Vai al contenuto

Luglio 2010

Adesso sventoliamo la Costituzione

C’è un passaggio importante, una linea per nulla sottile, in un Governo che si affloscia come una torta cotta male appena uscita dal forno: le regole. Non cadiamo nell’errore di credere (e di farci credere) che il divorzio che si è consumato tra i berluscones e i finiani sia una questione politica. Nel deserto democratico di questi ultimi anni un processo strategico di disinformazione e disarticolazione delle Istituzioni, princìpi fondamentali come la Giustizia, l’Uguaglianza e le uguali opportunità (nel lavoro, ma più largamente nel vivere sociale) sono stati violati nella loro obbligatorietà costituzionali e rivenduti come mere “visioni diverse” nella gestione dello Stato.

L’accusa del generale Fini non è sui programmi, sui progetti o sui modelli di gestione, ma più drammaticamente, sulla legittimità e legalità di un uomo al governo. Non siamo alla scissione dell’atomo o dei particolarismi da politicanti, siamo di fronte al riconoscere pubblicamente che quei vecchi confini tra i partiti dell’arco costituzionale oggi sono diventati un dirupo chiaro, un burrone che obbliga a scegliere: o si sta dalla parte delle regole o con chi le regole se le compra e le subaffitta. Senza se, e senza ma.

In poche parole: dalla parte della nostra Costituzione. Senza cittadini meno uguali degli altri, senza federalismi fumettistici, senza protoneofascismi rivenduti come libertari, senza atteggiamenti antisolidali in nome di un falsa sicurezza, senza nuovi idoli dell’ultim’ora con le cravatte che puzzano di Prima Repubblica. E nessuna si prenda i meriti di un’infezione che è ben lontana dall’essere una rivoluzione. Il “Futuro e Libertà” sventolato dai finiani come vessillo della vittoria (mentre è il tovagliolo della carcassa piena di mosche delle scelte di cui si sono resi camerieri) è già scritto nella nostra Costituzione, lottato in un “passato e oppressione” dai Padri di questo paese. Padri costituenti che non hanno bisogno di spille sulla giacca ma, banalmente, di figli assennati. Con giudizio, prudenza e maturità.

Acqua pubblica: Formigoni prepara il blitz di ferragosto

Agosto non è mese per stare tranquilli. E’ la politica che vive sulla distrazione del popolo per infilarsi in legiferazioni che altrimenti rischierebbero di alzare un polverone, o perlomeno quella che in democrazia si chiamerebbe discussione. Sull’onda (è il caso di dirlo) di una straordinaria mobilitazione popolare che ha visto un milione e quattrocento mila firme del Forum italiano dei movimenti per l’acqua e settecentocinquantamila dell’Italia dei Valori, oggi una politica responsabile dovrebbe fermarsi e costruire le basi di un serio dibattito sulla gestione dell’acqua come prezioso bene comune da sottrarre ad affaristi e grumi di potere.  Proprio ieri (il 28 luglio) è stata approvata (122 a favore; 41 astenuti; 0 contrari) all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite una risoluzione intitolata “Il Diritto Umano all’Acqua e all’igiene”.

Il “celeste” Formigoni invece, dalle segrete stanze della Giunta lombarda, prepara la liberalizzazione secondo i dettami del decreto Ronchi (con il servizio di erogazione dell’acqua nelle mani di tante società miste controllate al 60% dalle Province e per il restante 40% in mano ai privati con appetiti per il business dell’acqua pubblica) proprio in questi ultimi scampoli prevacanzieri. Con l’Aula del Consiglio Regionale “dimenticata” nella discussione e impegnata a discorrere di merli e richiami vivi. Tutto secondo copione, con i luoghi di discussione e i canali di informazione narcotizzati mentre una delicata fase politica decide di assoggettare un diritto universale alle regole della domanda e dell’offerta. Come merce o privilegio piuttosto che un diritto. In una politica per accordicchi o decreti sulla fiducia che svuota, ogni giorno di più, le istituzioni dal proprio senso di luogo di dibattito e democrazia e, in Lombardia, si prepara a svuotare anche il bicchiere.

E allora bisogna parlarne, scriverne, farne parlare. Perchè almeno sappiano che sappiamo. E che faremo tutte le domande e le azioni alla riapertura delle attività. Per una responsabilità che, in questo momento di desolazione politica, non va proprio in vacanza.

