Vai al contenuto

Gennaio 2014

La lezione dei detenuti ai commentatori (online)

Ai commenti idioti siamo abituati. Ai commentatori stupidi pure (e mica solo online).  Mantenere la discussione sul confronto senza offesa è un’impresa sempre più ardua per una serie di concause che contribuiscono al decadimento culturale generale su cui abbiamo tanto scritto e continuiamo tanto a leggere. Per esperienza personale devo ammettere che il luogo di pubblicazione cambia moltissimo il tono dei commentatori presenti e proprio per questo mi colpisce piacevolmente la risposta dei detenuti di Rebibbia ai commentatori de Il Fatto Quotidiano online. Una lezione di umanità, certo, ma soprattutto una lezione di utilizzo più maturo della parole (sul web): il potere scrivere di getto non toglie la possibilità di essere letti con calma.

E ancora, per l’ennesima volta, vogliamo ringraziare anche il signor Paolo. Quest’ultimo, nel suo messaggio al sito, non si limita agli insulti. Ma tenta un ragionamento. Dice che la difesa dei detenuti non deve appartenere alla cultura del Fatto Quotidiano e aggiunge che temi come questi, al massimo, possono trovare spazio su l’Unità. Una risposta ce l’aspettiamo anche da parte della redazione del Fatto, ma intanto noi una cosa al signor Paolo la vorremmo dire. Ricordandogli che è laCostituzione che dovrebbe obbligare i responsabili al reinserimento dei detenuti nella società. E il rispetto della Carta Costituzionale non crediamo che appartenga ad una sola parte politica, ma dovrebbe essere un elemento che
unisce tutti i partiti, tutte le culture, tutti gli orientamenti. O no? E infine, una parola su ‘leuciscus’. Lui ci vuole ben chiusi qui dentro. E chiede che si butti via la chiave. Noi non sappiamo chi sia che si nasconde dietro questo nomignolo. Magari è una persona integerrima, quelle “tutte di un pezzo”. Però le persone, tutte le altre persone al mondo, non sono fatte così. Capita nella vita di sbagliare. Capita di sbagliare molto e gravemente. Il diritto ad avere un’altra occasione,  dopo anni passati qui dentro, non sarà una norma prevista dalle leggi, ma crediamo debba essere un imperativo morale. Almeno per le persone che vogliono restare umane.
Sì, la cosa che più ci ha colpito della stragrande maggioranza dei commenti è proprio questa mancanza di umanità. E un mondo senza umanità è orrendo. Per chi sta in cella, ma anche per chi sta fuori.

Minacce in aula

Comunque la si pensi le minacce (in un’Aula di Tribunale) rivolte a Christian Abbondanza oggi da Peppino Marcianò sono la testimonianza che la misura è colma e la responsabilità dell’antimafia evidentemente sfilacciata:

“Tu ridi perché io sono qui dentro e tu sei là fuori. Ma se fossi fuori, non rideresti più”. Dalla gabbia dell’aula Trifuoggi del tribunale di Imperia, dove si sta svolgendo il processo per ‘ndrangheta “La Svolta”, Vincenzo Marcianò, figlio del presunto di boss di VentimigliaPeppino, non rinuncia a minacciare (guarda l’intervista a Peppino Marcianò nel video di ilfattoquotidiano.it). Vittima dell’intimidazione è Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità di Genova, che assisteva all’udienza in prima fila. L’episodio si è poi ripetuto nel pomeriggio, poco prima che gli imputati decidessero di abbandonare l’aula come forma di “rispetto” e “in solidarietà” con Peppino Marcianò che, a 81 anni, non si è sentito bene e – per la seconda volta in due giorni – ha lasciato il processo.

Aspettando di essere tradotto fuori dalla gabbia con il padre in sedia a rotelle, Vincenzo si è rivolto ad Abbondanza apostrofandolo per due volte “pezzo di merda” e indicando le sbarre che lo separavano da lui. Le minacce sono state prese seriamente dagli agenti in servizio presso il tribunale, che hanno invitato l’attivista della Casa della Legalità a sporgere denuncia. Questo anche per li clima di tensione che si respira nel procedimento che vede 36 persone alla sbarra e che potrebbe arrivare a sancire per la prima volta la presenza della ‘ndrangheta in Liguria. Lo stesso pm della Dda, Giovanni Arena, che sta conducendo l’accusa, è stato posto sotto protezione dopo che alcuni imputati si sono lasciati andare a frasi ingiuriose e di tono minaccioso durante una delle ultime udienze.

