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Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Una bella morale, non c’è che dire.

Vale la pena leggere il post di Pippo, stamattina:

«Si è preso un risultato elettorale, quello del 2013, e lo si è rovesciato. Si sono scelti argomenti tipici del populismo tanto quanto quelli che si intendevano, a parole, superare. Si è scelto un tono trionfale mentre si attraversavano le macerie. Si è cercato di risolvere tutto con la dialettica nuovo e vecchio, quando sono sempre i vecchi a dettare il nuovo. Si è pensato che fosse sufficiente la comunicazione, in termini prima quantitativi che qualitativi, per risolvere un gigantesco problema politico. Si è associato il progetto politico al percorso delle riforme, con non poche contraddizioni e la sensazione, sempre più diffusa, che in causa fosse solo il potere e chi lo rappresenta.

Si è spiegato che si vogliono ridurre i politici (che di per sé è già un messaggio equivoco e demagogico e populistico quant’altri mai) e in realtà si riduce la politica e la fiducia che dovrebbe sempre ispirare il rapporto – anzi, la relazione – tra elettori ed eletti. Si è formato un unico grande centro, dimentico di destra e sinistra ma che ovviamente preferisce la prima, pensando che con un unico centro di gravità tutti ne sarebbero stati attratti.

Ed eccoci qui, a leggere editoriali di banchieri poco informati, di industriali che quantificano il valore delle riforme senza alcun fondamento scientifico, a politici che confondono argomenti che non c’entrano proprio nulla, a dirigenti sindacali che ci si chiede se abbiano mai parlato con quelli che dovrebbero rappresentare, per nascondere l’irragionevolezza dei contenuti che hanno prodotto e dei metodi che hanno seguito, illustrandoci una ‘riforma’ fatta per il Paese che il Paese divide almeno a metà, se non di più.

Chi è dentro è dentro, chi è fuori è fuori. Una bella morale, non c’è che dire.»

(continua qui)