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Nel merito. Alfredo Robledo: “Al referendum voto No. Con il Sì passiamo all’oligarchia”

Toh, anche Robledo vota no e intervistato da Angela Gennaro per Huffington Post (qui) spiega il perché;

«Perché se passasse questa riforma costituzionale, per come proposta, si finirebbe per spostare di fatto le leve di comando in capo a un’oligarchia che avrebbe come riferimento il presidente del Consiglio. E onestamente, a prescindere da chi sia il premier, ritengo che sarebbe una situazione restrittiva dei diritti dei cittadini. Non posso non pensare al memorandum del 2013 di un colosso della finanza mondiale come JP Morgan. Lì la banca d’affari statunitense parlava di politica, istituzioni e Costituzioni, criticando in buona sostanza le Carte antifasciste e troppo “socialiste” degli Stati europei. Una delle ragioni della crisi, si sosteneva, era insomma il fatto che le persone avessero “troppi diritti” in Europa. Ecco: far passare una riforma che dà ragione a quelle critiche è un fatto che mi preoccupa tantissimo.

Ma come si concretizzerebbe questa “svolta oligarchica”?
La preoccupazione nasce con il collegamento con la legge elettorale, la quale finisce in pratica per contribuire – con la nomina dei capilista bloccati – a negare il diritto di rappresentanza dei cittadini. Gli eletti non risponderebbero al corpo elettorale ma al segretario del partito che li ha indicati in lista. Con questo combinato disposto, il potere esecutivo riuscirà a condizionare gli altri poteri, anche quello giudiziario – penso alla Corte Costituzionale – e la Presidenza della Repubblica. Insomma, il rischio è quello di una vera e propria forma di controllo. E una tendenza simile si è già manifestata con la magistratura.

In che modo?
Prendiamo la questione del prepensionamento delle toghe, deciso dal governo nel 2014: nuovi limiti di età che spostano l’età della pensione dei magistrati da 75 a 70 anni. In questi due anni abbiamo assistito a uno slittamento del provvedimento. Ma ci hanno anche fatto vedere uno scenario inedito: un sostanziale accordo delle correnti in magistratura, in contesti dove prima c’erano solo scontri. Per me, così, si è sostanzialmente creata una situazione di dipendenza della magistratura dalla politica: la mia categoria deve raggiungere un accordo perché, con buona pace dell’indipendenza, nessuno può permettersi di non partecipare all’indicazione delle nomine dei magistrati al vertice. Certo, le nomine sono fatte dal Consiglio Superiore della Magistratura, composto per due terzi da colleghi eletti dai magistrati, e un terzo da laici eletti dal Parlamento. Eppure proprio quei membri laici, in questi due anni di nomine, non si sono più divisi come invece spesso accadeva in passato, ma hanno fatto come mai prima d’ora fronte comune nelle votazioni. Un’armonia sospetta.

Qualcuno potrebbe accusarla di avercela con questo governo. 
Assolutamente no. Quando parlo di rischio oligarchico lo faccio a prescindere da chi sia il presidente del Consiglio e da chi sia formata la maggioranza. È la Storia, oltre che la cronaca attuale, a far suonare il campanello d’allarme. Non certo io.

Altri tasti dolenti della riforma?
L’immunità del nuovo Senato. I 95 senatori vengono ripartiti tra le Regioni in base al loro peso demografico: 74 senatori saranno eletti tra i membri dei Consigli regionali e 21 tra i sindaci dei Comuni dei rispettivi territori. I nuovi senatori godranno delle stesse tutele dei deputati, ovvero delle prerogative dell’articolo 68 della Costituzione: non potranno essere arrestati o sottoposti a intercettazione senza l’autorizzazione della loro camera. E qui mi permetto di delineare il peggiore degli scenari: cosa impedisce ad un partito, prima delle elezioni, di fare una valutazione di utilità rispetto alla scelta di persone che si ritrovano anche in situazioni giudiziarie non trasparenti? Cosa impedisce che da un governo forte arrivi l’input a indicare delle persone da salvare, traghettandole al Senato e alla sua immunità anche nell’esercizio di funzioni amministrative e non solo parlamentari?»

(l’articolo è qui)