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Intanto in Calabria il Pd dà il peggio di sé

Bisogna ricostruire il brand della Calabria», dice a “l’Espresso” il governatore Mario Oliverio, eletto il 23 novembre, primo ex comunista nella storia della regione. Lo dice come se davvero fosse esistito un brand Calabria prima dei disastri amministrativi, industriali e criminali che la regione ha dovuto subire negli ultimi decenni.

L’approccio di Oliverio presuppone una dose di ottimismo che non è precisamente una materia che abbonda fra il Pollino e l’Aspromonte. Oliverio stesso, finora, ha fatto ben poco per tenere viva la fiducia degli elettori in un risorgimento che non vuole arrivare e in cui pochi credono.

Ci sono voluti oltre due mesi per nominare una squadra di governo che non è nemmeno definitiva. I quattro nominati lunedì 26 gennaio, due esterni e due eletti in consiglio, non sono esattamente il Dream team. L’ex ministro degli Affari regionali Maria Carmela Lanzetta, responsabile della cultura e delle pari opportunità, è stata strappata al governo Renzi con una manovra di calciomercato a parametro zero degna del Milan di questi tempi. Due giorni dopo si è dimessa perché non gradiva la compagnia degli altri tre.

Enzo Ciconte, Carlo Guccione e Nino De Gaetano sono indagati nella Rimborsopoli calabrese con tutti gli altri consiglieri della legislatura precedente. Ma soprattutto De Gaetano ha rischiato l’arresto per i suoi rapporti con il clan Tegano di Archi. Lanzetta, minacciata dalla ‘ndrangheta, ha detto: o me o lui.

Il match a eliminazione diretta si gioca in un quadro sconfortante. La Calabria è la regione più povera e con più disoccupati d’Italia (23,5 per cento nei primi nove mesi del 2014) è vincolata a un piano di rientro sanitario che fa impallidire l’austerity greca, usa male i fondi mandati dall’Europa e ha un pil di 29 miliardi di euro che è quasi la metà dei ricavi stimati di ‘ndrangheta srl (53 miliardi di euro all’anno).

La partecipazione al voto è ai minimi storici. Alle regionali di novembre è andato alle urne il 44,07 per cento degli elettori. È vero che in Emilia-Romagna non si è raggiunto il 38 per cento. Ma la nuova giunta si è insediata a Bologna un mese dopo. In Calabria la riforma dello statuto ha bisogno di altri sessanta giorni per arrivare in porto e consentire a Oliverio di raggiungere l’obiettivo dichiarato in partenza: un modello presidenziale puro e sette assessori presi tutti da fuori.

A questa squadra, che accentra il lavoro fatto da dodici assessori nella giunta precedente, potrà aggiungersi un membro del consiglio con delega del presidente su questioni particolari ma senza potere di firma. A volerlo tradurre in termini di politica alta, si tratta di separare il potere esecutivo (la giunta), dal potere legislativo (il consiglio). In fondo, anche il capo del governo nazionale non è parlamentare e fa uso di figure fiduciarie mai passate per le urne, come Marco Carrai, o al debutto con la legislatura in corso (Luca Lotti, Yoram Gutgeld, Maria Elena Boschi).

Ma la politica non è sempre alta. Il silano Oliverio, 62 anni, consigliere regionale a 27 anni nel 1980 e assessore all’agricoltura nel 1986, si è comportato come qualunque politico vecchio o nuovo e, una volta al potere, ha patteggiato col nemico, come ha fatto Syriza ad Atene.

Con il Nuovo centrodestra (Ncd) Oliverio ha sfruttato il doppio binario. Prima lo ha escluso dall’alleanza elettorale in quanto partito dell’ex governatore Giuseppe Scopelliti. Vinte le elezioni, il Ncd è rientrato dalla finestra con una vicepresidenza del Consiglio affidata all’ex assessore scopellitiano Giuseppe “Pino” Gentile, sopravvissuto con disinvoltura a una richiesta di espulsione rivolta al segretario-ministro Angelino Alfano dallo stesso Scopelliti, che imputa a Gentile la sua mancata elezione alle Europee dello scorso maggio.

