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Agosto 2013

Chiedere qualcosa di normale

Francesco spiega in due parole. Non avrei potuto farlo meglio:

Quando una petizione online può essere utile?
Secondo me quando non si insegue una chimera, ma si ha un obiettivo normale.
L’obiettivo è quello di pensare di vivere in un Paese dove se un boss pentito e collaboratore di Giustizia rilascia ben due interviste dove dice che le cosche ‘ndranghetiste, con la complicità anche di una parte di politica lombarda, tramano per l’annullamento della scorta e l’eliminazione di un uomo di Cultura, le istituzioni diano una risposta immediata.
Le parole di Bonaventura vanno verificate, questo dovrebbe essere normale e penso che sia normale chiederlo.

La petizione è qui:

http://www.avaaz.org/it/petition/Risposte_immediate_sulla_sicurezza_di_Giulio_Cavalli/

A Bari si spara, in testa al boss

Felice Campanale aveva 67 anni ed era lo storico boss del quartiere San Girolamo a Bari. Da sempre i Campanale sono in guerra con i Lorusso lì nel quartiere e nelle zone limitrofe. Storie da Montecchi e Capuleti solo che qui al posto della poesia scorre il sangue.

Questa sera Campanale aveva deciso di fare il nonno con i suoi nipoti (magari insegnando il suo concetto distorto di dignità) e tutti insieme sono andati al Gommapark: lui, la nonna e i nipotini, come nei film delle famiglie felici. Alle nove di sera, si sa, i piccoli devono fare la pipì, lavarsi i denti e andare a nanna e quindi hanno deciso di avviarsi all’auto per concludere la serata, in viale De Laurentis, Poggiofranco, un bel quartiere residenziale di Bari.

Quattro spari hanno lasciato per terra il boss a forma di nonno: tre in pancia e uno in testa. Questo non c’è nei film delle famiglie felici, no.

Poco dopo i guappi hanno cercato vendetta in giro. A Bari si sono sentiti spari un po’ dappertutto: sul lungomare IX Maggio, a nord di Bari, nel quartiere San Girolamo. Giù nel quartiere del Campanale è stato crivellato un fiorino sotto l’abitazione degli storici nemici Lorusso.

Poi adesso è arrivata la notte e si va tutti a dormire. ‘Tanto si ammazzano tra loro’ dirà qualcuno subito al primo caffè domattina.

Assumere testimoni, di giustizia

Nell’articolo 2 del «Decreto legge recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni» si dice che i testimoni di giustizia possono essere assunti nelle Pubbliche Amministrazioni. Ed è una gran bella notizia: prima di tutto perché equipara la figura del testimone di giustizia a quella dei famigliari di vittime di mafia (nei diritti lavorativi) e quindi sancisce l’importanza di due figure chiave nell’ecologia morale di questo Stato e poi perché, simbolicamente, determina l’assunzione in tutte le sue forme.

Si può assumere qualcuno non solo dal punto di vista professionale ma anche, e soprattutto, assumendosene la responsabilità di vita, di tutela e di dignità. E da oggi l’Italia decide finalmente di farlo in una forma più completa e responsabile.

E’ un’assunzione senza bisogno di cielo ma con tanta lungimiranza terrena.

E secondo il viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico (che presiede la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciale misure di protezione, organismo che ha il compito di definire le speciali misure di protezione per i testimoni e collaboratori di giustizia) la misura riguarderà potenzialmente un’ottantina di persone.

L’obiettivo, spiega Bubbico, “è quello di mettere in campo strumenti di premialità per i testimoni in modo da incoraggiare un atto di responsabile cittadinanza da parte di chi ha potuto assistere a vicende criminose”.

