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LoSchermo.it su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’ (di Nazareno Giusti)

(L’articolo originale è qui)

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LUCCA, 14 dicembre– Giulio Cavalli è un attore che, però, vive sotto scorta. Qualche decennio fa sarebbe stato definito un “artista impegnato”. Classe 1977, dopo aver mosso i primi passi nell’ambiente teatrale lodigiano, sin dall’inizio di carriera i suoi spettacoli sono stati contraddistinti da un forte impegno sociale e memorialistico. La visibilità arriva nel 2006 con “Kabum” in cui assieme a Paolo Rossi ripercorre la Resistenza italiana e “Linate 8 ottobre 2001: la strage” in cui cercava di far chiarezza sulla tragedia costata la vita a 118 persone. “Io sono solo lo spazzacamino della nebbia, non faccio un processo di piazza” chiarì a un giornalista dopo la prima dello spettacolo.

Nel 2011 in collaborazione con il regista Renato Sarti scrive e interpreta “L’innocenza di Giulio” a cui ha fatto seguito il volume, edito da Chiarelettere “L’innocenza di Giulio: Andreotti e la mafia”. Impegnato anche attivamente nel consiglio regionale della Lombardia prima con Idv, poi passa a Sel.
Due anni fa Luigi Bonaventura, per anni reggente della cosca crotonese dei Vrenna-Bonaventura e poi passato tra le fila dei pentiti, ha raccontato il progetto per farlo uccidere organizzato dalla cosca ‘ndranghetista De Stefano-Tegano.

Ma Cavalli sotto scorta c’era già dopo che, nel 2006, dopo la messa in scena dello spettacolo “Do Ut Des”, sulla vita dell’immaginario aspirante boss Totò Nessuno, aveva avuto numerose minacce di stampo mafioso. La sua vita era cambiata, irrimediabilmente, anche se non sembra pentirsene. Certo è difficile, ma può far affidamento alla compagna, la soubrette Miriana Trevisan.

Recentemente ha dato alle stampe, per i tipi di Rizzoli, “Mio padre in una scatola di scarpe”. Non solo un romanzo ma un progetto come sottolinea l’autore che lo porterà in scena in un reading che girerà l’Italia.

Il libro sarà presentato domani a Lucca, nella Sala Puccini di palazzo Bernardini, alle ore 18, grazie alla Società Lucchese dei Lettori con il Coordinamento imprenditoria femminile di Confindustria Lucca. Ad introdurre la serata, in cui Francesca Severini dialogherà con lo scrittore, il Prefetto di Lucca, Giovanna Cagliostro a cui farà seguito l’intervento del Provveditore Donatella Buonriposi. Mercoledì, invece, Cavalli parlerà ai ragazzi delle scuole superiori di legalità e lotta alle società criminali.

Il libro, che Cavalli ha definito “romanzo civile”, è nato dall’incontro con la figlia di quello che poi è divenuto il protagonista dello scritto: Michele Landa (“non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita” come sottolinea Cavalli).

Landa faceva la guardia giurata, il metronotte a Mondragone, in provincia di Caserta. Nell’alba livida del 6 settembre 2006 è stato ucciso a colpi di pistola e poi bruciato nella sua macchina. Aveva 61 anni, ancora qualche anno di turni di notte e sarebbe andato in pensione.

Il suo compito, quella notte maledetta era di piantonare un ripetitore per la telefonia mobile. Proprio in quel periodo i clan della camorra avevano scoperto il redditizio furto delle apparecchiature telefoniche. Forse Michele aveva visto o saputo qualcosa di troppo, qualcosa che non doveva. Il suo corpo fu ritrovato quattro giorni dopo carbonizzato in un fosso. Qualche trafiletto in cronaca locale, niente di più.

“Quella di Michele Landa- come sottolinea Cavalli che spera con il suo libro di far riaprire il caso sulla morte della guardia giurata che è ancora senza colpevoli-è una storia profondamente umana, non una vicenda “banalmente” di mafia, bensì la vicenda di un amore e di una famiglia molto unita che si ritrova coinvolta per caso in un dramma più grande di lei. A Mondragone Landa non era un eroe dell’antimafia; era, più semplicemente, una persona che non voleva avere a che fare con la camorra perché non voleva avere a che fare con l’illegalità in generale. Eppure è stato costretto a soccombere. Esatto, voleva solo seguire le regole con la geniale semplicità che fu dei nostri nonni. Negli anni l’antimafia ha spesso agito in modo vile, guidata da un sentimento di vendetta, io stesso dopo quello che mi è successo mi ero imbruttito, incattivito  Ho poi capito che a meritare ammirazione sono coloro che con la semplicità di cui sopra non perdono di vista i propri valori quando capita loro l’occasione di essere giusti”.

Insomma, si può fare antimafia anche raccontando storie piccole, minime ma importanti perché ci fanno capire ancora meglio la tragica attualità dell’argomento. “Dobbiamo ricominciare- conclude Cavalli- a innamorarci della legalità e ancor prima dei fragili e delle fragilità: la nostra attenzione dovrebbe essere rivolta verso chi ha paura, non verso chi ha le condizioni o la fortuna di poter non avere paura. La vera rivoluzione culturale e sociale avverrà quando comprenderemo che ognuno ha la propria battaglia personale da combattere, quindi va rispettato e trattato con gentilezza, come diceva Carlo Mazzacurati. “Mio padre in una scatola da scarpe” è un romanzo civile perché in un’epoca dominata dal cattivismo come quella attuale rilancia il buonismo non come debolezza, ma come senso di responsabilità sociale”.