Ne scrive bene Silvia Bianchi per Gli stati Generali che in riferimento alle frasi di Giuliano Pisapia (che dice che un partito “sarebbe contrario al mio modo” e poi “i partiti oggi non hanno quell’appeal, secondo i sondaggi hanno un livello di fiducia del 3%“):
Schifare la “forma partito” è molto di moda, da Mani Pulite in avanti: non lo era quello di Berlusconi; non lo è il M5S; persino i fuoriusciti del Pd, frammenti del suo organigramma, si definiscono pudicamente “Movimento” (anche se, per ora, l’unico movimento percettibile è lo spostamento dei parlamentari da un punto all’altro degli emicicli di Camera e Senato). Ma ammantarsi dell’aura del “civismo” può diventare un trucco per nascondere la polvere dei dissensi sotto al tappeto, per camuffare una macchina elettorale messa al servizio di un autoproclamato leader e dei suoi cooptati o per ingentilire un’ammucchiata di ceto politico in cerca di seggi parlamentari.
Spero che i tanti che – a dire di Pisapia – si stanno avvicinando con entusiasmo al Campo Progressistasiano consapevoli di questi rischi e che qualcuno intenda mettere il problema sul tavolo. Certamente la costruzione di un partito è un lavoro lungo, poco affascinante e complicato, soprattutto se il tempo a disposizione è poco (anche per questo sarebbe meglio che le fasi fondative non avvenissero in vista delle elezioni…); ma è l’unico modo per garantire che le idee di ciascuno abbiano una chance democratica di affermarsi.
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