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Claude Eatherly: il rimorso di Hiroshima

Che meraviglia il giornalismo quando racconta la storia attraverso i suoi personaggi così enormemente umani. Fiorenza Loiacono scrive di Claude Eatherly:

“Günther, non ricordo tutta la lettera che ho mandato in Giappone, ma dicevo loro che ero il maggiore che aveva dato il segnale di via libera per la distruzione di Hiroshima, che ero incapace di dimenticare quell’atto, e che la colpa di quell’atto mi aveva causato grandi sofferenze. Li pregavo di perdonarmi. Dicevo loro che gli uomini non dovrebbero combattere.”

Così scriveva Claude Eatherly, uno dei piloti della missione Hiroshima, al filosofo Günther Anders il 22 agosto 1959, quattordici anni dopo lo sgancio della bomba atomica che il 6 agosto 1945 aveva provocato la distruzione della città e la morte immediata di circa 70.000 individui. Altri 70.000 sarebbero morti nei giorni seguenti e ancora negli anni successivi a causa dei postumi delle ferite e delle tracce radioattive depositate sui corpi e nello spazio circostante.

Sin dal volo di ritorno alla base, la coscienza di Claude Eatherly non potè tollerare quanto era accaduto. Celebrato negli Stati Uniti come un eroe insieme all’equipaggio che quella mattina aveva condotto e ultimato la missione, egli rifiutò di essere riconosciuto come tale. Pur di essere punito, di essere condannato ad una pena giudiziaria, si rese responsabile di atti antisociali: «Avevo quasi l’impressione di essere più felice in prigione, poiché la coscienza di essere punito dava sollievo alla mia colpa».

Fu l’unico della sua squadra a provare rimorso, tentando di trovare una via di riscatto alla sua sofferenza morale. Riteneva che quanto accaduto rendesse necessaria una riconsiderazione dello «schema di valori e di obbligazioni» che guidavano l’agire umano, convinto che dopo Hiroshima non fosse più possibile delegare ad altri la responsabilità dei propri pensieri e delle proprie azioni.

Fremeva, denunciava ai giornali il suo vissuto, scriveva lettere di scuse, partecipava a conferenze pacifiste, rendendosi inviso alle autorità militari statunitensi che, come tutte le autorità militari, desideravano fra le proprie fila meri e silenti esecutori di ordini.

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