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Intanto l’ex assessore di Scopelliti si prende 9 anni per mafia

(Lucio Musolino per Il Fatto Quotidiano)

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Nove anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e 2.100 euro di multa. L’ex consigliere e assessore comunale all’Ambiente Pino Plutino è stato condannato anche dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria al termine del processo “Alta tensione 2“. Adesso manca solo il sigillo della Cassazione per confermare quanto sostiene la Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e cioè che l’uomo di fiducia dell’ex sindaco e governatore Giuseppe Scopelliti è un componente della famiglia mafiosa Caridi federata con la potente cosca Libri.

La sentenza è arrivata intorno alle 19 dopo una lunga camera di consiglio. In sostanza, i giudici della Corte d’Appello hanno confermato l’impianto accusatorio del pm Stefano Musolino che, in primo grado, aveva ottenuto la condanna di Plutino a 12 anni di carcere.

Arrestato nel 2012, l’ex assessore comunale sarebbe stato il referente politico dei Caridi al Comune di Reggio. Su di lui, il clan avrebbe fatto confluire i voti non solo degli affiliati, alterando la libera competizione elettorale per le comunali del 2011. Plutino, infatti, è il cugino di Domenico Condemi, considerato il boss del quartiere San Giorgio Extra e condannato a 20 anni di carcere.

Secondo gli inquirenti, l’ex assessore condannato era “il referente della cosca Caridi-Borghetto-Zindato e cresciuto politicamente attraverso queste dinamiche”. Secondo la Procura, da questa inchiesta, è venuta fuori quella che definiscono la ‘ndrangheta “fluida” capace di infiltrarsi nelle istituzioni e che chiede di essere riconosciuta come “sistema di potere“.

La Corte d’Appello ha assolto il fratello del boss, Filippo Condemi, “per non aver commesso il fatto”. Cadono le accuse anche per il poliziotto Bruno Doldo processato per rivelazione del segreto d’ufficio. Al termine del processo, così come era avvenuto in primo grado, i giudici hanno ritenuto che Doldo (all’epoca anche arrestato) fosse innocente e, soprattutto, non fosse quell’”agente della Digos” di cui si parla nelle intercettazioni effettuate durante le indagini.