La politica del fare? mettere il naso nella discarica di Bollate

http://www.youtube.com/watch?v=zNI77l8R8Ck


Bollate, periferia di Milano, oggi è una di quella città che scottano. Dopo l’ultima operazione contro la ‘ndrangheta (che ha portato in dono 160 arresti solo in Lombardia) intere zone si sono scoperte impudicamente nude di fronte alla potenza e prepotenza delle famiglie criminali che ormai da anni infestano il territorio. A Bollate comanda(va?) Vincenzo Mandalari, originario di Guardavalle (CZ). residente a Bollate e oggi latitante. Mandalari, come gli altri “guappi” ‘ndranghetisti, si dilettava nel campo dell’edilizia, in quel giochino facile facile che è la movimentazione terra; ovvero spostare, nascondere, caricare e scaricare macerie e merda per riciclare denaro. A Bollate (ce lo dimostra oggi un’inchiesta dell’Associazione SOS RACKET USURA completata da un video girato con una telecamera nascosta) c’è una discarica in cui sicuramente si vede qualcosa di curioso: rifiuti scaricati con estrema facilità, formulari non compilati e qualche dubbio sul personale incaricato.

Oggi presenterò un’interrogazione urgente al presidente della Regione Lombardia per chiedere che vengano effettuati quanto prima dalla politica e dalle autorità preposte tutti i controlli necessari per chiarire la gestione dei rifiuti e delle macerie della “ex cava Bossi” a Cascina del Sole in Viale Friuli a Bollate. Con più di un dubbio e una mezza idea sulla “funzione” della discarica nell’economia criminale della zona. Qualche mio collega in Consiglio Regionale propaganda spesso la “politica del fare”, “metterci la faccia” dicono: su quella discarica oggi ci metto la mia.

La denuncia di SOS RACKET E USURA

Siamo entrati nella cava-discarica di Bollate a bordo di un furgone e, senza compilare il formulario, abbiamo scaricato rifiuti di ogni tipo, tutto rigorosamente in nero, ed abbiamo visto una decina di lavoratori boliviani ed albanesi che vi lavorano per sei euro l’ora, senza contratto di lavoro.

Questa è la storia di una cava in odore di N’drangheta.

È una mattina di giugno del 2010 e riusciamo, insieme al giornalista del Fatto, Davide Milosa, a convincere un imprenditore di Garbagnate Milanese a portarci – a bordo del suo furgone – in un luogo dove scaricare rifiuti di ogni tipo, i cosidetti rifiuti ‘sporchi’. Arriviamo così nella cava discarica di Bollate, a Cascina del Sole in viale Friuli ed esattamente nell’ex cava Bossi.

Con una microtelecamera nascosta, cominciamo a filmare il carico del nostro camion e, arrivati all’ingresso della cava, ci viene chiesto subito se vogliamo dare il formulario o pagare in nero. “Non c’e problema ci dice l’omino all’ingresso della cava andate più avanti che i ragazzi vi dicono dove dovete scaricare”.

Percorse alcune centinaia di metri ci troviamo di fronte ad una decina di ragazzi boliviani ed allbanesi che, senza chiederci il contenuto del camion, ci fanno scaricare il furgone con la ribalta in un piazzale dove sono ammassati cumuli di rifiuti di ogni tipo alti una decina di metri.

È un inferno Dantesco quello che si presenta con questi lavoratori che sotto il solo cocente mettono le mani nei rifiuiti smistando ogni cosa: eternit, bidoni e liquidi; legno, carta, plastica, polistirolo, macerie sporche provenienti da chissà quali lavori senza nessuno che controlla cosa stiamo scaricando.

Ci dicono che prendono sei euro l’ora e lavorano senza contratto, praticamente sono lavoratori in nero e dicono anche che quelle rare volte che vengono “i controlli”, i proprietari della cava vengono avvisati e noi scappiamo’.

Pochi minuti dopo, finito lo scarico, andiamo a pesare il camion e paghiamo 90 euro per il nostro scarico. Se avessimo presentato il formulario ci sarebbe costato 15 euro… L’omino della discarica si premunisce anche di darci un numero da segnare per le prossime volte che saremmo tornati a scaricare, numero da segnare sul formulario. Mi raccomando, ci dice, non mettete la data, così se vi ferma la Polizia voi dite che l’avete dimenticata altrimenti per voi sono grossi problemi.

Ci rilascia una ricevuta fasulla e noi andiamo via.

Bollate, terra di quella ‘ndrangheta decimata da una colossale operazione delle DDA di Milano e Reggio Calabria, dove a capo della Locale vi è Vincenzo Mandalari, padrino sfuggito all’arresto, tuttora latitante.

È lui che comanda su tutto il territorio, ed è sempre lui che cosrtuisce, asfalta, fa il movimento terra a Bollate e circondario.

Alcuni mesi fa, in un bar di Bollate, una microspia ambientale intercetta Vincenzo Mandalari ed un imprenditore edile, tale Rocco Ascone, anche lui arrestato in questa operazione, che parlano dell’arrivo di un carico di rifiuti tossici provenienti da Brescia, che devono essere smaltiti in una cava di Bollate.

Nella cava-discarica di Bollate abbiamo visto frantoi e numerosi escavatori, che risultano essere di propietà di tale Nicola Grillo, grande amico di Vincenzo Mandalari e proprietario dell’impresa SDS Srl che lavora per Mandalari.

