è quello della Giunta delle elezioni. La Giunta delle elezioni ha il compito di verificare la sussistenza di eventuali cause di ineleggibilità o di incompatibilità dei consiglieri regionali. I componenti di questo organismo eleggono al proprio interno un ufficio di presidenza composto da un presidente, un vicepresidente e un segretario.  Ciascun consigliere viene invitato a presentare una dichiarazione sulle cariche o gli uffici ricoperti, gli incarichi svolti, i rapporti contrattuali in corso con la Regione, ecc..  Sulla base delle dichiarazioni presentate la Giunta delle elezioni procede all’esame di ciascuna posizione giuridica in relazione alle norme legislative in materia di ineleggibilità e incompatibilità.  A tal fine la Giunta delle elezioni assume le informazioni necessarie, chiede e riceve documenti relativi all’oggetto delle verifiche, e sente eventualmente gli interessati.  I suoi lavori hanno carattere riservato.  La Giunta delle elezioni deve compiere l’attività istruttoria entro 60 giorni.  Sulla base della relazione motivata della Giunta delle elezioni il Consiglio, nei successivi 30 giorni, convalida l’elezione dei consiglieri.  Prima della convalida il Consiglio può procedere soltanto agli adempimenti indispensabili ed urgenti, i quali non perdono validità anche nel caso di mancata convalida di uno o più consiglieri. La Giunta delle elezioni esamina anche le cause sopravvenute di ineleggibilità e incompatibilità e provvede alla convalida dei consiglieri subentrati.

La mia presidenza della Giunta delle elezioni è stata concordata con la coalizione di minoranza (IDV, PD, SEL e Pensionati) fin dai primi giorni di insediamento del Consiglio, essendo una delle pochissime posizioni riservata alla minoranza. Sulla nomina di un uomo IDV il Pdl ha posto un veto politico che non mi interessa discutere o analizzare. E’ vero, come dice nel suo comunicato stampa il sempre svelto Gaffuri, che il Pd ha appoggiato la mia presidenza per ben cinque votazioni sempre concluse senza il raggiungimento del quorum necessario (con il Pdl convergente sul candidato dell’Udc Marcora e la Lega padanamente alla finestra con il piglio dei decisi), così come è vero che nella seduta di ieri il Pd, sottolineando che “non è una questione personale”, ha con i suoi voti eletto Enrico Marcora (Udc) presidente della Giunta per le elezioni.

Dunque, stiamo ai fatti: Gaffuri dichiara che ad un certo punto si è imposta la scelta di trovare una “convergenza possibile”. Quindi, poiché le parole non sono opinabili e vanno usate con cautela, il Pd dichiara che la scelta di Marcora è figlia di una convergenza: quindi un accordo, una comunione di modi e obiettivi, un segnale di stima politica e fiducia, un’amicizia istituzionale. Lo scrutinio dice che Pd e Pdl hanno votato l’uomo Udc; Pensionati e Sel si sono astenuti e io mi sono in modo molto inelegante autovotato.

La convergenza politica lombarda del 15 giugno 2010 del Pd è stata quella di votare un uomo Udc a braccetto con il Pdl. Il resto è aria fritta. Se non che la politica dei due forni dell’UDC paga. Il cinismo di tre soli consiglieri è stato sufficiente per imporre ad altri 28 il nome del Presidente della commissione.

Tra le parole il Pd parla anche di “responsabilità istituzionale per sbloccare la situazione”. Rallentare i lavori di una Regione che non si scrolla di dosso l’ombra di un grumo catto-xenofobo di interessi affaristici è evidentemente un’onta per la cortese e accomodante opposizione di un Pd sempre più blando e solamente interessato al risiko delle proprie poltrone piuttosto che all’integrità politica di una coalizione di fatto.

Quindi, seguo il ragionamento: il rispetto del proprio ruolo istituzionale è oggi una priorità. Da ieri Filippo Penati siede su una poltrona di vicepresidenza del Consiglio regionale non più a rappresentare una coalizione che il Pd ha calpestato ma a rappresentare sé stesso e quel poco di Pd che c’è rimasto. Se quello che ricopre è un “ruolo di garanzia della coalizione”, Penati da ieri non è più l’uomo giusto.

