Vai al contenuto

«Scriverlo è stato salvifico»: una mia intervista su #Santamamma (e non solo)

(di Erika Pucci per VersiliaToday, fonte)

Sabato 22 Aprile lo scrittore e regista teatrale Giulio Cavalli ha incontrato i lettori alla libreria “La Vela” di Viareggio presentando per la prima volta in assoluto il suo ultimo libro “Santamamma” (Fandango, 2017). Un libro autobiografico in cui l’autore racconta la propria storia di figlio adottivo, bambino prodigio, “eroe” della legalità, gli anni della scorta fino al ritrovamento del proprio fratello. Condivisione e identità sono i due grandi temi di una storia appassionante e onesta. Il pubblico de “La Vela” ha accolto con calore, interesse e emozione l’autore. Prima dell’incontro ho rivolto a Giulio alcune domande per i lettori di Versilia Today.

Santamamma” a differenza di altri tuoi libri, ha la crudeltà dell’autobiografia. Quanto ti è costato scrivere questo libro e quali sono le motivazioni che ti hanno spinto a farlo?

Scrivere il libro non mi è costato, è stato salvifico, anche se sembra spigoloso e feroce per me è stato confortevole, prima di tutto. Perché sono nato come racconta storie e non come autore da inchiesta: con “Santamamma” sono tornato a fare il mio lavoro. Ho la fortuna di avere un pubblico che è molto più sensibile di me a ciò che mi riguarda, pertanto questo romanzo non è una risposta ma una domanda. Per esprimerlo con una citazione

” si vive soltanto nei momenti in cui si rivive qualcosa che si è vissuto nell’infanzia”.

Il tuo sito è uno spazio ben organizzato e efficace delle molteplici attività in cui sei impegnato, soprattutto emerge in modo deciso e convincente l’assoluta simbiosi tra parole e azioni nei vari temi in cui hai combattuto battaglie in prima linea: attraverso il tuo lavoro teatrale e di scrittore e giornalista, cosa significa impegno civile?

In un momento della mia vita mi hanno fatto credere che la mia complessità fosse un problema e io sono sempre stato innamorato della complessità. Sfogo nel giornalismo abusivo ciò che non riesco a esprimere nel palcoscenico così come nella scrittura di romanzi. Tra le azioni di cui sono fiero c’è quella di rivendicare la mia complessità. Il sito è lo spazio più libero da questo punto di vista. La scrittura è ciò che mi fa stare bene, è prendermi cura di me.

Recentemente il sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini, con cui avevi scritto il monologo “L’isola che c’è“, ha ricevuto il premio Unesco per la pace. Che valore ha oggi la politica dell’accoglienza, ribadita dal riconoscimento, per il nostro Paese e per l’Europa?

L’Italia avrebbe potuto essere un avamposto culturale come è stata nei secoli, il tema non è l’accoglienza ma l’ umanità, quello che ritengo prioritario è un’impermeabilizzazione morale per gli stenti di questi tempi. Un grande intellettuale del nostro tempo ebbe una grande intuizione, Vittorio Arrigoni, e mi chiedo come racconterebbe questo tempo “restando umani”? Il premio a Giusi è importante, ci dovrebbe costringere a riflettere sulla cordialità nel senso letterale del termine ossia di sentire col cuore. Giusi ne è l’ultima testimone.

A seguito del fermo in Turchia del giornalista Gabriele del Grande sei stato tra i primi a prendere una posizione netta sul tema con un articolo in cui sottolineavi che la liberazione di Gabriele e il suo lottare per essa riguarda tutti. Perché?

C’è un aspetto personale in questa mia scelta ossia l’ enorme lutto che ho vissuto per Vittorio Arrigoni, conosciuto al grande pubblico da morto e infangato. Vittorio, Gabriele sono troppo poco ottundibili: l’ho vissuto sulla mia pelle che in certe circostanze sei preda dei cannibali non per quel che sei o che hai fatto ma per quel che ti è successo. E questo capita spesso quando scrivi, lavori fuori dai circuiti “istituzionali”: da questo l’ urgenza di scrivere subito di Gabriele, scrivere significava frenare i meccanismi che si erano attivati con Arrigoni e Baldoni. Fuori dai circuiti istituzionali: l’ urgenza di scrivere significava frenare subito i meccanismi che si erano attivati con Arrigoni e Baldoni. La fidelizzazione col pubblico.

Come sai qui a Viareggio siamo a pochi passi da S. Anna di Stazzema, luogo di eccidio nazista e famosa anche per gli incartamenti finiti nell’armadio della vergogna. Sulla tua bio ti definisci “Partigiano”: cosa significa oggi per te questo?

Partigiano oggi è colui che decide esattamente da che parte stare, che è uno dei vizi che ci chiedono di non frequentare. Essere partigiani significa non pensare che esistono storie o cose su cui non abbiamo diritto di parlare. Scegliere, dire la propria significa perdere ogni volta una parte di pubblico. A seguito della scorta che mi è stata assegnata mi sono ritrovato un grande pubblico, come accadde a Saviano che stimo ma di cui non condivido le ultime scelte. La fidelizzazione del pubblico è importante per chi sceglie da che parte stare.

Fra le varie attività che porti avanti c’è l’assiduo contatto con le generazioni più giovani attraverso gli interventi nelle scuole. Di cosa hanno “fame” i ragazzi che incontri?

Hanno fame di autenticità e incontrare i ragazzi soprattutto delle scuole professionali è il modo migliore per testare te stesso. Loro non ci cascano, con loro non puoi barare. Le scuole di frontiera mi piacciono. Spesso sono frequentate da alunni provenienti da altri paesi, da altre storie e strade che credono ancora nell’istruzione perché vedono l’ usibilità del sapere, cerco, se possibile, di evitare i licei classici.

Per finire tornando al libro: “Santamamma” è edito da Fandango, che è anche una casa di produzione cinematografica importante, è previsto un film tratto dal tuo romanzo?

Il romanzo drammaturgicamente si presta a diventare un film.

Sono quasi le 18,00, l’ora di andare in libreria. Per tutto il tempo dell’intervista gli occhi di Giulio Cavalli hanno brillato di onestà a confermare con lo sguardo ogni parola detta. Per tutto il tempo dell’intervista mentre muoveva le mani nel raccontarsi le parole “Stay Human “ tatuate sul suo polso ci hanno accompagnato così come nell’intenso incontro che Giulio ha avuto col suo pubblico in libreria. Forse sono proprio quelle parole, tatuate anche oltre la pelle, che rendono i suoi libri, le sue chiacchierate, i suoi monologhi, i suoi articoli, le sue parole così penetranti e necessari.