Nicola Grillo e suo fratello Stefano vengono chiamati vent’anni fa da un paesino della provincia di Catanzaro, Davoli, proprio da Vincenzo Mandalari che gli dice “venite su che qui di lavoro al nord ce nè tanto”.

Stefano e Nicola Grillo sono amici di altri boss, i fratelli Pietro e Santo Maviglia di Nova Milanese che, guarda caso. hanno un magazzino di fronte ad un’altra cava, sempre a Nova in via delle cave.

I proprietari della cava di Bollate tentano alcuni mesi fa anche di costruire decine di palazzi sull’area della cava stessa, offrendo in cambio alla passata Giunta guidata dal sindaco Stelluti la donazione di metà area, ma il progetto non passa. Nell’ ufficio di Vincenzo Mandalari ci sono decine di targhe che la passata giunta bollatese si è premurata di consegnare, per riconoscenza dei lavori eseguiti dall’imprenditore Mandalari. Da Rho, Pero, Cesate, Garbagnate Milanese, Novate, Senago, Cesano Maderno, Bresso, Cormano, ed altre decine di comuni dell’hinterland, è cosa nota che chiunque voglia scaricare rifiuti di ogni tipo, tossici o “sporchi”, può andare alla cava dei veleni di Bollate.

Tutti gli imprenditori edili, piccoli o grandi, scaricano veleni in quella cava; la cosa è nota a tutti, e noi quel giorno abbiamo visto decine di camion che scaricavano ogni cosa.

L’Associazione SOS Racket e Usura chiede al Sindaco del comune di Bollate, Stefania Lorusso, di intervenire tempestivamente su questo scandalo da noi denunciato.

Alla Polizia Provinciale Ambientale, che propio a Bollate Ha un grosso distaccamento, chiediamo di eseguire immediati controlli sul terreno all’interno della cava.

All’Ispettorato del Lavoro di verificare che i lavoratori siano in regola con contratto di lavoro e sopratutto chiediamo – per i reati che abbiamo documentato – la chiusura immediata della cava.

L’associazione chiede che venga aperta un’inchiesta da parte dell’Autorità giudiziaria al fine di verificare i gravi fatti da noi denunciati, Al Consigliere regionale dell Idv Giulio Cavalli chiediamo una presa di posizione politica con una interrogazione in Consiglio Regionale da presentare sui gravi fatti da noi denunciati al fine di far cessare questo gravissimo scandalo.

Milano 22 luglio 2010

Frediano Manzi

Presidente Associazione SOS Racket e Usura

Hanno avuto ragione: Santa Giulia è già il simbolo di Milano

A vederla nei bozzetti un milanese qualunque poteva immaginarsela mentre sfilava la carrozza di Luigi XII e una corte di nani e ballerine: l’area Santa Giulia, Montecity-Rogoredo doveva essere il quartiere modello della Milano da esportare in tutto il mondo con Centro Congressi, Multisala, futuribile arredo urbano, mezzi ecologici ad attraversarla. Il tutto in un verde bioparco con i colori da Alice nella Milano delle meraviglie. Il simbolo della Milano che vogliamo. E oggi, dopo i sigilli della procura possiamo finalmente dire che ce l’hanno fatta: Montecity è il quartiere simbolo della Milano di oggi.

Ci sono i veleni (arsenico, cloroformio, cromo esavalente) che inondano e perdurano in nome del massimo profitto e della minima attenzione in una regione che a grandi passi punta al podio del prossimo Rapporto Ecomafie stilato da Legambiente (dove, bisogna ammetterlo, anche quest’anno è già riuscita a fare la sua pessima figura nel suo silenzio tutto padano).

Ci sono i progetti brevi tipici delle grandi opere. Quelli che finiscono appena smesso di stampare l’ultima brochure pubblicitaria per stuzzicare il palato. Perché oggi, a Milano ma generalmente nel paese, la “realizzazione” è un privilegio per pochi fortunati. Così conta passare l’idea, costruire il messaggio, confezionare la propaganda come per l’Aquila, i rifiuti a Napoli e oggi quel cantiere avvelenato che dovevano essere i nostri  Champs Elysèes. Non contano poi le lamentele dei creduloni. Qui da noi se di un problema non si scrive o non si dice, non esiste. Se se ne dice poco è un male minore.

C’è il re delle bonifiche, sempre lui. Giuseppe Grossi guadagna bonificando il meno possibile perché ci tiene ad essere misurato. Giuseppe Grossi che a Milano è nome dagli echi importanti: da Paolo e Silvio Berlusconi fino alla moglie del “faraone” Giancarlo Abelli che non riesce a fare in tempo a scendere dalle cronache di ‘ndrangheta per risalire subito con le bonifiche. In un ottovolante del “lombardismo” più sfrenato applicato alla politica.