Il neopresidente del Consiglio regionale Antonio Scalzo del Pd, spedito a Roma insieme a Oliverio per votare il nuovo presidente della Repubblica, ha ingaggiato come portavoce Giampaolo Latella, il responsabile dell’ufficio di presidenza calabrese di Forza Italia, assunto pochi mesi fa dalla coordinatrice locale Jole Santelli.

Anche le modifiche allo statuto si sono fatte con l’appoggio in aula del Ncd. Si è gridato all’inciucio ma, in fin dei conti, le larghe intese sono altrettanto larghe in parlamento. Il paradosso è che il governatore calabrese fa uso del renzismo senza essere renziano anzi si è imposto alle primarie sia contro il favorito del premier, Gianluca Callipo, sia contro la nomenklatura democrat, guidata dall’ex craxiano Ernesto Magorno.

Per Oliverio la qualificazione delle primarie, vinte con il 48 per cento, è stata più dura della gara vera e propria, vinta a mani basse con il 61,4 per cento.

L’ex sindaco Pci di San Giovanni in Fiore non ha fatto la fine di Sergio Cofferati in Liguria per il semplice motivo che il Pd calabrese non esiste. In aggiunta, il centrodestra è in piena faida interna e non avrebbe saputo quale avversario identificare a sinistra per appoggiarlo alle primarie Pd, come è accaduto in Liguria e come stava per accadere con il neosindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, un altro che flirta moderatamente con re Matteo primo. Lo stesso Scopelliti il 23 novembre ha sostenuto in modo tiepido la corsa a governatore del suo ex amico ed ex legale di fiducia, il senatore Ncd Nico D’Ascola, mentre strizzava l’occhio alla candidata forzista Wanda Ferro, arrivata seconda a distanza abissale dal vincitore.

Dopo avere battuto Ncd e forzisti, i sostenitori di Oliverio si aspettavano un inizio di partita più aggressivo. In fondo, il governatore in carica avrebbe la possibilità di dire di no a tutti per tre motivi. Primo: ha resistito a Renzi e al Pd che lo bollavano come il vecchio che avanza. Secondo: ha stravinto le elezioni quasi da solo. Terzo: ha annunciato che non si ricandiderà.

Questa possibilità è solo teorica. A Roma non possono rischiare che la Calabria, l’antica Magna Grecia, diventi la piccola Grecia d’Italia: una regione periferica povera, sprecona, carica di debiti, che per di più pretende autonomia politica dai suoi finanziatori, lo Stato e l’Europa. Oltre ai problemi di bilancio e di pil, la regione è un palcoscenico del malcostume politico.

Lo scorso aprile la Calabria ha dovuto affrontare le dimissioni del precedente governatore, Giuseppe Scopelliti, per una condanna in primo grado a sei anni. Dopo Scopelliti c’è stato un governo supplente tirato in lungo per sette mesi perché gli eletti sapevano che, a fine legislatura, le poltrone disponibili in consiglio sarebbero scese da cinquanta a trenta. Qualcuno ha persino ipotizzato di eludere il taglio imposto dalla legge Delrio alle regioni con popolazione fra 1 e 2 milioni di abitanti mediante un censimento che ritoccasse la cifra ufficiale (1.958.238). Con centinaia di migliaia di emigrati fuori regione non sarebbe stato difficile. Ma non è aria. Il disgusto per gli imbrogli è già ai massimi così come la pressione della magistratura. A parte Rimborsopoli che è un film proiettato in tutte le aule giudiziarie nazionali, i giudici hanno messo sotto inchiesta in blocco la giunta Scopelliti (2010-2014, centrodestra) per i finanziamenti all’edilizia sociale e tutta la giunta di Agazio Loiero (2005-2010, centrosinistra) per i finanziamenti alle imprese, escluso Loiero che al momento di votare il provvedimento sotto accusa era assente.

All’handicap dato in partenza dagli indicatori economici generali, vanno aggiunte alcune emergenze gravi che Oliverio ha affrontato, come sottolinea lui stesso, da solo e prima di nominare gli assessori. In testa all’elenco c’è il problema dei rifiuti seguito da vertenze occupazionali come quella dell’Infocontact di Lamezia Terme, un grande call-center che rischia di perdere la commessa con Wind e che potrebbe licenziare 1800 dipendenti in un colpo solo.