Ringrazio Chiara Cremonesi (SEL) e Elisabetta Fatuzzo (Pensionati) per l’appoggio e la coerenza.

Bye bye Barbaro, imprenditori (finalmente) mafiosi del Nord

Fino a ieri si poteva affermare che a Milano dagli anni ’90 non c’erano state condanne per il reato di associazione mafiosa. Fino a ieri alcuni politici e rappresentanti delle istituzioni “disinformati” potevano dichiarare che a Milano la mafia non esisteva. Fino a ieri appunto. Perchè ieri qualcosa è cambiato.

Dopo molti anni, proprio nel capoluogo lombardo, c’è stata una sentenza di condanna in primo grado per l’art.416 bis c.p. Il boss Salvatore Barbaro è stato condannato a 9 anni di reclusione, il padre Domenico (detto l’australiano) e il fratello Rosario a 7 anni. Tuttavia, la condanna più rumorosa è sicuramente quella di 4 anni e 6 mesi inflitta all’imprenditore Maurizio Luraghi che, secondo la sentenza, avrebbe messo a disposizione del clan la sua azienda, la “Lavori stradali Srl”.

I giudici della settima sezione penale del Tribunale di Milano hanno riconosciuto l’imprenditore milanese colluso con le attività criminali della famiglia Barbaro- Papalia. Finalmente la presenza di questo clan ‘ndranghetista radicato profondamente nel territorio lombrado viene riconociuta da una sentenza. Finalmente, inoltre, viene punito un imprenditore che ha chiuso gli occhi e agevolato gli affari della criminalità organizzata.

Maurizio Luraghi attraverso la sua azienda si aggiudicava gli appalti per poi girarli in subappalto alle ditte Edil company, Mo.bar, Fmr scavi e Lmt che facevano diretto riferimento al clan.

Ma, nel nostro paese del rovesciamento, l’avvocato dell’imprenditore ha affermato che il suo cliente è stato condannato “perchè si pretendeva da lui un comportamento eroico, che non si può pretendere da un cittadino se è lo Stato che non riesce a controllare questi fenomeni”. Vorrei che l’avvocato capisse che dal suo cliente si esigeva semplicemente il comportamento di ogni cittadino responsabile. È vero, come dice Don Abbondio che “il coraggio uno non se lo può dare”, ma è altrettanto vero che vi è sostanziale differenza tra codardia e collusione. La prima è una limitazione caratteriale, la seconda è un reato.

Infine, non posso non dedicare almeno un pensiero al mio pubblico più attento: Salvatore, Domenico e Rosario. Ebbene costoro hanno sempre seguito con un’attenzione quasi maniacale il mio lavoro teatrale e io ho ricambiato parlando di loro. Ho raccontato di come Domenico Barbaro avesse cominciato la carriera negli anni Settanta con i sequestri di persona e il traffico di droga e di come Salvatore e Rosario si fossero evoluti rispetto al padre, diventando imprenditori e vincendo appalti nel settore dell’edilizia. Ho raccontato di come avessero una forte influenza a Buccinasco, Corsico e Trezzano sul Naviglio. Ho raccontato che non avevano più bisogno di minacciare gli imprenditori, perchè alcuni si offrivano spontaneamente a loro.

A quanto pare ho raccontato fatti veri, che oggi sono riconosciuti da una sentenza. Queste condanne, inoltre, segnano un precedente molto importante, poiché da qui proseguiranno anche le inchieste Parco sud 1 e 2 in cui sono implicati altri imprenditori e politici locali.

Mi auguro che la magistratura possa portare a compimento tutti i processi e possa assicurare alla giustizia ‘ndranghetisti e associati.

Sono felice che il pubblico che mi ha seguito con più attenzione, Domenico, Salvatore e Rosario, finalmente non sia più impunito. Li consoli il fatto che non cesserò di parlare di loro.