C’è il reato ambientale. Un reato che nella legislazione della responsabilità dovrebbe essere il meno sopportabile, nel compimento di uno stillicidio di natura che si propaga velenoso in delitto molto spesso decennale. Il reato perfetto per i pavidi che riescono a farla pagare ai figli ed ai nipoti senza nemmeno il rumore di uno sparo. Un reato che, uscendo dalle tempistiche del mandato elettorale, da diritto naturale si trasforma in una gentile concessione di qualche politico particolarmente benevolo. Proprio oggi, proprio a Milano, dove un PGT mangiasuolo ci è stato offerto come una strategia da nobel per l’ambiente.

Intorno, tutto intorno rimane una città che oltre che brutta puzza come un pesce da troppi giorni sul bagnasciuga, soldi che diventano merda sotto terra per qualche lire al chilo, politica impreparata ed ecoignorante anche solo per fingere di parlarne e i soliti noti con la pancia piena. Diversi (neanche troppo) i nomi, diverse le facce, diversi i luoghi, diversi i modi, ma quello che conta qui nell’eccellente Milano è il Sistema. ‘O Sistema, come lo chiamerebbe Roberto Saviano.

ORA QUALCUNO CHIEDA SCUSA

Adesso qualcuno deve chiedere scusa. Non bastano i comunicati, non contano le facce contrite davanti alle telecamere per dire che anche la Lombardia è caduta nel mercimonio politico mafioso che infesta tutto il Paese, da nord a sud, in un’unità d’Italia fatta di mala politica prostituita alla mafia. Trecento arresti sono uno schiaffo alla ‘ndrangheta calabrese lombardizzata ma non solo; trecento arresti sono cinque dita in piena faccia di chi come il sindaco Moratti ha giocato per una vita a sottovalutare, minimizzare, negare e coltivare indifferenza. Trecento arresti sono una sberla a tutti quei sindachetti e polituncoli padani che hanno tranquillizzato tutti per anni dicendo che il fenomeno non esisteva, che al massimo era “una cosa loro”, che le cittadine lombarde sono “immuni dalla mafia”, appoggiati da rappresentanti delle istituzioni che sfoggiano una pavidità e un’ignoranza utili ad una pacifica e tranquillizzante carriera. Trecento arresti oggi fanno sentire l’odore acre della lombardia. E non bastano più i “deodoranti” della Lega e del Pdl. Non funzionano più i convegni buoni per fare l’antimafia da souvenir per la fiera della Milano da bere. Scrivevamo un anno fa io e Gianni Barbacetto in A CENTO PASSI DAL DUOMO:

“L’impunità dentro le teste (oltre alle tasche) dei capibastone ‘ndranghetisti o dei prestanome camorristi o dei ragionieri di Cosa Nostra in Lombardia è una responsabilità politica. Risolvibile semplicemente con la voglia e l’onestà di volere dare al di là di tutto un segnale. Per restituire dignità anche nella forma. Una regione che controlla la carta d’identità di un mojito e cammina su fiumi di cocaina. Una regione che s’abbuffa alle conferenze stampa delle grandi opere e che inciampa al primo gradino del primo subappalto. Una regione che convoca gli stati generali dell’antimafia per ribadire di stare tranquilli. Una regione che ci convince di aver risolto tutto spostando i soldatini del Risiko con la scioltezza di un tiro di dadi. Una regione che se il fenomeno criminale non emerge allora non esiste. Una regione che mette i moniti dei procuratori antimafia nei faldoni di “costume e società”. E intanto ride. Nel riflesso degli eroi diventati onorevoli che “la mafia l’hanno debellata decenni fa” e se così non fosse è semplicemente perchè non l’hanno mai trovata. Una regione che è sacerdotessa della clandestinità diventata finalmente illegale e intanto finge di non sapere che l’illegalità pascola clandestina. Nel gioco dei segnali così caro alla pochezza criminale, se esistesse un santo dell’estetica contro il diavolo della politica per comunicati stampa, da domani partirebbero le ronde della legalità nei crani dei politici a cercare con il lumicino la responsabilità della dignità.”

Insieme a Gaetano Liguori siamo andati ad urlarlo in giro per l’Italia. Mi sono meritato qualche chilo di minacce, qualche accusa di allarmismo, sorrisini da “professionista dell’antimafia” e i rimbrotti di qualche maresciallo che ha dovuto fingere di credermi. Adesso si alzano le voci di chi sapeva e si sprecano le lettere di vicinanza. Addirittura spuntano democratici esperti dell’ultima ora. Tutti pronti a cavalcare; tanto hanno già pagato gli altri, nel bene e nel male.

