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Il presepe dell’uomo senza gamba e senza nome

C’è questa storia così poco natalizia che riporta il Corriere: un uomo che non sa chi è da dieci mesi è parcheggiato all’Ospedale San Carlo di Milano. A metà febbraio è stato portato in clinica da un’ambulanza chiamata da alcuni passanti in piazza Frattini a Milano, zona Lorenteggio, che avevano visto quest’uomo “rotolarsi per terra”. Scrive il Corriere:

l’unico suo modo di muoversi, avendo la gamba destra amputata all’altezza della coscia e la gamba sinistra quasi paralizzata dalle conseguenze di un ictus. Emiplegico e pure afasico, non perché privo di voce ma perché sostanzialmente incapace di esprimere a parole il proprio pensiero, pur in presenza di uno stato di coscienza tornato lucido dopo una prima fase confusionale che lo vedeva anche prendersi a schiaffi.

A lungo i medici, gli infermieri e i mediatori culturali dell’ospedale non riescono a scalfire l’enigma. Fino a quando ci si mette il caso e, nella stanza di ospedale, entra la badante romena di uno degli altri tre pazienti. A quell’idioma l’uomo sembra illuminarsi. Seppure molto a fatica, da allora chi si rapporta ai suoi fonemi ritiene in effetti di cogliere che l’uomo cerchi di dire di essere nato un 2 gennaio nella zona di Bucarest, di avere circa 50 anni, di chiamarsi forse Iorge, e di essere stato sfruttato come mendicante.

L’uomo senza gamba e senza nome è un ottimo personaggio per farci un presepe, se ci pensate: c’è la fuga dalla schiavitù, la fragilità di un futuro in bilico e soprattutto c’è tutta la solitudine di chi sa bene di avere bisogno di aiuto e di non potere dare nulla in cambio, in un meccanismo di “do ut des” che sembra essere l’unico possibile. Niente Re Magi qui. Niente stella polare. La sua capanna al massimo è il cuore di chi gli si dedica intorno.