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Pizzerie, B&B: come fattura la ‘ndrangheta

DV1987098-039-kbPC-U43070203464074C3F-1224x916@Corriere-Web-Roma-593x443«Faccio due srl qua, perché tanto trasformarla… due srl nuove… e così lavoriamo con queste due. Una si piglierebbe un Bed&Breakfast ed una pizzeria… un laboratorio di pizza al taglio, non lo so che facciamo… però quello a via di Tor Millina… perché se uno deve vendere devono essere separate…». Il dinamico imprenditore che pianifica strategie societarie al telefono è Gianfranco Romeo. Nella lista della spesa ha un ristorante a Campo De’ Fiori, un B&B a piazza Barberini, una pizzeria al taglio o un locale di gastronomia calda vicino piazza Navona. Ma più che la ristorazione e gli affari che ne potrebbero venire, la sua vera preoccupazione, secondo gli investigatori della Dda, è nascondere l’effettiva proprietà dei locali.

Romeo è accusato di fittizia intestazione di beni in concorso con Salvatore Lania, il quarantasettenne calabrese sospettato di legami organici nella ‘ndrangheta, arrestato due giorni fa. Gli acquisiti di cui si parla nella telefonata non andranno a buon fine, ma la conversazione dà la misura di quanto aggressiva sia la strategia degli otto indagati nell’inchiesta, ai quali sono stati sequestrati preventivamente locali noti e di buona clientela come «Er Faciolaro» e «La Rotonda» (oltre a un negozio di souvenir a poca distanza), nella zona del Pantheon. Dalle indagini della Dia è emersa inoltre la trattativa condotta da Romeo per la compravendita di fatture, circa 20mila euro, per conto delle società «Rotonda» e «Suriaca» (formali gestori dei ristoranti sequestrati). Secondo il giudice per le indagini preliminari, Gaspare Sturzo, «Romeo mostra la capacità di creare movimentazione di liquidità da far scomparire e comparire, legittimandola alla bisogna, creando ove occorra anche disponibilità di denaro in nero».

E il decreto di sequestro sottolinea un altro aspetto, attualmente al vaglio del pm Francesco Mìnisci: «Di solito le attività commerciali sono utilizzate per riciclare somme di denaro di illecita provenienza mediante la vendita di pasti a clienti inesistenti, ripulendo così ingenti somme, poi immettendole nel mercato legale mediante la fatturazione per forniture e servizio sovra costo o inesistenti». Questa ultima vicenda, dunque, non fa altro che confermare un fenomeno in rapida e progressiva espansione. I precedenti sequestri dei centralissimi «Caffè Chigi», del «Cafè de Paris» e della catena di pizzerie «Zio Ciro» – per restare agli esempi più noti – raccontano quanto diffusa e comune alle organizzazioni criminali sia la strategia di radicamento nel tessuto economico della Capitale. E non è un caso che su tutte le compravendite di questo tipo, non da oggi, la procura mantenga ormai la massima attenzione.

(clic)