Oggi ai cittadini qualcuno dovrebbe chiedere scusa.

http://www.youtube.com/watch?v=Lcy8GIqfjkI

http://italiadeivalori.antoniodipietro.com/articoli/giustizia/ora_qualcuno_chieda_scusa.php

‘Ndrangheta buffa: Mandalari parlava troppo e Chiriaco faceva finta

Che tragica opera buffa la ‘ndrangheta che in Lombardia in incognito si fa chiamare Lombardia. Un’opera da qualcosa in più dei soliti tre soldi con qualche Pantalone, un paio di Azzeccagarbugli e la solita decina di politici distratti. La colonna sonora sarebbe una mazurka tra le consonanti ispide calabresi e le vocali lunghe lombarde.

POLITICI INCONSAPEVOLI. Una razza in costante aumento: “io non sapevo”, “non lo conosco”, “incontro tante persone in campagna elettorale”, “ognuno vota chi vuole”. Ormai possiamo dare per assodato che a lato dei candidati che sudano a smontare gazebo con il nero dei santini sulle mani, in Lombardia si è ramificata una nuova generazione di candidati: le vittime (vincenti) delle preferenze criminali. Faraoni e signorotti a cui pagano cene elettorali a tradimento schiere di fan estasiati e criminali ovviamente a loro insaputa. Però sono da capire; a differenza di Scajola e la sua casa regalata a tradimento, sulle preferenze non si paga l’ICI e sono più difficili da scovare. Abelli non sapeva che l’ASL di Pavia fosse un suo comitato elettorale con un cordone ombelicale che andava diritto tra i peli della ‘Ndrangheta. Emilio Santomauro è un fuoriclasse: dopo essere inconsapevolmente caduto nelle mani della camorra (con il clan Guida) è passato per sbadataggine sotto gli interessi della ‘ndrangheta. Del resto, essendo un uomo dal sangue UDC è sempre stato professionista della larghe intese per “ricucire l’Italia”. Poi c’è Ponzoni Massimo, che se di nome facesse Tom potrebbe essere un eroe del male per fumetti: ultimamente riesce ad essere per caso e per sfortuna in quasi tutti i “buchi neri” lombardi. Ma solo quando lo troveranno con un carico di armi nucleari in giardino sarà abbastanza indegno da pensare alle dimissioni.

BOSS DALLA LINGUA LUNGA. Ad ascoltarli fanno tenerezza. Lontani anni luce dall’icona del boss tra cacchette di capra e ricotte che scriveva in codice sui pizzini stropicciati come Binnu Provenzano, oggi gli aspiranti boss lombardi sono un misto di prepotenti con la cazzuola ed esosi da periferia. Il guappo Vincenzo Mandalari al telefono nel febbraio del 2009 si incensa come fanno le sciantose sotto il portico della Scala: “C’è stato un momento, in cui ad Assago comandavo io! credimi! per mia negligenza, sempre per il fatto di essere abusivista, io ce l’ho nel sangue di essere abusivista!”. Poi, resosi presto conto che “i politicanti vedi che sono scemi” decide di scendere in campo. Aveva in mente di darsi da fare a Bollate per le elezioni comunali. Una strategia precisa: far cadere l’attuale amministrazione, prima, ed eleggere un sindaco amico, poi. “Adesso riusciamo a farla cadere, perché io mi sono intrufolato in politica»”dice in una conversazione del 13 febbraio 2009 Mandalari, e poi l’idea di fondare un partito “non è importante destra o sinistra a livello locale”. Un politico con le idee chiare, senza dubbio. Se è vero che Calderoli è diventato ministro non possiamo che ringraziare la Boccassini per avere frenato la rincorsa di Vincenzino verso la Presidenza del Consiglio. Ma la lingua lunga, nell’opera buffa della ‘ndrangheta milanese si paga: così oggi al Mandalari latitante per la sgarrupata periferia milanese forse converrebbe una residenza certa in carcere piuttosto che un bossolo lucido infilato nella schiena. Le malelingue dicono che stia facendo le primarie per decidere se costituirsi.

MEDICI MITOMANI E BOSS PER FINTA. Più parla Carlo Antonio Chiriaco e più rischia di diventare l’eroe incontrastato della tragica farsa passato il polverone. Direttore sanitario dell’Asl di Pavia e arrestato per associazione mafiosa e corruzione, oggi dichiara di avere fatto tutto per finta. Perché malato. Un direttore sanitario patologico. La radice quadrata di un direttore sanitario ma anche un boss alla seconda. Un mafioso pentito di non essersi pentito di aver giocato, per finta, fino a convincere la mafia ad essere uno di loro. Un mitomane che comprava voti al “faraone” Giancarlo Abelli corrompendo qualche paio di infermieri per una sua libido elettorale. Un direttore sanitario che tra una preghiera a Don Giussano e un inchino a Comunione e Liberazione era affascinato «morbosamente» (dice proprio così nell’interrogatorio) dalla voglia, fin da giovane, di farsi credere dagli altri un malavitoso della ’ndrangheta, per vedere poi l’effetto che fa in chi ascolta. Un mafioso per finta. Ma la nomina alla direzione dell’ASL è una cosa verissima.