Non è stato questo il primo avvertimento ricevuto dal pm. Già a luglio scorso, il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, lo aveva avvertito: “Lei dottor Arena è a rischio. La ’ndrangheta, quando vi saranno delle sentenze o delle conflsche di beni, gliela farà pagare. Non aspettate che succeda perchè poi sará tardi. Non necessariamente agiscono con criminali ma il più delle volte tramite persone insospettabili che vengono definite “corpo riservato”» Quelle di oggi non sono state le prime minacce neanche per Abbondanza, il cui nome ricorre più volte nelle intercettazioni dell’inchiesta La Svolta, profferito dagli imputati.

Dalle carte dell’indagine, infatti emerge che Peppino Marcianò era molto attento alla stampa e a quanto veniva pubblicato. Soprattutto da “quel cornuto di Ventimiglia (il blogger Marco Ballestra ndr) e Savona” (Abbondanza ndr). “Dovrebberlo aspettarlo e non lo devono ammazzare, ma gli devono tagliare la faccia, perché sta facendo troppi problem” si lascia scappare una volta Marcianò, mentre il figlio Vincenzo, l’autore delle ultime minacce, puntualizza “che secondo lui sarebbe da chiudere in qualche strada di campagna e sparargli alle gambe come avvertimento, e che comunque, se fosse capitato a lui di essere bersagliato a quell modo, lo avrebbe ammazzato”.

Chissà che qualcuno non rifletta. Perché queste certo non sono minacce che si possano inventare. O no?

Un Paese dopato

economia-criminaleInsomma l’economia è diventata da tempo il metro di giudizio della riuscita di un popolo. Non piace ma è così. E allora tutti a sciorinare numeri (avete notato che la ripresa è stata annunciata già una decina di volte da questo Governo, no?) e tutti a fantasticare dietro al feticcio del PIL. Io che lavoro con le parole non mi ci ritrovo ma questo srebbe il meno se non fosse che non ci si ritrova ultimamente chiunque abbia a che vedere con la felicità e la dignità. E quando ci illustrano i numeri continuano a parlare di un fatturato che non è reale poiché troppo appesantito dall’economia illegale che dopa la prestazione come nei peggiori sportivi olimpionici. Così oggi esce un articolo su Repubblica che dovrebbe almeno far vacillare le sicurezze dei capi di partito e dovrebbe rimettere in sesto le priorità e invece (scommettiamo?) rimarrà letto e incustodito come tutti gli altri:

Come una metastasi, l’economia nera, quella che reinveste, riciclandolo, il denaro pompato dal crimine, divora il Paese con percentuali di crescita spettacolari. Il denaro sporco immesso nel nostro circuito finanziario ed economico – secondo quanto documentato dalla Guardia di Finanza – ha abbondantemente superato nel 2013 il 10 per cento del Pil, ed è stimato in 170 miliardi di euro l’anno (75 dei quali sottratti al Fisco). Con margini di ricavo che oscillano tra i 17,7 e i 33,7 miliardi di euro e con una divisione del mercato che, sempre su base annuale, vede in cima all’istogramma della redditività il narcotraffico (7,7 miliardi di euro), seguito dalle estorsioni (4,7 miliardi), lo sfruttamento della prostituzione (4,6 miliardi) e la contraffazione (4,5 miliardi).

Il lavoro della Finanza ha consentito negli ultimi dodici mesi di sottrarre a questa immensa torta 3 miliardi di euro (si tratta del valore dei beni sequestrati alla criminalità organizzata). Un dato in sé lusinghiero e tuttavia infinitesimale se tradotto in percentuale (meno del 2 per cento) rispetto a quel valore assoluto – 170 miliardi – che definisce appunto il perimetro dell’economia criminale. Le mafie italiane e il loro fiorentissimo indotto di illegalità e riciclaggio nelle sue diverse forme – dall’usuraio di quartiere, alle società finanziarie, ai broker assicurativi – lavorano infatti in un mercato dei capitali aperto che cammina assai più rapido degli strumenti legislativi o amministrativi costruiti per aggredirlo. E a dimostrarlo basterebbero le 86 mila segnalazioni di operazioni finanziarie sospette girate nel 2013 dall’Uif della Banca d’Italia alla Polizia valutaria, il 40 per cento in più del 2012.

