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L’aria intorno ad Amazon /2

Il New York Times risponde alla riposta di Amazon:

di David Streitfeld

Forse Amazon è davvero scossa dal fenomeno di Authors United, catalizzatosi intorno allo scrittore Douglas Preston. Gli autori stanno chiedendo ai loro lettori di tempestare di mail Jeff Bezos, amministratore delegato di Amazon, per fargli smettere di “prendere libri in ostaggio” in occasione della controversia con Hachette.

Venerdì scorso, Amazon si è presentata sotto la sigla di Readers United, mettendo on line una lettera dove si incoraggiano gli acquirenti di e-book a tempestare di mail l’amministratore delegato di Hachette, il cui indirizzo è stato prontamente fornito.

Amazon, nella sua lettera, ha ribadito le argomentazioni delle ultime settimane: gli e-book devono essere più economici e Hachette sta derubando i lettori, impedendo che ciò accada. Amazon ha anche fornito degli esempi di giornalismo virtuoso sul tema – una lista molto selettiva.

Per i lettori che non dovessero essere sicuri di cosa scrivere con precisione a Hachette, Amazon ha fornito anche un elenco di punti. Il primo è: “abbiamo notato il vostro cartello illegale”, chiaramente un rompighiaccio in questo tipo di discussioni.

Amazon sostiene che le persone che si scagliano contro gli e-book si scagliano contro il futuro, e parla di come l’industria del libro odiasse i tascabili economici quando furonio introdotti nel 1930, di come sostenesse che avrebbe rovinato il business quando invece il tempo ha dimostrato il contrario. Purtroppo però, per rafforzare la propria tesi, Amazon ha tirato in ballo l’autorità sbagliata:

“Il famoso scrittore George Orwell venne pubblicamente allo scoperto e dichiarò: “gli editori dovrebbero unirsi contro di loro”. Sì, George Orwell stava suggerendo proprio questo.” Cioè, secondo Amazon, di fare cartello.

Ora. Può l’Amazon team, accreditato come la fonte di questo post, avere scritto proprio una cosa del genere? Perché, insomma, basterebbe un colpo di google per rivelare che Amazon sta travisando questo “famoso autore.”

Quando Orwell scrisse la frase citata, stava celebrando i tascabili economici della Penguin, non certo sollecitandone la soppressione. E allora può Amazon – che recentemente ha fatto sparire senza preavviso dai Kindle dei propri clienti diverse copie di 1984 dopo aver scoperto che non ne possedeva i diritti per l’edizione elettronica – davvero credere che George Orwell – tra tutte le persone! – avesse voluto sopprimere i libri?

Ecco dunque ciò che scrisse davvero Orwell sul «New English Weekly», il 5 marzo 1936. “I libri Penguin rappresentano splendido valore per sei pence, talmente splendido che gli altri editori dovrebbero unirsi per reprimerli”.

Capito? Gli piacevano.

Orwell continuò poi a minare quelle che sono diventate le argomentazioni di Amazon in un modo molto più efficace di quanto abbia fatto la stessa Hachette. “Naturalmente è un grande errore pensare che i libri economici incentivino il commercio dei libri”, scrisse. “In realtà è proprio il contrario… Più i libri diventeranno economici, meno denaro verrà speso per i libri”.

Invece di comprare due libri costosi, continuava Orwell, il consumatore comprerà due libri economici e quindi utilizzerà il resto dei suoi soldi per andare al cinema. “Questo è un vantaggio dal punto di vista del lettore e non fa male al commercio nel suo complesso, ma per l’editore, il compositore, l’autore e il libraio, è un disastro”, concludeva.

Il vero problema, sostenne lo scrittore in un saggio di un decennio più tardi, “Libri contro sigarette,” riguardava i libri in sé. Avevano trascorso un momento difficile, dovendosela vedere con altri media – una questione ancora aperta nel 2014.

“Se il nostro consumo di libri rimane basso come è stato fino ad ora”, scriveva Orwell, “ammettiamo almeno che questo accade perché la lettura è un passatempo meno eccitante che andare alla corsa dei cani, al cinema o al pub, e non perché i libri, che comunque possono essere presi in prestito, sono troppo costosi”.

Un portavoce di Amazon non ha risposto alle domande sulll’ipotesi che Orwell non stesse davvero sostenendo un fantomatico cartello di editori ma, semplicemente, facesse dell’ironia.