IL BOSS DEI BOSS CHE SERVE A MARONI. Pino Neri è il capo della ‘ndrangheta in Lombardia, nessuna prova più lampante della sua tesi di laurea sui “riti della ‘ndrnagheta”. Anzi no, arrestato il boss dei boss Pasquale Zappia. Il capo dei capi era lui. E che diamine, è anche stato eletto a Paderno Dugnano dai mafiosi, non si può andare contro la volontà popolare dei ‘ndranghetisti. Anzi, scoop: il grande capo è Cosimo Barranca. Ha il cognome onomatopeico della potenza criminale. Prima pagina: Domenico Oppesidano, il vero volto del re della ‘ndrangheta. Comunque vada, in Italia, se c’è qualche maxi operazione trovatevi presto il boss dei boss. La comunicazione spicciola antimafia e di propaganda elettorale ha bisogno di una faccia che funzioni da copertina. E non importa se la forza della mafia calabrese sia proprio il suo essere orizzontale. La disattenzione, al massimo, la pagheranno i nostri figli.

GLI ESPERTI DELL’ULTIM’ORA. Come Puffo Quattrocchi giro e rigiro ripetendo tra me e me “l’avevo detto, io”. Ma è una recriminazione per cui non vale la pena. In compenso uomini di destra e di sinistra, associazioni e istituzioni oggi ci dicono che loro lo sapevano già. Mi ricordo bene l’appoggio e l’affetto quando da allarmista inascoltato e inascoltabile mi battevano la pacca sulla spalla. Credevo fosse pietismo, invece evidentemente è il loro modo di essere utili alla causa.

Ave Cesare, morituri te salutant: la P3 del Venerabile Giulio Cesare

La P3 del Venerabile Giulio Cesare

Così Cesare è al corrente di tutto quello che succede. Del resto, non vi può essere alcuna meraviglia, Egli è il dictator! L’unico vero capo di questo Paese che, senza di lui, sicuramente andrebbe alla deriva.

Cesare non ha mai nascosto i suoi rapporti con il Venerabile Maestro Licio Gelli e non ha mai negato di essere stato uno degli appartenenti alla Loggia massonica P2. Ogni tanto urla al complotto dei comunisti affermando di non avere potere e di essere un perseguitato ma, in fondo, lo sa che è il dittatore e non un politico qualunque.

Sta portando a compimento il progetto dell’unico uomo che considera pari a lui, Licio Gelli, ovvero il piano di rinascita democratica delle Loggia P2.

Cesare non vorrebbe ammetterlo e ogni tanto arrossisce, ma non c’è nulla di sbagliato. Ha fatto credere agli italiani qualsiasi cosa, non sarà difficile per lui convincerli che il piano del Venerabile Maestro è cosa buona e giusta.

I fatti gli danno ragione. La magistratura, la stampa, gli insegnanti, gli aquilani e anche quella fetta di “coglioni” italiani che non lo hanno votato sono tutti comunisti. Per fortuna, Cesare in quel meraviglioso 26 gennaio del 1994 ha deciso di salvarci dalla deriva comunista, dalla libertà di espressione, dall’indipendenza della magistratura, dalla scuola, dalla sanità pubblica e da tante altre cose inutili. Grazie Cesare!

I suoi servitori di governo possono continuare a proporre decreti legge utilissimi alle brave persone come quello sulle intercettazioni. Confesso che all’inizio non ho ben compreso la necessità di questo ddl, ma poi ho capito. Mi ha aiutato Daniela Santanché, ovvero il sottosegretario per l’Attuazione del programma del suo governo di sudditi, dichiarando “che senso ha intercettare un mafioso mentre parla con la madre? E’ un abuso”.

Per fortuna Cesare si circonda sempre di persone alla sua altezza in modo che ci possano spiegare anche delle azioni politiche incomprensibili. Ringrazio, quindi, l’On Santanché per avermi fatto capire l’importanza della tutela della privacy dei mafiosi. Grazie! In effetti, tutelare la riservatezza di persone che hanno ucciso, calpestato la dignità, rovinato attività economiche, disprezzato ogni legge dello Stato, riciclato denaro sporco e insultato quotidianamente le istituzioni dovrebbe essere il primo punto politico di un’attività di governo guidata dal grande dittatore.

Adesso alcuni giudici comunisti parlano di P3 e affermano che è implicato anche Cesare. Non penso che ciò sia possibile. Mi chiedo a cosa gli possa servire fare parte di una società segreta quando utilizza le istituzioni come se fossero sue. Sarebbe una contraddizione!