Le buone priorità per un buon governo

“Ieri la procura di Roma e la Guardia di Finanza hanno sequestrato beni per 154 milioni di euro, oggi sono stati sequestrati altri 270 milioni per un totale di 424 milioni di euro, un importo che equivale alla mini Imu. In due giorni sono stati sequestrati beni per oltre 400 milioni di euro – ha detto Pignatone – quanto la mini Imu sulla quale il Parlamento si e’ cosi’ affaticato negli ultimi mesi per trovare un modo per non farla pagare. Se si riuscisse a fare una seria lotta all’evasione…”.

Giuseppe Pignatone, Procuratore Capo della Procura di Roma

Mutolo e l’importanza di tenere alta l’attenzione

In un’intervista il pentito Gaspare Mutolo rispondendo a Silvia Truzzi de Il Fatto Quotidiano ancora una volta ci ricorda quanto “tenere alta l’attenzione” sia un fastidioso problema per le mafie. La risposta non è scontata non solo per il giudizio sull’azione politica (c’erano dubbi?) ma soprattutto perché investe i famigliari di vittime di mafia (e quelli che amplificano la loro voce) di una responsabilità pubblica oltre il dolore privato che per fortuna ha funzionato meglio della politica e continua a funzionare.

Mutolo, che cosa pensa delle intercettazioni di Riina?
Le aspettative di Riina, ma non solo le sue, sono state tradite: si capisce da come parla con Lorusso, quel compagno di sventura suo. Dopo tanti anni di collusione tra mafia, politica e affari, tutti questi grossi personaggi come Riina sono finiti in galera. Secondo la loro mentalità storta è perché sono stati traditi. La realtà è che i politici sono stati incalzati, in questi anni, dalle associazioni, dai familiari delle vittime della mafia. Penso a Maria Falcone, a Salvatore Borsellino, ai figli di Dalla Chiesa, alla moglie di Rocco Chinnici: persone che hanno continuato a mantenere alta l’attenzione sulle cose della mafia. Sono loro gli unici che lottano alla mafia, la volontà politica non c’è. Non vedo nessuna volontà di tagliare questi cordoni ombelicali tra le istituzioni e Cosa Nostra.

Il villaggio turistico della ‘ndrangheta

vista-generale-2_kleinLa Guardia di finanza ha sequestrato a Brancaleone un complesso turistico-residenziale del valore di 200 milioni di euro, alla cui realizzazione sarebbero state interessate le cosche di ‘ndrangheta degli Aquino e dei Morabito.  Il sequestro è stato fatto dal Comando provinciale di Reggio Calabria e dallo Scico di Roma delle Fiamme gialle, in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip del Tribunale reggino su richiesta della Dda. Cinque persone, tra imprenditori e pubblici funzionari, sono state denunciate in stato di libertà con l’accusa di abuso d’ufficio e falsità ideologica aggravati dalla finalità di agevolare l’attività della ‘ndrangheta, oltre che per reati paesaggistici ed urbanistici. Le indagini, coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, hanno portato ad accertare la realizzazione nella zona jonica reggina, parte della quale sottoposta a vincolo paesaggistico, di opere abusive di imponente portata a favore delle due cosche di ‘ndrangheta.

Decine di ville realizzate su un ex terreno agricolo prospiciente il mare destinato ad uso turistico-residenziale grazie alla complicità di settori amministrativi comunali: è questo il complesso “Gioiello del mare” sequestrato dalla Guardia di finanza a Brancaleone ed alla cui realizzazione erano interessate le cosche di ‘ndrangheta degli Aquino e dei Morabito. Il cambio d’uso del terreno sul quale è stato realizzato il complesso turistico è stato ottenuto, secondo quanto è emerso dalle indagini, grazie ad una variante dello strumento urbanistico comunale che sarebbe stata illegittima. Tra le cinque persone denunciate c’è anche il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Brancaleone, l’architetto Carmelo Borrello, di 45 anni, responsabile del procedimento in base al quale è stato realizzato il complesso turistico. Il sequestro e le denunce di oggi rappresentano il seguito dell’operazione Metropolis che nel marzo del 2013 portò all’arresto di alcuni imprenditori collegati alle stesse cosche di ‘ndrangheta coinvolte nell’operazione odierna. Tra di loro, due, Antonio Cuppari, di 50 anni, e Domenico Vitale, di 40, sono tra i cinque denunciati di oggi. Le altre persone coinvolte sono gli imprenditori Antonio Toscano, di 43 anni, e Antonino Iriti, di 56.

