Vai al contenuto

La “stabilità” trattata così (in favore del sì) è un truffa. Ecco perché.

Prima era tutto un ripetere di “governabilità”. Dappertutto. Una riforma costituzionale per rendere questo Paese più governabile, ci dicevano, dimenticando che un governante (che avrebbe il compito di rendere un Paese governato) non fa una bella figura nel chiedere l’allentamento delle regole per riuscire a governare meglio. Glielo abbiamo ripetuto per mesi che la solfa della governabilità non avrebbe funzionato, così ora sono passati alla “stabilità”.

“Questo Paese ha bisogno di stabilità”, “chi vota no mette a rischio la stabilità del Paese”, “la nuova riforma serve a garantire stabilità”, “gli investimenti non arrivano perché non c’è stabilità” e via con la nuova cantilena sparsa a pioggia dai fedeli servitori. Così alla fine la stabilità diventa un feticcio, un dovere di cui noi dobbiamo occuparci e di cui noi dobbiamo assumerci la responsabilità. Insomma: questo Paese è instabile per colpa nostra e ora basterebbe un sì.

Eppure la questione è lapalissiana: la stabilità politica di un Paese non viene messa in discussione dalla volontà popolare ma deve essere garantita dai suoi leader di governo. Mi spiego meglio: la catastrofe nel caso della vittoria del no al prossimo referendum è tutta farina di Renzi e gli Stati esteri non fanno che registrarne l’allarmismo. Basterebbe che l’attuale Presidente del Consiglio abbandonasse un secondo soltanto il proprio ego e garantisse responsabilmente di dare corso alla decisione che uscirà dalle urne senza provocare scossoni e garantendo gli impegni presi e facilitando qualsiasi evoluzione politica. E il Presidente del Consiglio è Renzi.

Oppure basterebbe che il segretario del partito che detiene una folta maggioranza in Parlamento (perché siamo una Repubblica parlamentare, ricordate?) assicuri un atteggiamento responsabile del suo partito sulle decisioni che eventualmente spetterebbero al Capo dello Stato. Ah, il segretario di quel partito è sempre Matteo Renzi.

Il resto è propaganda e allarmismo. Populismo, direbbero loro.

(Pubblicato per i Quaderni di Possibile qui)