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Fat Negga e come diventare improvvisamente straniero

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Essere stranieri non è uno scherzo. Nonostante i Salvini di turno o i lepenismi di ritorno, essere stranieri significa tra le altre cose essere estranei ad un’architettura di diritti e di servizi che garantisce le esistenze e dovrebbe assicurare un livello minimo di dignità. È difficile pensare a uno straniero in un mondo che vorrebbe far finta di essere globale, eppure poi capita di incrociare storie che sembrano uscite da un (brutto) film. La vicenda di Luca Neves mi è stata raccontata su Facebook con un messaggio breve arrivato in posta: «Luca Neves è stato a Capo Verde una sola volta, da bambino, in vacanza con i genitori. Ora l’Italia vorrebbe mandarcelo a tempo indeterminato, per fargli scontare su un’isola nell’Atlantico un ignobile esilio da figlio non riconosciuto» mi hanno scritto e letta così, su due piedi, mi sembrava un cortocircuito da teatro dell’assurdo. Invece Luca me l’ha raccontata, la storia è vera e credo valga la pena raccontarla anche a voi.
È nato in Italia 28 anni fa, ospedale Regina Elena, periferia romana, è cresciuto in Italia. Parla italiano, ovviamente, e mastica l’inglese. Da bambino Trigoria era casa sua perché Luca, come tanti come lui, sognava di giocare nella Roma e nella Roma ci ha giocato per davvero: il padre lavorava in un maneggio proprio a Trigoria e lui indossava la maglia della squadra giallorossa nei pulcini. «Tutti i giorni incrociavo i campioni: Totti, Aldair. È successo anche che De Rossi accompagnasse a casa me e mia madre, quando avevamo troppe borse della spesa». I genitori di David sono di Capo Verde, in Italia da una vita (regolari) hanno sempre lavorato perché quel figlio potesse avere tutto ciò che gli servisse. Luca ha frequentato l’asilo, le scuole fino all’Istituto alberghiero: «Pensa – mi dice – che io a Capoverde ci sono stato una volta nella vita per una vacanza. Conosco la lingua ascoltandola dai miei genitori ma la parlo con un accento italianissimo. Lì sarei un immigrato».

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