Naturalmente, sottolinea, “la priorità è quella di garantire la sicurezza di queste persone, perché un testimone per fatti di mafia corre rischi. Con questo provvedimento – aggiunge – si estende ai testimoni di giustizia la norma già in vigore per vittime del terrorismo e della criminalità organizzata che prevede un percorso preferenziale per l’assegnazione di un posto di lavoro nella Pubblica amministrazione”.  I testimoni di giustizia, ricorda il viceministro, “sono costretti a lasciare il luogo dove vivono e lavorano, ad abbandonare le attività economiche, a subire il trauma dello sradicamento e dunque è giusto sostenerli con un’opportunità occupazionale che consenta loro di ricostruire un proprio profilo professionale superando la precarietà in cui spesso sono costretti a vivere”.  Sarà successivamente un decreto del ministero dell’Interno a stabilire le modalità di attuazione del provvedimento.

Basta parole: ora salvatemi

Il mio intervento per L’Espresso:

Questa mattina mi sono svegliato leggendomi nelle parole del pentito Luigi Bonaventura che parla di politici lombardi informati del piano che avrebbe dovuto uccidermi.

Un’altra volta: un mese fa sempre l’ex boss della cosca Vrenna-Bonaventura di Crotone aveva descritto minuziosamente il piano che avrebbe dovuto uccidermi.

Un mese fa mi era scoppiata in mano la paura, pensavo di esserci abituato e invece no: la paura ti scoppia in faccia ogni volta con una forma diversa e non riesci proprio ad abituartici, forse meglio così.

Ma leggendo le parole di Bonaventura oggi (e ascoltandolo) mi si accende la rabbia. Rabbia vera, rabbia da scassaminchia nella rilettura di questo ultimo mese di solidarietà come popcorn mentre si proietta il nulla.

Luigi Bonaventura è un collaboratore di giustizia ritenuto “altamente affidabile” dalle Procure di mezza Italia. Ora decide di svelare un disegno che è mafioso ma anche politico per l’eliminazione di qualcuno (lasciamo perdere che sia io, non è importante, ora) e richiama dati, persone e luoghi che sono facilmente riscontrabili davanti ad un magistrato.

Oggi Bonaventura ha anche dichiarato di essere pronto a giocarsi la propria credibilità con queste sue affermazioni e si dichiara disponibile ad uscire dal programma di protezione nel caso in cui non siano riconosciute veritiere.

In un Paese normale (ma noi non siamo un Paese normale) in questo ultimo mese l’ex boss sarebbe stato trascinato davanti ad un magistrato per dire tutto quello che sa (e tutto in un colpo solo, magari) e ci avrebbero già detto se è folle, sincero, manovrato o coraggiosissimo. In un Paese normale, certo: in questo ultimo mese ho incassato solidarietà, tanta, come se piovesse, e più di qualcuno mi dice che dovrebbe bastarmi così.

E invece no, grazie, grazie no, la solidarietà non è affar di Stato ma è movimento di società civile che pretende risposte: rivendermela come una risposta che mi dovrebbe bastare è un gioco da pacchisti di altri tempi.

Non me ne frega più niente a questo punto della solidarietà, non mi serve più avere le pacche sulla spalla come un frate missionario che ha fatto voto di ‘pericolo’ e va rispettato anche solo per questo, basta, no, grazie: ora voglio sapere se il ministro Alfano, la destra, la sinistra, il Movimento 5 Stelle, il governatore Maroni, il ‘lombardo’ Ambrosoli e tutti quelli che hanno ruolo politico in terre interessate da questa storia hanno intenzione di fare qualcosa.

Qualcosa di più di una telefonata perché quella no, non mi protegge dagli attentati.

Vorrei capire se ancora non abbiamo capito che il silenzio è il foyer perfetto per la tragedia e davvero non abbiamo imparato che il silenzio è complice.

Se succederà qualcosa sarà colpa dei silenti. Se Bonaventura arriverà in ritardo con l’appuntamento dei riscontri dovuti o se dovrò perderci la testa dietro a questa paura.

Ditemi che rischio e mi difendete o che il pentito è un bugiardo: il resto è per i ciarlatani.

Non mi interessa essere un eroe, mi interessa riconoscere uno Stato organizzato, non solo organizzata la criminalità.

E’ troppo?

