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Così resistono i Sioux

[di Andrea Legni su dolcevitaonline.it]

Oltre 400 arresti in poche settimane. Decine di feriti. Polizia di contea, federali e guardie private della compagnia petrolifera. Indigeni colpiti con spray urticante e addirittura aizzando cani feroci. I vecchi capi indiani che parlano apertamente di un ritorno agli anni del 1800, quando la polizia non esitava a reprimere nel sangue ogni dimostrazione indigena.

Gli indiani Sioux, raccolti nella Standing Rock Sioux Tribe, e supportati da centinaia di altri Nativi americani e associazioni per i diritti civili, stanno portando avanti da mesi la battaglia contro l’oleodotto Dakota Access Pipeline (DAPL), mega opera da 3,8 miliardi di dollari che dovrebbe trasportare il greggio dal campo Bakken attraverso gli Stati del Nord e Sud Dakota, poi Iowa e quindi fino all’Illinois.

A regime, l’oleodotto sarà lungo 1700 chilometri e attraverserà 50 città in quattro stati,dal North Dakota fino all’Illinois, e trasportare 570mila barili di petrolio equivalente al giorno.

Le proteste dei Sioux sono cominciate ad aprile, quando la compagnia ha annunciato di voler far passare l’oleodotto sotto il corso del fiume Missouri. Una minaccia per il territorio della riserva indiana gestita da Standing Rock Sioux, visto che il Missouri è l’unico corso da cui i nativi possono attingere l’acqua.

Gli Indiani d’America hanno cominciato a radunarsi vicino alla città di Cannon Ball, una città nel centro-sud Dakota del Nord, vicino al confine del Sud Dakota, ed hanno chiamato alla lotta anche gli altri popoli nativi: membri di 27 tribù si sono unti alle dimostrazioni, provenienti anche da stati lontani, quali Nevada e Washington.

E da allora non hanno ancora smesso nonostante la repressione nei loro confronti sia aumentata di giorno in giorno. Nonostante, per spezzarne la determinazione, sia intervenuta non solo la polizia antisommossa con cariche ed arresti, ma pure gli agenti privati della Dakota Access, i quali – in assetto paramilitare – hanno aggredito i manifestanti utilizzando spray urticanti e cani, come mostrato da queste immagini girate dall’associazione Democracy Now!

La situazione è poi precipitata dopo il 14 settembre, quando i giudici hanno respinto il ricorso presentato dalla Standing rock Sioux contro l’opera per la mancata consultazione delle popolazioni locali prima di iniziare i lavori e per aver violato le leggi sulla protezione dei siti storici e naturali.

Da quel giorno a tutti gli indigeni è stato chiaro che l’unico modo per preservare la propria terra sarebbe stata la resistenza ad oltranza. Ogni giorno migliaia di indigeni, ai quali si sono uniti anche tanti americani comuni ed attivisti per i diritti civili, si ritrovano ogni giorno per impedire fisicamente l’avanzamento dei lavori.

Da allora si sono moltiplicati gli arresti, talmente tanti (un centinaio nella sola giornata del 22 ottobre) da rendere impossibile rinchiuderli tutti nella prigione della contea di Morton, rendendone necessaria la distribuzione in tutte le prigioni del Nord Dakota. Arresti che hanno colpito non solo gli attivisti, ma anche giornalisti, fotografi e documentaristi indipendenti che stanno cercando di documentare le proteste e la repressione per portarle alla conoscenza dell’opinione pubblica.

Tra gli arrestati c’era anche l’attrice Shailene Woodley (protagonista del film Snowden di Oliver Stone), che si era unita alle proteste. Mentre il documentarista Deia Schlosberg è stato rinchiuso in carcere e accusato di una lunga sequenza di reati (furto di proprietà, manomissione, sabotaggio, danneggiamenti e cospirazioni) che secondo la legge americana potrebbero valergli fino a 45 (quaratacinque!) anni di carcere.

Di fronte alle continue violenze della polizia per ora le proteste sono rimaste pacifiche. Ma secondo gli attivistidell’associazione Red Warrior Camp, le autorità e la compagnia Dakota Access stanno cercando di provocare gli indiani sperando di portarli all’uso della violenza, di modo da giustificare, agli occhi dell’opinione pubblica, arresti, cariche e sgombero forzato dell’area.

Ma le provocazioni per ora hanno solo ottenuto il risultato contrario: ogni giorno aumentano i manifestanti e le principali organizzazioni per i diritti umani stanno prendendo le parti dei Sioux. Anche quelle solitamente più caute nei confronti del gigante a stelle e strisce, come Amnesty International che ha criticato le violenze della polizia ed inviato dei propri osservatori sul posto.

Nel frattempo i Sioux, e tutte le tribù accorse a dare manforte, non arretrano di un passo e cercano di far capire ai cittadini degli stati vicini come la loro protesta riguardi tutti. Non solo i circa 30mila indigeni che abitano l’area, ma tutti i 17 milioni di americani che ricevono la propria acqua potabile dal fiume Missouri. Acqua che un eventuale incidente all’oleodotto potrebbe irrimediabilmente contaminare.