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Operazione Aemilia: mentre la mafia mafiava dove guardava il PD?

“Solo tre mesi fa, in direzione regionale del Pd, dissi chiaramente: io ho contrastato la ‘ndrangheta e voi mi state escludendo da tutto. Nonostante le consultazioni dei circoli, non sono entrata nella lista per le elezioni regionali, e così voi fate fuori una persona che ha contrastato la criminalità organizzata. Ma quando ci sono persone oggetto di pressioni di questa natura non bisogna lasciarle sole, perché significa metterle in pericolo. Voi in questo modo date un segnale alla ‘ndrangheta che ho combattuto. Queste parole oggi le riconfermerei tutte, anche se Stefano Bonaccini sembrò allora molto infastidito dal mio discorso e cercò pure di interrompermi. Ma io sono andata avanti. Perché questa è una cosa che i mafiosi hanno capito e l’ha capito anche la magistratura”.

Sonia Masini era presidente della Provincia di Reggio Emilia e nella maxinchiesta sulle infiltrazioni della criminalità organizzata in Emilia il suo nome è quello di una persona nel mirino degli indagati. Nelle intercettazioni degli investigatori si trova che Giuseppe Pagliani, allora capogruppo del Pdl in Provincia, ora agli arresti, avrebbe voluto riservarle “una “curetta” come dio comanda”. E lei, politica classe 1953, un cursus honorum che la vede anche capogruppo Ds in Regione dal 1995 al 2000, quelle pressioni le aveva avvertite, eccome. Ma, denunciò allora e ribadisce oggi, “io sono stata lasciata sola nel mio partito o con pochissime persone intorno”.

“Io avrei chiamato l’Antimafia”. Il suo intervento in direzione regionale venne accolto da reazioni gelide, come riportò all’epoca anche Roberto Balzani, sfidante di Bonaccini alle primarie. “Masini ha lanciato un’accusa pesante ai vertici del partito e sa cos’è successo? – raccontava Balzani in un’intervista – nulla. Io al posto di Bonaccini avrei subito chiamato il procuratore nazionale antimafia”. Gli investigatori però erano già al lavoro, mentre Masini veniva circondata da quella che oggi definisce “un’atmosfera di sufficienza verso le mie denunce, come se io volessi a tutti i costi una poltrona che avevo già occupato anche per troppo tempo, come se fossi semplicemente stizzita per non essere stata ricandidata per l’ennesima volta”. Molti dirigenti allora sbuffarono, liquidando quell’intervento come una protesta sopra le righe per esser rimasta fuori prima dalla lista per le elezioni europee e poi da quella regionale.

“Attaccata e non difesa dal partito”. “Io in questi anni nel Pd sono stata molto attaccata e poco difesa – si sfoga adesso – le lotte interne al Pd di Reggio avevano creato una competizione forsennata e io in quel momento non avevo abbastanza potenti a proteggermi, o forse anche qualcuno contro”. Ma la realtà che Masini si trovava a fronteggiare era quella durissima delineata nell’inchiesta. “Cercavo di spiegare al Pd: guardate che sono sotto pressione, come presidente della Provincia c’è una ditta che mi ha chiesto 15 milioni di danni. Sono comportamenti che possono intimidire un amministratore. Ma non importava niente a nessuno, veniva prima la lotta per il potere”. Un potere che lei non ha più: “Non ho lasciato il partito, ma non ho incarichi e non mi invitano quasi più neanche alle riunioni”.

E la Masini scrive a Renzi. Delusa dai vertici locali, Masini si rivolge direttamente al segretario nazionale Matteo Renzi, che già ha dimostrato sensibilità ed attenzione, nel caso della denuncia del sindaco anticemento di San Lazzaro Isabella Conti. “Ora io Renzi sicuramente lo informerò  dice Masini  e chiederò anche conto del fatto che sono stata tolta dalle liste per le europee. Quando la lista è arrivata a Roma, il mio nome c’era, poi è stato tolto”.

“Fenomeno mafioso sottovalutato”. Secondo Masini, alla base di tutto c’è una sottovalutazione del fenomeno mafioso in Emilia: “All’inizio non lo conoscevamo e l’abbiamo sottovalutato, ma dal 2010 qualcosa è cambiato. Abbiamo cominciato ad assistere ai roghi notturni, una tecnica di intimidazione fin lì mai vista, fino a che ora abbiamo tutte le informazioni, i nomi e gli indirizzi. E non abbiamo più scuse. Per me è stato un dolore continuo, perché io amo visceralmente la mia terra, i nostri servizi, il nostro modello”. Un modello che Masini dice di aver tentato di difendere. “Io il mio dovere l’ho fatto, e quando ho dovuto revocare un appalto perché era arrivata l’interdittiva antimafia, l’ho fatto anche se ho dovuto combattere, pure dentro al Pd  chiosa  ma è troppo facile fare i comunicati stampa dopo. Bisogna aiutare prima, quando c’è bisogno di prove, e invece si incontrano solo omertà e ricerca di interessi personali. Almeno avessero riflettuto sul perché a Reggio, alle ultime regionali, ha votato solo il 35% degli elettori…”.

(clic)