Per me, i miei famigliari e i miei figli è il minimo indispensabile. “Agibilità sociale”, direi, se serve un buon titolo per i giornali.

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Da LINKIESTA: Giulio Cavalli e gli «amici politici» delle cosche

L’articolo di Luca Rinaldi per LINKIESTA:

Le parole dei collaboratori di giustizia, per quanto dichiarati affidabili dalla magistratura, sono sempre da prendere con le molle. Il passo da fare è quello di verificarle e di chiedere conto a coloro che sono tirati in ballo dalla dichiarazioni dei cosiddetti “pentiti”. Ecco, appurato che verificare i riscontri alle parole dei collaboratori è in primis un compito che spetta a magistratura e investigatori, chissà cosa avrà da dire la politica lombarda sulle ultime dichiarazioni del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura.

Bonaventura non si è mai fatto mancare l’aspetto mediatico sulla sua vita da pentito “usato, abbandonato e sotto tiro” e l’attendibilità delle sue dichiarazioni è stata più volte riscontrata. Nelle ultime settimane il collaboratore di giustizia affiliato alla cosca Vrenna di Crotone ha rilasciato più di una intervista al sito Fanpage in cui la ‘ndrangheta avrebbe progettato di far tacere in qualche modo l’attore, regista e autore teatrale, nonchè ex consigliere regionale della Lombardia Giulio Cavalli. Uno che di mafia in Lombardia parlava nei suoi spettacoli quando il tema era ancora tabù e che per questo motivo finì sotto scorta nel 2009.

Insomma, Giulio Cavalli, come ripete anche Bonaventura era uno “scassaminchia” e come tale minacce e intimidazioni erano per lui diventate compagne terribili. Nel 2010 si candida alla Regione Lombardia e viene eletto come consigliere regionale, negli stessi periodi in cui i cittadini lombardi (ri)scoprono di avere la mafia in casa e anche in politica. Una politica che non disdegna di elemosinare voti agli appartenenti alle organizzazioni criminali, che di certo non ce l’hanno scritti in fronte, ma che, per citare Ilda Boccassini, basterebbe fare una ricerca su Internet per avere notizie sul loro conto.

Nelle intervista rilasciate a Fanpage Bonaventura parla prima di un progetto per mettere Cavalli a tacere da parte del clan dei De Stefano, tra i clan che comandano in Calabria e anche in Lombardia, e in ultimo lo stesso collaboratore di giustizia aggiunge che «la politica lombarda sosteneva la ‘Ndrangheta». Frase un po’ ad effetto, che non condita da nomi e cognomi dice tutto e niente. «Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici», riferisce Bonaventura usando le parole dei De Stefano.

Circostanze dunque tutte da verificare, ma che non stupirebbero nemmeno poi più di tanto: il pentito glissa su nomi e area politica «su questa domanda preferisco non rispondere perché la mia posizione non è molto sicura. Preferisco riferire ai magistrati». Ancora nessuno però si è fatto vivo alla porta di Bonaventura da quando ha rilasciato queste dichiarazioni su Giulio Cavalli. Lo stesso si dice scioccato: «dal fatto che nessuno sia venuto a raccogliere queste informazioni che sto rivelando nessuno mi ha sentito su questa vicenda, dovrebbe essere il minimo ascoltarmi, mettere sotto protezione me e le informazioni. Sembra che mi stiano lasciando qua, aspettando cosa? Che io muoia e con me le informazioni? Oppure che venga spinto a ritrattare?».

L’augurio è quello che qualcuno tra i magistrati e gli investigatori si premuri di verificare le dichiarazioni di Bonaventura, e allo stesso modo, che se qualcuno al Pirellone, o tra gli ex del Pirellone ne sa qualcosa parli. Perché se «gli amici politici» dei De Stefano avevano intenzione di mettere a tacere Giulio Cavalli con l’aiuto della ‘ndrangheta sarebbe bene saperlo. Hanno qualcosa da dire in proposito? Qualcuno che è saltato sulla sedia credo ci sarà, altrimenti non avrei potuto raccogliere inchieste e reportage sulla mafia in Lombardia in questo eBook. Inutile dire intanto della vicinanza che va a Giulio Cavalli, anche e soprattutto, per non aver mai accettato quel comodo ruolo della vittima con i riflettori puntati addosso.