Beni per 12 milioni di euro sono stati sequestrati agli imprenditori Giuseppe e Pasquale Mattiani, di 79 e 51 anni, padre e figlio. L’operazione è stata portata a termine dagli agenti della Polizia di Stato di Reggio Calabria e Palmi e dal personale della Dia reggina e di Roma. Il provvedimento di sequestro, al termine di indagini condotte dalla Dda, è stato emesso dai giudici del tribunale di Reggio Calabria. Ai Mattiani sono stati sequestrati una villa, un fabbricato composto da quattro appartamenti, un immobile commerciale e vari terreni siti a Palmi, oltre ad altri tre immobili in zone lussuose di Roma. Il 12 novembre scorso a Giuseppe e Pasquale Mattiani furono già sequestrati beni per 150 milioni di euro, tra cui due alberghi a quattro stelle: l’hotel Gianicolo a Roma e l’Arcobaleno a Palmi.

(fonte: ansa)

Il pentito rivela: “i servizi mi chiesero di fermare Falcone”

Parole di Franco Di Carlo, uno dei pochi collaboratori di giustizia dell’esercito corleonese, per Riina è stato l’ambasciatore nel mondo delle professioni e della politica, è stato corteggiato da servizi e apparati, ha mediato, portando in dote al gruppo egemone di Cosa nostra il capitale umano delle relazioni a tutti i livelli.

Lei ha avuto parte in questi disegni?
“Non ho preso parte alle stragi e non le avrei condivise, ma ero in carcere e ho ricevuto visite da esponenti di servizi che mi hanno proposto un accordo per fermare Falcone”.

Quando?

“Accadde prima dell’attentato all’Addaura dell’89, venne a trovarmi un emissario di un ufficiale dei servizi che era stato il mio tramite con il generale Santovito per tanti anni. Con lui c’era il capo della Mobile Arnaldo La Barbera, quest’ultimo non si presentò, ma assistette. Non lo conoscevo, lo riconobbi in fotografia in seguito. Vennero a chiedermi di trovare un modo per costringere Falcone ad andar via da Palermo, a cambiare mestiere. Mi spiego così l’attentato dell’Addaura”…

La moglie di Mastrapasqua? 20 incarichi.

064724770-6dd6cf55-077b-4e7c-bed1-83d67a6b0073Di Antonio Mastrapsqua ne avevamo parlato qui e ne parlano un po’ tutti (anche se lui non si dimette) ma della moglie finora non ci aveva informato nessuno:

L’ingordigia per le poltrone è una malattia di famiglia a casa Mastrapasqua. Lui, il superpresidente delle pensioni, si è fermato a 9 incarichi dopo aver strabordato fino a venticinque negli anni passati. La consorte, Maria Giovanna Basile, nativa di Avellino, classe 1962, commercialista di professione, accumula 20 presenze nei collegi di sindaci delle più svariate aziende, dalla Rai ad alcune controllate dell’Aci, dall’Acea ad aziende sanitarie fiorentine e romane, dall’impiantistica all’immobiliare, dalla consulenza e pianificazione aziendale, a una merchant bank. Una coppia incaricata, verrebbe da dire.

Toh: alla fine c’è la ‘ndrangheta in Expo

Parola di Prefetto, mica di “sedicenti” antimafiosi. Ma non ci avevano parlato di strumenti, commissioni e di promesse? Chi ne risponde?