Sono sicuro che, non appena avrà portato a definitivo compimento il Piano di rinascita democratica, Cesare si ritirerà a vita privata. Gli manca solo la dissoluzione totale della televisione pubblica, una seria riforma della giustizia in modo da rendere la magistratura finalmente sottoposta al potere esecutivo, la riduzione del mandato del Presidente della Repubblica, la modifica dei confini delle Regioni, la limitazione del diritto di sciopero e l’esclusione dei servizi pubblici essenziali. Dopo tutto questo, Licio Gelli potrà ricordare una sua dichiarazione del 31 ottobre 2008 in cui affermava: “l’unico che può andare avanti penso che possa essere Berlusconi, non perché era iscritto alla Loggia massonica P2, ma perché ha la tempra di grande uomo e ci ha saputo fare fino ad oggi”.

Io, però, nonostante tutto mi sento un po’ oppresso dalla magnificenza di Cesare. E’ come se la sua grandezza oscurasse qualcosa di più importante che, però, in questo paese si intravede difficilmente. È strano perché mi sembra che stia celando e infangando proprio quello per cui dice di aver iniziato a fare politica. È sicuramente un mio errore … eppure mi sembra che Cesare stia calpestando la libertà.

VARESENEWS sugli arresti “predetti” da Giulio Cavalli

Gli arrestati accusati di essere affiliati alla ‘ndrangheta che operano nel territorio del Varesotto, tutti appartenenti alla locale “Lonate Pozzolo-Legnano” sono volti noti, già coinvolti nell’operazione Bad Boys (prossima udienza in ottobre) messa a segno nel marzo/aprile 2009. In manette è finito nuovamente Vincenzo Rispoli, ortolano, 48 anni, residente a Legnano: è sospettato di essere il capo della locale “Lonate Pozzolo-Legnano”, con contatti stretti con i vertici della cosca Farao Marincola che domina a Cirò Marina suo paese d’origine (è nipote di Giuseppe Farao, capobastone del clan cirotano) Rispoli era finito in carcere lo scorso aprile, per poi essere liberato dalla Corte di Cassazione nel novembre 2009 in seguito ad un ricorso del suo avvocato. Il vice di Rispoli secondo gli inquirenti sarebbe Emanuele De Castro, classe 1968, muratore residente a Lonate Pozzolo ed originario di Cirò Marina, anch’egli arrestato nell’operazione Bad Boys; come pure Nicodemo Filippelli, 39 anni, imprenditore edile, lonatese d’importazione e cirotano d’origine, fratello di Mario, condannato in primo grado a 13 anni e 4 mesi di carcere per associazione mafiosa ed estorsione. In manette anche altre vecchie conoscenze già finiti in manette tra marzo e aprile 2009: Luigi Mancuso, classe 1977, commerciante di Busto Arsizio; Antonio Benevento, classe 1974, muratore di Legnano; Fabio Zocchi, classe 1962, immobiliarista residente a Gallarate. Con loro in carcere è finito anche Vincenzo Alessio Novella di Legnano. Affiliati alla locale di Bollate sarebbero invece Ernestino Rocca, Annunziato Vetrano e Orlando Attilio Vetrano, tutti residenti a Saronno. Le indagini sono partite dall’omicidio del dissidente Carmelo Novella assassinato il 14 luglio 2008, in un bar di San Vittore Olona, a due passi da Legnano.

Come detto gli arrestati di Legnano, Lonate Pozzolo, Gallarate e Busto Arsizio sono tutti appartenenti alla cosca legata ai Farao Marincola: un’organizzazione molto ricca e altrettanto ben introdotta negli ambienti che contano, dalle amministrazioni comunali agli istituti di credito. I carabinieri solo pochi mesi fa (a marzo 2010) avevano messo a segno un maxi sequestro contro i beni della cosca: 20 milioni di euro,17 società, 34 appartamenti, 4 bar e ristoranti, 1 terreno, 20 auto, 70 conti correnti. Gestivano bar e ristoranti e si trovavano per prendere decisioni al crossodromo di Cardano al Campo e in locali di Busto e Legnano. A loro sarebbero anche da ricondurre anche gli omicidi di Cataldo Murano, trovato carbonizzato nella sua auto in zona boschiva di Lonate Pozzolo il 6 gennaio 2005; Giuseppe Russo, (foto a destra) avvenuto il 27 novembre 2005 all’interno di un bar di Lonate Pozzolo e Alfonso Murano, avvenuto a Ferno il 27 febbraio 2006. Di loro ha parlato più volte Giulio Cavalli, attore teatrale e da poco consigliere regionale dell’Italia dei Valori: nel suo spettacolo si citano sempre Rispoli (il “principe nero”), i Filippelli, De Castro, si ricorda la sfilata del santo cirotano, San Cataldo, che ha preso il posto di Sant’Ambrogio e dei santi “nostrani”, le intimidazioni di Lonate Pozzolo e Besnate e le denunce di alcuni (pochi) che ci avevano visto lungo.