L’altra patata bollente preliminare all’insediamento della giunta è stata l’istituzione del cosiddetto ruolo unico dei dipendenti regionali. L’eredità dei moti per Reggio capoluogo del 1970-1971, ha spaccato la Calabria in due strutture. Nella città più grande, Reggio, ha sede il consiglio. Nel capoluogo amministrativo, Catanzaro, ha sede la giunta. Ci sono impiegati del consiglio e impiegati della giunta.

«Questa spartizione», dice Oliverio, «impedisce di razionalizzare le risorse come previsto dalla spending review. Spostare un dipendente dalla giunta al consiglio o viceversa equivale a chiedere un distacco dalla regione Lombardia. Poi si è voluto strumentalizzare la mia posizione in modo campanilistico ma ribadisco che la giunta a Catanzaro e il consiglio a Reggio non sono in discussione».

C’è poi la partita delle tante società in-house della Regione, nominifici clientelari che Oliverio definisce «cancerogeni» e sui quali ha promesso un’indagine interna. Un esempio per tutti è la fondazione Calabria etica, creata nel 2002 ma potenziata nell’era Scopelliti con un budget di 25 milioni di euro all’anno, 300 collaboratori a progetto scelti a discrezione della dirigenza e uno stipendio di 4,1 mila euro netti al presidente.

Assi nella manica ce ne sono pochi. Il turismo è allo sbando con un inquinamento marino ai massimi, un aeroporto chiuso (Crotone), uno che potrebbe chiudere (Reggio) e solo Lamezia come alternativa. L’atout individuato da Oliverio è il porto di Gioia Tauro. Peccato che sia in una zona controllata in modo ferreo dalla ‘ndrangheta e che Renzi, proprio per questo, sia molto titubante a investirci. «Gioia Tauro deve diventare una scelta strategica del Paese», ribadisce Oliverio. «E questo presuppone un impegno forte contro il crimine. Sto facendo una ricerca per individuare una figura che dia un segnale netto di questo impegno della giunta contro la ‘ndrangheta».

L’altro elemento di trattativa col potere centrale che ha condizionato la formazione della giunta è la nomina del nuovo commissario alla sanità. La questione, qui, è di sostanza, prima che di forma. Le spese sanitarie sono circa i due terzi del bilancio complessivo della regione. La Calabria vive molto più di impegnative e ricette mediche che di industria, agricoltura e edilizia. La dichiarazione di dissesto ha imposto la nomina di un commissario. Nella precedente legislatura era Scopelliti, controllore di se stesso. Dopo le sue dimissioni nell’aprile dell’anno scorso la gestione è stata affidata al subcommissario Luciano Pezzi, ex generale della Guardia di finanza.

Il conflitto di interessi potenziale è stato risolto a livello nazionale da un provvedimento dello scorso 10 dicembre che dissocia la figura del governatore da quella del commissario straordinario. In un primo tempo, Oliverio ha provato a forzare il passo sostenendo che la norma non può essere retroattiva e che lui era stato eletto prima del 10 dicembre. Ha anche annunciato per due volte – l’ultima il 7 gennaio – di essersi accordato con Roma ma la nomina non si è ancora concretizzata.

Come andrà a finire dipende forse da ulteriori trattative con la dirigenza Pd. Per adesso è stato inserito un emendamento nel “mille proroghe”, è stato modificato il testo e, se la variazione passerà, la sanità tornerà in mano al governatore.

«Non è sete di potere. Ma la gestione del piano di rientro è stata ragionieristica», dice Oliverio con toni che evocano quelli di Alexis Tsipras. «Bisogna riordinare e riqualificare. Non è possibile pensare solo al pagamento degli interessi quando ci sono strutture come l’ospedale Annunziata di Cosenza che hanno sospeso i ricoveri ordinari. Ho parlato con Renzi nei giorni scorsi e da lui ho ricevuto incoraggiamento e sostegno. Del resto, l’ha detto lui che la Calabria è la madre di tutte le battaglie». In effetti, Renzi lo ha detto. Ha detto anche di stare sereno a Enrico Letta, più o meno un anno fa di questi tempi.

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