Il Prefetto di MilanoFrancesco Paolo Tronca, nella sua relazione alla Commissione Parlamentare afferma la certezza di infiltrazioni mafiose negli appalti di Expo 2015. Lo afferma davanti al presidente della CommissioneRosi Bindi lo scorso dicembre. Il rischio che nei lavori di Expo partecipino imprese legate al sistema della mafia è elevato e concreto. Diversi sarebbero gli episodi di intimidazione registrati nelle inchieste passate. Già nella inchiesta Crimine-Infinito del 2010, il dato della partecipazione mafiosa è molto più che un sospetto. E’ un vero e proprio elemento concreto. Sempre in Commissione Parlamentare Antimafia, il Prefetto Francesco Paolo Tronca, parla di numeri precisi. In data 14 dicembre 2013 sono più di 2 mila i fascicoli presi in considerazione per attività collegate ad Expo. Il risultato del controllo antimafia consiste in 29 interdittive, 10 interdittive atipiche che non implicano l’esclusione dell’azienda alla partecipazione di Expo, 6 società non ammesse nella White List. Inoltre, ci sarebbero altre società non ancora prese in considerazione dal controllo antimafia. Nuove imprese, nate di recente, che non sono ancora state censite dalle Prefetture competenti per territorio, ma che lo saranno a breve. E non è tutto. Poi ci sarebbero i risultati del controllo di legalità effettuato su imprese che non sono direttamente inerenti ad Expo. Sono le opere connesse alla Esposizione Universale, come la TEM(Tangenziale Esterna di Milano) che detiene il primato delle interdizioni. Il Procuratore aggiunto Ilda Boccassinisottolinea che tra le associazioni criminali coinvolte nei lavori di Milano il record di partecipazione spetta alla ‘Ndrangheta. La ‘Ndrangheta, caratterizzata da una struttura di”anarchia organizzata”, avrebbe un concreto interesse a prendere parte agli appalti di Milano. Interessi e legami con il mondo delle imprese e della politica. Expo rappresenta un’ottimo affare per mafiosi e corruttori. Quindi, non solo infiltrazioni mafiose, ma anche funzionari corrotti. Dario Comini, coordinatore di sicurezza in Expo e funzionario della Metropolitana Milanese, avrebbe incassato illecitamente alcuni benefit dalla Cmc, società di Ravenna. Secondo una inchiesta giudiziaria della Procura di Milano, Comini, avrebbe poi avuto, senza giustificato motivo, il possesso di un’Alfa Romeo Giulietta, una scheda carburante per 4 mila euro e una tessera telepass.

L’ex assessore Zambetti va a processo

zambetti_manifesto-anteprima-600x529-781792Processo per Domenico Zambetti, l’ex assessore regionale della Lombardia accusato di aver ricevuto voti dalla ‘ndrangheta. Il gup di Milano Andrea Ghinetti ha rinviato a giudizio l’ex politico con delega alla casa della giunta guidata da Roberto Formigoni e altre 8 persone nell’ambito delle indagini sull’infiltrazione della ‘ndrangheta in Lombardia. Il processo partirà il prossimo 8 maggio davanti alla prima corte d’assise.
Tra i rinviati a giudizio ci sono Eugenio Costantino, il presunto boss ritenuto dagli inquirenti uno dei principali referenti dell’ex assessore, l’ex sindaco di Sedriano, il comune dell’hinterland milanese sciolto per mafia, Alfredo Celeste, il chirurgo Marco Silvio Scalambra e Ambrogio Crespi, il fratello di Luigi, l’ex sondaggista di Silvio Berlusconi.

Il giudice ha inoltre condannato con rito abbreviato 12 imputati a pene che vanno dai 14 anni e 8 mesi ai 2 anni e 8 mesi di carcere. Inoltre ha accolto la richiesta di patteggiamento di un altro imputato a 2 anni e 8 mesi di reclusione, e ha assolto una persona e ha stralciato alcune posizioni dichiarandosi incompetente e trasmettendo gli atti al tribunale di Cremona.

I reati contestati a vario titolo sono associazione per delinquere di stampo mafiosoestorsione esequestro di persona. Zambetti è accusato di voto di scambio con i boss.  L’assessore avrebbe pagato 50 euro a voto i “pacchetti” di preferenze offerti dalla criminalità organizzata calabrese nella regione del Nord. Alle elezioni regionali del 2010, Zambetti aveva conquistato oltre 11mila consensi, risultando così tra i più votati. Ma per ottenere il risultato si sarebbe rivolto a ‘portavoce’ dei clan calabresi, pagandogli in varie rate circa 200mila euro.