Il pentito Bonaventura: “Giulio Cavalli doveva tacere: la politica lombarda sosteneva la ‘Ndrangheta”

Ecco l’articolo uscito oggi su Fanpage.it:

“Dietro i piani di per mettere a tacere per sempre Giulio Cavalli – rivela l’ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura – c’è anche una parte di politica collusa e ambienti istituzionali. Quando venni avvicinato dai De Stefano, loro mi dissero: “Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici”.

Dietro la ‘Ndrangheta, la politica. Luigi Bonaventura, ex reggente della cosca Vrenna-Bonaventura che nell’intervista rilasciata a Fanpage due settimane fa ha rivelato i piani della criminalità organizzata per uccidere l’attore e scrittore Giulio Cavalli, questa volta aggiunge qualcosa in più. Alza il tiro. Di fronte al silenzio delle istituzioni, lui che ha portato all’arresto di oltre 130 membri della più importante cosca di Crotone nel corso dell’operazione Heracles coordinata dal procuratore Pierpaolo Bruni della Dda di Catanzaro, pronuncia la parola “politica”. Accanto a politica, Bonaventura aggiunge un dettaglio: “lombarda”.

Proprio così: “Dietro i piani di per mettere a tacere per sempre Giulio Cavalli  – rivela a Fanpage.it – c’è anche una parte di politica collusa e ambienti istituzionali, nel senso che le azioni erano fortemente volute anche da qualche politico, nello specifico lombardo. Quando venni avvicinato dai De Stefano, loro mi dissero: “Questa qui è anche la volontà di amici nostri politici”. Qualcuno, spiega il collaboratore di giustizia, fa parte anche della politica nazionale. Personaggi pesanti, insomma. E perché dava fastidio, Giulio Cavalli? “Perché parlare di ‘Ndrangheta, nel 2011, in Lombardia era tabù. Era considerato uno ‘scassaminchia’. Oggi è nota la sua presenza al Nord”. Sull’area politica, il partito o i partiti dietro queste “volontà” Bonaventura si ferma: “Su questa domanda preferisco non rispondere perché la mia posizione non è molto sicura. Preferisco riferire ai magistrati”.

Su queste scottanti rivelazioni, però, nessuno ancora ha bussato alla sua porta. E il collaboratore di giustizia da sette anni, giudicato altamente attendibile e per questo collaboratore di nove procura, la Dna e una procura straniera, e tuttavia senza scorta da sempre, è qui che usa un termine particolare: “scioccato”. Da cosa è scioccato? “Dal fatto che nessuno sia venuto a raccogliere queste informazioni che sto rivelando – risponde – nessuno mi ha sentito su questa vicenda, dovrebbe essere il minimo ascoltarmi, mettere sotto protezione me e le informazioni. Sembra che mi stiano lasciando qua, aspettando cosa? Che io muoia e con me le informazioni? Oppure che venga spinto a ritrattare?”.

E poi, preoccupazione per Giulio Cavalli: “Potrebbero togliergli la scorta – dice – Ma Giulio è un patrimonio da proteggere. Se ci fosse attenzione da parte della politica, se ci fosse qualcuno che alzasse la voce insieme ad associazioni dell’antimafia sociale, insieme un risultato si potrebbe raggiungere”.

Infine, l’appello alle istituzioni, fino ad ora silenti: “Mi rivolgo ad Alfano: si impegni a fare qualcosa per assicurare la giusta protezione a Giulio Cavalli e me. Mi rivolgo al premier Letta, non sottovaluti questa situazione. Non vorrei essere spavaldo né arrogante – aggiunge – Ma a questo punto dico: se Bonaventura è attendibile che si mettesse in protezione, se non lo è che si dichiarasse subito la sua inattendibilità  e venga escluso dal programma di protezione”.

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