http://www3.varesenews.it/lombardia/articolo.php?id=178507

‘Ndrangheta: una valanga di merda in Lombardia

Scrivo questo pezzo con rabbia. Che non sarà certo un sentimento nobile e sicuramente non è elegante per il mio ruolo (che ancora qualcuno dovrebbe spiegarmi in un gioco di rimbalzi e delazioni che mi hanno trascinato su tavoli diversi da giullare scarso a politicante interessato). Non è elegante, mi dicono, lasciarmi prendere dalla pancia che è una zona molle. Eppure oggi provo rabbia. Forse perché mentre scrivo sono di fianco ai nomi di questo Consiglio Regionale che vengono “segnalati” nell’ordinanza e nemmeno troppo preoccupati stanno preparando la strategia difensiva tutta di comunicazione e per niente sui fatti, i riscontri e la realtà. Come al solito. Però scrivo con il sorriso. Il sorriso nel leggere le intercettazioni dove queste merde criminali trapiantate anche qui si sentono braccati come topi di fogna mentre si dicono “questa volta non ce la scampiamo”, con la Boccassini sulle carte a tenere la barra diritta in un’operazione che comunque passerà alla storia. E allora mi si accende il sorriso ad immaginarmeli Alessandro Manno e Emanuel De Castro che scodinzolano desolati sotto gli stipiti. Mi si apre il sorriso a pensare che la mafia che in Lombardia non esiste ha deciso in Lombardia di chiamarsi proprio “Lombardia”, mentre il boss Pino Neri veniva eletto a Paderno Dugnano in un Centro intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sorrido perché non potranno rimanere impuniti: impuniti loro e impuniti tutti quelli che non sentono e non vogliono sentire, in una palude di immobile e latente inciviltà dove informare è un atto di coraggio. Non si potrà stare a lungo impuniti a forza di giocare a fare i sordi: magari mangiati, comprati, giudicati, annessi o complici. Perché il silenzio è complice. E allora mi sia giustificata la rabbia davanti ad un silenzio gelatinoso e interessato che oggi sanguina come di certo non si può nascondere. Lasciando per un secondo il tempo delle analisi, delle considerazioni, dei risvolti politici o criminali. Mi si lasci la rabbia e il sorriso di guardare oggi negli occhi chi gioca a sommergersi tenendomi la testa sott’acqua.

Da AGORAVOX: Voglio battermi per costruire un’Italia migliore

L’ho scritto già il giorno dopo l’approvazione della legge al Senato. Lo ribadisco oggi. Ci troviamo dinanzi una situazione per cui Antigone si deve scontrare con Creonte. Sono sempre più convinto che bisogna chiedere, ad ogni cittadino, la disobbedienza civile a una legge ingiusta. Dobbiamo fare in modo che Creonte riconosca le ragioni di Antigone e non possa permettersi di mandarla in esilio, perché il consenso elettorale non equivale all’annichilimento del diritto.

Essere eletti non significa agire sopra le leggi ma per esse. Agire affinché i cittadini siano coinvolti nella vita del paese e non si sentano succubi del re di turno. No, questa volta il re non deve agire per sé. Nell’Italia dei furbetti, delle cricche, delle tangenti, approvare questa legge significa abiurare alla democrazia. Perché con questo disegno di legge il Governo si contrappone inevitabilmente al diritto, poiché in uno stato di diritto non è accettabile una legge che si scontra con la norma costituzionale e con la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell’uomo).

Non è accettabile che si facciano leggi a tutela dei propri interessi. Non è accettabile che si imbavagli la stampa. Non è accettabile. Punto.

Sono stato tra i primi a scrivere per AgoraVox e da sempre gli sono accanto nella battaglia per la libertà d’espressione. Ero sul palco il giorno in cui è stata presentata a Roma, sono qui, oggi, mentre adempie al suo compito di watchdog della poltica e dell’informazione.

Insieme abbiamo creato Mafiopoli, abbiamo sfidato boss e comparse, abbiamo seguito l’Expo, denunciato connivenze. Abbiamo fatto un percorso lungo. Un percorso che non può fermarsi, ora, dinanzi alla volontà di un’élite il cui unico scopo è la tutela dei propri interessi.

Se dovrò disobbedire, lo farò. Se dovrò pubblicare su AgoraVox le notizie che altrove non si potranno pubblicare lo farò. Non è con una legge che si è espropiati del nostro diritto alla parola. Non è con una legge che si annullano i nostri diritti di cittadinanza.

Tutto ciò non è solamente un’ipoteca sul futuro ma anche una tomba sulla nostra storia recente. E’ un macigno gettato sulla lotta alla criminalità organizzata e sulle loro vittime. Perché tante volte le indagini non nascono come indagini di mafia ma lo diventano. Con questa legge, alcune, non sarebbero mai partite. Io non voglio vivere in un paese che dimentica il suo passato e ipoteca il suo futuro. Voglio battermi per costruire un’Italia migliore.

Io ci sono. E voi?

http://www.agoravox.it/Voglio-battermi-per-costruire-un.html