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Il giornalismo che si fa letteratura

Io quando mi capita di leggere un reportage che ha tutte le parole a posto, con i sentimenti e i colori conficcati nella penna, senza retorica ma con una bella lingua, mi riprometto di tenere conto, di custodire la bellezza che si fa notizia. E per questo il pezzo di Domenico Quirico, inviato in Niger per la Stampa, lo considero tra gli articoli da ritagliare:

«Vedi! Siamo arrivati Migrante, finalmente: tu e io, insieme, ad Agadez, la città di tutti i traffici, il crocevia di ogni cosa, l’inizio della speranza, forse; il tuo golgota di sabbia, certamente. Sì. Siamo arrivati in tempo per il lunedì, il giorno del Grande Convoglio. È stato davvero un lungo viaggio, due giorni in bus per salire da Niamey. Tanto, troppo. Forse hai ragione, questa è la saggezza che cerchi, invano, di infonderci: la sofferenza ci fa vivere il tempo minuziosamente, un attimo dopo l’altro. So che per te esiste. Per gli altri, per quelli che non soffrono, scivola via e forse non vivono nel tempo, non ci sono mai vissuti. Siamo saliti insieme sul piccolo bus sgangherato, io e i tuoi giovani compagni. Silenziosi, esitanti, sì anche sospettosi l’uno degli altri.

Sette posti di controllo

Sette posti di controllo c’erano su mille chilometri di strada: ricordi? I gendarmi sono venuti, gli occhi avidi, hanno guardato il mio passaporto italiano e me lo hanno reso con un gran sorriso: buon viaggio, turista. Ma per te, per voi, ah no, è stato diverso. Tutti fuori! controllo, controllo. È anche per questo che abbiamo impiegato due giorni, non solo per la strada che è uno strazio di buche: per chiudere un occhio sul fatto che siete migranti, volevano diecimila franchi Cfa, tredici euro, ad ogni posto di controllo. A te che hai detto che eri povero: vabbè, siamo fratelli, dammene cinquemila. Quante volte hai fatto quel gesto, hai visto quel ghigno, hai raschiato in fondo alle tasche partendo dal tuo paese laggiù, in fondo all’Africa? Suvvia basta! Adesso ci siamo: hai visto come è cambiato il paesaggio? Fino a Tahua c’erano luoghi dove gli animali, cavalli, cammelli, asini, mucche sono più numerosi degli uomini, dove questi non l’hanno ancora spuntata e si vedono bei campi di miglio e di sorgo verdi come la vita che cresce e pulsa e i giovani contadini affondano con lena la corta zappa nella terra. Li invidiavi vero? Tu che vieni da un paese assetato dove è inutile gettare la semente. Sai che quei ragazzi si affannano perché se il raccolto sarà buono potranno sposarsi. Forse anche tu quanto tornerai.

Questo invece è il deserto. Affondi i piedi in questa sabbia che non è pura ma venata di argilla secca e friabile, ultimo indizio del livello raggiunto dall’acqua in epoche lontane, senti un crocchiare come di una crosta di farina che si spezza. Guarda la polvere che si alza in nuvole fitte, ancora più impenetrabile per il riflesso del sole.

Il contatto col passeur

Siamo qui nella ressa della stazione dei bus, ora, aspettiamo. Tu il mediatore, è il numero di telefonino che ti è stato dato a Niamey, sai che verrà e ti metterà in contatto con il tuo passeur. Tutto funziona a puntino, tutti lavorano per te. Io sono più avanti, so già chi sarà il passeur che mi porterà nel deserto verso la frontiera libica a Sebah, privilegi di chi ha già pagato i 200 euro. Senti, non guardarmi in quel modo, io al passeur la domanda l’ho fatta: ma non senti rimorsi a accumular denaro sulla pelle di altri esseri umani, a diventar ricco sulla sofferenza? Sai che mi ha risposto con una sicurezza soffice e spaziosa da starci dentro supino ad occhi aperti? Guarda che è un uomo gentile, negli occhi ha una furbizia senza ironia e una parlata a strascico pieghevole e lunga, prima portava i turisti nel deserto in Libia, è rimasto senza lavoro, alla fame, e ha iniziato a trasportare voi: «All’inizio – ha detto – anche io avevo problemi morali, poi ho pensato che tanto questi ragazzi il viaggio lo vogliono fare, in un certo modo li aiuto, cerco di ridurre i rischi e la sofferenza. Due anni fa era diverso, c’erano i libici a trasportare, lasciavano la gente nel deserto con un inganno per farli crepare e guadagnar doppio. Ci siamo parlati, abbiamo deciso che non poteva andare avanti così e ora prima di partire i miei clienti li sfamo, fanno una doccia, do loro un telefonino perché chiamino casa. I miei mezzi hanno tutti il gps. Se c’è un guaio nel deserto vado ad aiutarli, nessuno più si perde e muore. E poi se non ci fossero loro, se non ci offrono altro, qui ad Agadez di cosa viviamo, come sfamiamo i figli?».

(continua qui)