Vai al contenuto

Anche in Lombardia i candidati mafiosi si fanno in casa

Spesso ci è capitato di discuterne nei nostri incontri: la mafia che, delusa dalla politica, passa alla produzione “in proprio” dei dirigenti e dei candidati è il segno di una crescita sostanziale nella radicazione sul territorio. E infatti ne scrive Cesare Giuzzi:

Il milanese ha sostituito il calabrese. Dialetto lombardo, boss e cumenda. Affiliati ai clan nati e cresciuti al Nord. Senza neppure una goccia di sangue d’Aspromonte. La ‘ndrangheta cambia, e anche a Milano – suo feudo imprenditoriale ed economico – le regole si adattano al limite del mutamento genetico. Per esempio aprendo le porte a nuovi «battezzati» che «non hanno origine calabrese» e vengono «affiliati all’interno dei vari locali della ‘ndrangheta lombarda con cariche e doti secondo gerarchie prestabilite, con cerimonie e rituali tipici». Ma non solo. Sotto la lente della squadra Mobile di Milano e della Dda guidata da Ilda Boccassini, sono finiti anche due medici. Chirurghi noti e stimati nell’ambiente sanitario lombardo oggi sospettati di «essersi messi a disposizione di affiliati e dei loro parenti» per ottenere «scarcerazioni e cure privilegiate».

Gli investigatori li hanno seguiti e fotografati durante incontri e cene con condannati per mafia o familiari di arrestati nelle ultime operazioni antimafia al Nord. Si tratta di due medici di origine calabrese che lavorano al Niguarda di Milano e al Policlinico di Monza. Con loro anche un infermiere di origini calabresi. Una conferma ulteriore dell’interesse mafioso per la sanità lombarda. Come già emerso a proposito dell’ex dirigente sanitario dell’Asl di Pavia, Carlo Chiriaco, condannato in secondo grado a 12 anni. Proprio da quelle indagini è nato il fascicolo che ha permesso, alcuni mesi fa, di scoprire la presunta «cupola» che voleva spartirsi gli affari di Expo.

La capacità di adattamento delle famiglie criminali calabresi e la loro struttura «flessibile» hanno permesso di riempire i vuoti dopo i 300 arresti dell’operazione Infinito-Crimine (luglio 2010) e quelli delle inchieste successive. Tanto che, secondo la polizia, i clan a Milano si sono «immediatamente riorganizzati e hanno di fatto ricostruito e preservato la scala gerarchica che consente alla ‘ndrangheta di rimanere solidamente legata al territorio».

La fotografia scattata dalla relazione inviata alla Direzione nazionale antimafia dalla squadra Mobile di Milano è l’immagine di una mutazione in atto. Dopo aver investito sui politici – spesso con aspettative superiori rispetto ai risultati ottenuti – i clan oggi «si sono posti l’obiettivo di entrare direttamente nei gangli della vita imprenditoriale e politico-istituzionale». Come? Candidando affiliati di assoluta fiducia nelle amministrazioni locali: «Gli appartenenti alla ‘ndrangheta, dimorando al Nord ormai da più generazioni, hanno progressivamente acquisito una piena conoscenza del territorio consolidando rapporti con le comunità locali e privilegiando specifici contatti con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali che occupano ruoli chiave nelle amministrazioni». Il tutto, come annotano gli investigatori della squadra Mobile diretti da Alessandro Giuliano, grazie alle nuove generazioni che hanno permesso alla ‘ndrangheta al Nord di «diventare col tempo un’associazione dotata di un certo grado di indipendenza rispetto a quella autoctona calabrese con la quale continua comunque a mantenere rapporti molto stretti».

Il nuovo «governo» delle ‘ndrine «si realizza con un tasso di violenza marginale, privilegiando invece forme di accordo e collaborazione con settori della politica, dell’imprenditorie e della pubblica amministrazione». Ecco la zona grigia. Così, come era emerso nel recente passato, dal traffico di cocaina l’attenzione dei boss milanesi s’è spostata sull’edilizia, sugli appalti pubblici (Expo, ma non solo), usura, frodi immobiliari, giochi, scommesse e l’acquisto di locali in centro. I clan investono all’estero: Romania, Gran Bretagna, Cipro e Svizzera. «L’ingresso di nuovi elementi ha consentito alle più solide consorterie mafiose calabresi di confermare il proprio assetto territoriale e di riaffermare il proprio ruolo di referenti locali rispetto alla casa madre».

Per quanto riguarda i medici indagati, l’inchiesta avrebbe messo in luce rapporti con boss del calibro di Pasquale Barbaro detto ‘U Nigru , originario di Platì (Reggio Calabria) e arrestato nel 2011 nell’inchiesta Minotauro della Dda di Torino, di affiliati (Molluso e Trimboli) della potente cosca Barbaro-Papalia («La sua egemonia a Milano e hinterland è assoluta») e del clan Morabito-Palamara-Bruzzaniti di Africo.