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Mercificare bellezza.

Per fortuna c’è Tomaso Montanari:

Ci saranno anche le spogliarelliste? È quel che ci si chiede, increduli, attraversando il meraviglioso Cortile dell’Ammannati di Palazzo Pitti, violato dall’ennesima baracconata privata. Questa volta, infatti si tratta nientemeno che di un ‘addio al celibato’, organizzato dalla società Palazzigas Events.

Grandi palloni gonfiati rosa e azzurri, le tavolate pronte per essere imbandite, una imbarazzante cornice dorata a coprire la Grotta di Mosè. Un’imponente organizzazione che da tre giorni ha pure sequestrato gran parte del parcheggio per i dipendenti della Soprintendenza.

Ci si sarebbe potuti aspettare che l’arrivo di Eike Schmidt alla guida del complesso mediceo avrebbe messo fine allo scadimento commerciale, volgare, privato di questi straordinari monumenti pubblici. Invece stiamo andando di male in peggio, e ci si chiede dove ci si fermerà. Dal matrimonio bollywodiano siamo scesi all’addio al celibato: quanto manca alla sagra della ballotta, all’apericena, alla bicchierata del circolo?

E con che criterio saranno scelti gli eventi? Perché un lussuoso e pacchiano addio al celibato dovrebbe esser meglio della sagra? Per l’eleganza? Viene da ridere: basta guardare le foto per preferire qualunque sano evento paesano. E allora è più giusto essere esclusivi o popolari? È meglio che Pitti se lo godano pochi ricchi o molti cittadini comuni? O basta pagare, e ciascuno ne farà quel che vuole? Non sarebbe semplicemente più sensato che un monumento resti un monumento: da conoscere, non da usare?

Il Codice dei Beni Culturali punisce chiunque «destina i beni culturali ad un uso incompatibile con il carattere storico artistico»: queste foto dimostrano che – almeno sul piano estetico, e del decoro – siamo già oltre quel limite. Per non parlare dei rischi materiali: già in altre occasioni le pietre del Cortile sono uscite danneggiate da simili eventi privati.

Ma è sul piano morale che concedere il cuore di Pitti ad un addio al celibato appare un errore fatale. In questi giorni si festeggia il sessantesimo compleanno di un’istituzione dell’Oltrarno assai più umile di Palazzo Pitti: la trattoria Sabatino. Nel libro che ne racconta la storia così parla Anna, figlia della prima cuoca che ci lavorò: «In Piazza Santo Spirito c’erano tutti quei meravigliosi palazzi. Quando mi sposai tornai di casa in via Maffia. Avevo una casa che era un tugurio, ma aveva una finestra sul retro che la si affacciava su tutti quei bei palazzi e di lì si vedevano le meraviglie: riuscivo a vedere persino Palazzo Pitti e Boboli». La povertà privata era in qualche modo riscattata da una bellezza pubblica: una bellezza di tutti.

La reggia di Pitti che si intravedeva dalle finestre riusciva a innalzare, a nobilitare e soprattutto a umanizzare quel tugurio: la sovranità del granduca era ora la sovranità di tutti, anche degli ultimi. Ed è per questo che privatizzare e mercificare quella bellezza è un delitto imperdonabile: perché significa toglierla – sul piano dei simboli e del legame morale – a chi non ha nient’altro, e lacerare così un tessuto civile unico al mondo.