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Intanto la Basilicata muore sepolta dal petrolio. Ma all’ENI tutti baciano le mani.

Il federalismo della responsabilità e la servitù verso l’ENI ha già prodotto un grande risultato: un’intera regione è stata lasciata sola a marcire sotto il petrolio. Ecco l’aggiornamento del Fatto Quotidiano:

Il 28 marzo scorso veniva rilevato un livello di benzene nelle aree esterne al Centro Olio dell’Eni di Viggiano (Cova) 2.380 volte superiore la soglia consentita. Soglia che invece il primo marzo, nell’area interna all’impianto, superava ben 19 mila volte i limiti. Parliamo di un’area di circa 6 mila metri quadri, grande quasi come un campo da calcio. È in quest’area che, da uno dei serbatoi – come denunciato dal Fatto e da Striscia la Notizia – tra agosto e novembre 2016 fuoriuscirono 400 tonnellate di greggio. Di queste, fa sapere l’azienda, 280 sarebbero state recuperate. Ma i danni restano. E sulla vicenda, nei mesi scorsi, la Procura di Potenza ha aperto un fascicolo d’indagine. L’allarme è confermato dai dati depositati dalla stessa Eni e resi pubblici dalla Regione Basilicata. Il movimento Nuovo Senso Civico Onlus e l’associazione Intercomunale Lucania denunciano: “È una situazione gravissima – spiega Augusto De Sanctis, referente del movimento – e confermano una contaminazione di acqua e suolo. Dal 15 aprile all’11 maggio di quest’anno, solo per il drenaggio della zona Fossa del Lupo, l’acqua estratta risulta contaminata per 6.425 metri cubi”. Il Cova di Potenza, lo ricordiamo, è fermo dal 18 aprile, dopo la delibera della giunta regionale della Basilicata che ne chiedeva lo stop a fronte delle “inadempienze e dei ritardi” da parte dell’Eni.

Sempre nel documento si legge come a inquinare acque e sottosuolo intorno al Cova ci sarebbe anche l’m,p-Xilene, un idrocarburo aromatico: in uno dei campionamenti risulta 39 volte la soglia, gli idrocarburi totali invece la superano di 5 volte. Le perforazioni nel sottosuolo attraverso cui viene monitorata la falda, fotografano una situazione preoccupante. A partire dai livelli di toluene. Nel comunicato si legge infatti che l’idrocarburo aromatico, classificato come sostanza nociva e facilmente infiammabile, supera di 20 volte i livelli consentiti (campione del 19 marzo). Anche Arpab – Agenzia regionale per l’Ambiente della Basilicata – dal 9 marzo al 15 aprile, rileva che i campioni delle acque sotterranee registrano un livello di manganese nelle aree esterne al Cova quasi 12 mila volte i limiti consentiti. Nello stesso punto gli idrocarburi, invece, superano di 9.800 volte la soglia. “L’attenzione è alta, c’è un’importante contaminazione dell’area – spiega l’ingegnere Arpab Maria Angelica Auletta – tanto che la fase di messa in sicurezza che spetta a Eni in quanto soggetto che ha inquinato, è seguita anche dalla nostra agenzia. Dopo l’incidente di gennaio (in cui si verificò uno sversamento di greggio da uno dei serbatoi dell’impianto, ndr) abbiamo richiesto una serie di prescrizioni, tra cui il monitoraggio del dreno con cadenza bisettimanale”.

A vigilare sul Cova c’è anche il ministero dell’Ambiente. Il caso è diventato di “rilevante interesse” nazionale. Per questo Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e Arpa Basilicata stanno lavorando insieme per monitorare messa in sicurezza e funzionamento complessivo dell’impianto.

E se all’esterno del Centro Olio della Val d’Agri i livelli di contaminazione sono elevati, nell’area interna la situazione peggiora. “È un impianto – dichiara Augusto De Sanctis – che non va assolutamente riaperto. È troppo pericoloso per la salute e per l’ambiente”.

Per l’Eni “i dati riportati sono superati”. Secondo la compagnia le concentrazioni dei contaminanti sono in drastica diminuzione: “Nell’area interna al Centro Olio il benzene è passato da 19.100 microgrammi per litro di marzo a 7.410 microgrammilitro il primo aprile. L’m,p-Xilene è passato a 2.020 microgrammi/lt il primo aprile con una riduzione del 98%”. Eni inoltre precisa che “non si è verificata alcuna contaminazione di falde acquifere al di fuori dell’area industriale grazie alle barriere idrauliche e all’efficacia degli interventi realizzati” e che “il problema che ha causato la perdita è stato chiaramente identificato e bloccato”. C’è grande attenzione anche sull’invaso del Pertusillo, che con suoi 155 milioni di metri cubi fornisce acqua a Puglia e Basilicata, ma Arpa rassicura: “Per quanto riguarda fiume Agri e Pertusillo – spiega l’ingegnere Auletta – non ci sono dati che evidenzino la contaminazione delle acque rispetto ai limiti di legge”.