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Sempre su Lotti: cosa dicono i suoi ex compagni di partito

“Quello che è indiscutibile è che Lotti non può restare al suo posto come se nulla fosse”. Su questo punto c’è accordo assoluto nel gruppo del Movimento democratici e progressisti, fondato dai fuoriusciti dal Pd. Il coro, tra senatori e deputati, è unanime: “Nessuno può pensare di cavarsela con qualche frase di circostanza, come si sta tentando di fare in queste ore, né ricorrendo a insulti nei confronti di chi chiede chiarezza su una vicenda che è abbastanza inquietante”. La vicenda è quella legata all’inchiesta Consip, nell’ambito della quale a Luca Lotti si contestano i reati di rilevazione di segreto e favoreggiamento. “Ma la questione qui non è giudiziaria, noi restiamo garantisti” assicurano i parlamentari Mdp. Del resto l’attuale ministro dello Sport non è solo un indagato eccellente: è anche il più fedele dei renziani, il braccio destro che l’ex presidente del Consiglio ha voluto dapprima con sé a Palazzo Chigi come sottosegretario e poi ha imposto all’interno della squadra di governo di Paolo Gentiloni. E la tentazione di colpire politicamente uno dei pilastri del giglio magico è innegabilmente forte per chi ha addirittura abbandonato il Pd a causa dell’incompatibilità con i metodi del Rottamatore.

Non è a rischio la stabilità del governo, anche perché Forza Italia ha già annunciato il proprio voto contrario alla mozione di sfiducia del M5s e i verdiniani saranno sicuramente un’altra truppa di supporto. Resta tuttavia il pericolo è di un primo cortocircuito tra Pd e i vecchi compagni di Mdp: “Questa è un richiesta che qualifica chi la fa – dice Matteo Orfini all’HuffingtonPost – Non mi stupisce che a farlo siano i clown dell’M5S. Sono quelli che cambiano il loro statuto per evitare l’obbligo di dimissioni della Raggi di fronte a una valanga di indagini e di avvisi di garanzia e poi si scoprono manettari sugli avversari politici”.

Il senatore Felice Casson ci tiene a precisare: “Non è che non sappiamo cosa rappresenti Lotti. Ma queste considerazioni vengono in secondo piano”. E aggiunge: “Noi stiamo al merito delle notizie che stanno uscendo: riteniamo doveroso che il ministro faccia un gesto politico significativo e che lo faccia subito”. Farlo subito, dunque. Cioè prima che si arrivi a dover votare la mozione di sfiducia nei confronti del ministro dello Sport presentata, sia alla Camera sia al Senato, dal Movimento Cinque Stelle e che i grillini hanno chiesto di calendarizzare immediatamente. Una votazione che rischierebbe di mettere in difficoltà alcuni esponenti dei nuovi gruppi parlamentari di Mdp, restii a compiere un gesto dichiaratamente ostile nei confronti dell’esecutivo Gentiloni. Ragiona la senatrice Lucrezia Ricchiuti: “Se mi si chiede di giudicare la gravità dei fatti che stanno emergendo, è chiaro che non potrei che pretendere un atto di responsabilità da parte di Lotti”. Però? “Però ci sono considerazioni politiche più generali: abbiamo affermato di voler sostenere Gentiloni, in una fase così delicata per il Paese. Aprire una crisi di governo senza avere neppure una legge elettorale valida sarebbe da irresponsabili”. “Retropensieri che non mi appartengono”, taglia corto, invece, Claudio Fava, compagno di partito della Ricchiuti a Montecitorio: “Io la mozione di sfiducia dei Cinquestelle la voterei, semplicemente”. Insomma, la questione è delicata: appoggiare o non appoggiare i pentastellati nella richiesta di dimissioni, rischiando di fare uno sgambetto a Gentiloni? “Decideremo al momento opportuno riunendo i gruppi”, prende tempo Alfredo D’Attorre.

Ma in realtà delle conversazioni informali, nei corridoi di Palazzo Madama, ci sono già state tra i senatori di Mdp. “Ne abbiamo parlato a lungo. Vogliamo arrivare ad una posizione condivisa da parte di tutto il gruppo – racconta Casson – ma che al contempo rispetti le sensibilità dei singoli”. E il problema della fedeltà a Gentiloni? “Non chiedetene conto a me. Io a questo governo non l’ho mai votata la fiducia”, scherza, per poi aggiungere: “Mi rendo conto però che per altri è meno facile decidere”.

Ecco spiegato, allora, perché Bersani e compagni provano a giocare d’anticipo, risolvendo la questione prima di doversi pronunciare in Aula sulla mozione di sfiducia. E dunque, intravedendo peraltro la possibilità di indebolire Renzi nella sua corsa per il Congresso, pretendono sin d’ora un sostanziale ridimensionamento del ruolo di Lotti. Sposano quindi la linea dettata da Gianni Cuperlo, al contempo determinato e sibillino nell’invocare un chiarimento da parte dell’ex premier e nel chiedere a Lotti “un passo di lato” ma “non le dimissioni”. E qui sta il problema: in cosa dovrebbe consistere, effettivamente, questo “passo di lato”? “Vedremo”, risponde Casson, convinto che “prima bisognerà leggere nel dettaglio il contenuto della mozione dei Cinque Stelle”. Trovare la sintesi non è facile. Per ora ci si sente dire che “Lotti non può restare al suo posto”, ma al contempo che “non è detto che si debba dimettere”. Posizione non esattamente cristallina.

Poi a fare chiarezza arriva Arturo Scotto, ex capogruppo di Sel alla Camera e leader dei transfughi di Sinistra Italiana confluiti in Mdp. “Ciò che è realistico pretendere nell’immediato, e che io ho proposto, è che a Lotti vengano ritirate le deleghe al Cipe e all’editoria”. Deleghe che il giovane ministro di Samminiatello aveva già quando era sottosegretario a Palazzo Chigi con Renzi, e che ha mantenuto – provocando non pochi malumori anche tra i suoi colleghi di governo – dopo l’insediamento di Gentiloni a Palazzo Chigi. Un azzoppamento ma non una defenestrazione, dunque? Scotto consiglia di essere più sottili, nel giudizio: “Dover rinunciare alle deleghe, sostanzialmente, significherebbe per lui non essere un vero e proprio ministro. O quantomeno non governare. Se poi dovesse decidere di dimettersi del tutto, ben venga”.

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