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Arte

I Mangiafemmine: intervista al Corriere Torino

Anatomia di un Mangiafemmine: «Chiunque tenga in tasca il proprio privilegio come un’arma da sfoderare per riempirsi lo stomaco di una turpe voglia qualsiasi. I mangiafemmine si nutrono di donne per definire la propria identità e per mostrarsi al branco come capaci alla caccia». È veramente distopico (non usiamo altri aggettivi in sostituzione di uno che si ripropone come la cipolla a colazione) e speriamo non preveggente, il romanzo che Giulio Cavalli presenta oggi alle 18.30 al Bistrò di Off Topic. «Quando il governo di DF smette di tollerare il bollettino quotidiano dei femminicidi emesso dall’Istituto Superiore della Naturalità resta una soluzione: la legalizzazione… Il rispetto della donna — dice la presidente di DF, scelta in quanto donna poco prima dell’importante riforma — si esercita dicendo la verità. La verità è che le donne soppresse dai loro mariti sono un argine al populismo di genere che ha intossicato il vivere civile».

Sul serio ha scritto il libro in 18 giorni?
«Sedimentava da molto. Ogni volta che da giornalista mi ritrovavo di fronte a una notizia utile alla costruzione di un mondo fallocratico mi si aggiungeva uno strato di consapevolezza».

Quanti mangiafemmine vede intorno a sé?
«Ne vedo e ne ho visti moltissimi. Ci sono quelli conclamati, quelli in incubazione, i sieropositivi al mangiafemminismo asintomatici, quelli ormai colti da demenza mangiafemminica, i consapevoli, gli inconsapevoli, i fascinorosi da non confondere con gli affascinanti. Io mi ritengo un mangiafemmine culturale. Sono nato in quei tempi lì, cresciuto in un mondo che aspirava alla piccola borghesia specializzandosi nel benpensantesimo. Riconosco i genomi di quelli che mostrifichiamo per dichiararci assolti».

Qual è la riflessione che possono e devono fare gli uomini?
«Serenamente coltivare la consapevolezza che il patriarcato è una componente millenaria della storia che ci ha portato fin qui. Avere la dignità di riconoscere una responsabilità culturale che è collettiva e che richiede di collettivizzare una riforma sociale che non può che partire dai maschi. In questi mesi abbiamo assistito a moti dovuti da eccesso di difesa che avevano l’aria di essere un mezza confessione. Quando gli oppressori si dichiarano oppressi non c’è nulla di buono all’orizzonte».

C’è un fatto che l’ha ispirata?
«Durante una riunione di redazione ho proposto un pezzo su un femminicidio avvenuto in un coppia anziana. Mi hanno spiegato che quel delitto non aveva nessuna caratteristica particolarmente notiziabile perché era “scontato”. Mi sono detto: l’abbiamo normalizzato».

C’è un filo sottile tra distopia e realtà, già scavallato in molti casi. Accadrà ancora?
«Qualcuno leggendo il libro ha parlato di iperrealismo. Un aggettivo molto più responsabilizzante».

Lei dice che ha fiducia nella lotta. In quale?
«Giro per le scuole e tocco un progresso fulminante. Sono stato usato come molla di assemblee in cui le donne rivendicano il diritto e il dovere di non stare al loro posto. Nei piccoli abusi quotidiani travestiti da innocenti scherzi mi capita di vedere maschi che non sorridono ed esprimono il loro fastidio. Credo che il mondo sia pieno di persone che ogni mattina provano a essere migliori e smettere di mangiare femmine è una materia obbligatoria».

E la sua, di lotta, qual è?
«Riconoscere i fallimenti. Se ti dichiari fallibile ti scrolli di dosso il paternalismo, uno degli elementi inquinanti del patriarcato. Da giornalista insisto per trovare spazio a ogni femminicidio e alle testimonianze delle donne sopravviventi. Mi illudo che le ripetitività degli abusi possa dare le dimensioni del dirupo».

https://torino.corriere.it/notizie/cultura/24_febbraio_01/giulio-cavalli-e-il-suo-ultimo-libro-siamo-tutti-mangiafemmine-e-la-responsabilita-e-collettiva-190ca4d5-f39d-4128-a014-b3c9ade55xlk.shtml

“Odio gli indifferenti”: 5 domande a Giulio Cavalli

Nato a Milano, è attore, scrittore, giornalista, regista teatrale, drammaturgo e politico.

Nel 2001 fonda la Bottega dei Mestieri teatrali con cui ha messo in scena diversi spettacoli d’impegno civile quali, molti di questi pubblicati come libri; Linate 8 ottobre 2001: la strage, Bambini a dondolo sul turismo sessuale infantileDo ut des su riti e conviti mafiosiA 100 passi dal Duomo scritto in collaborazione con Gianni Barbacetto sulle mafie al Nord, Nomi, cognomi e infami e L’innocenza di Giulio.

Dalla stagione 2007-2008 è direttore artistico del Teatro Nebiolo di Tavazzano con Villavesco, in provincia di Lodi.

Nel dicembre 2009 è stato ricevuto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che gli ha portato la propria solidarietà per la vita sotto scorta che conduce a causa delle minacce ricevute da parte della mafia. Nel gennaio 2010 a Catania gli è stato conferito il premio giornalistico «Pippo Fava».

È consigliere regionale in Lombardia, primo firmatario della legge per l’educazione alla legalità e membro dell’Osservatorio sulla legalità del Consiglio regionale.

Stiamo parlando di Giulio Cavalli al quale ho fatto 5 domande sullo spettacolo in scena al Teatro della Cooperativa in scena dal 12 al 21 gennaio 2024 (esclusi lunedì 15 e mercoledì 17).

Quando e perché nasce lo spettacolo Odio gli indifferenti?

Girando per scuole, presentazioni dei miei libri e incontri ho avuto la sensazione che la Costituzione sia ormai un feticcio. C’è chi la sventola come spada per fare opposizione e chi la interpreta come se fosse un biglietto del biscotto della fortuna. Quando mi capita di rileggerla la trovo ferocissima, quasi violenta: scorrere la Costituzione oggi significa fare i conti con il fallimento disastroso della costruzione sociale in cui stiamo.

Quindi mi sono detto: che accadrebbe se diventasse obbligatorio – ma davvero – il rispetto della Costituzione? Quanti mestieri sparirebbero? Quanti falsi profeti verrebbero smutandati? Pensandoci ci ho ritrovato una giullarata già pronta, seppure tragica come lo sono tutte le giullare ben riuscite. A quel punto mi serviva un inquisitore, un uomo di legge, possibilmente qualcuno delegittimato per la sua rigorosa lettura della Costituzione. E Luigi De Magistris mi è sembrato perfetto.

C’è un indifferente che odi di più in assoluto e perché?

Credo di trovare più insopportabili gli indifferenti per vigliaccheria rispetto agli indifferenti per guadagno personale. Potrei citare la solita massima che va fortissima sui social del “silenzio degli onesti” eccetera eccetera ma più di tutto mi basisce la stupidità di chi è disposto a perderci pur di non prendersi la briga di applicarsi. Gli antifascisti omeopatici, ad esempio, che nella storia sono sempre stati la stampella dei fascismi.

Odio gli indifferenti sarà in scena presso il Teatro della Cooperativa che ha fatto della memoria storica e dell’impegno civile il proprio credo grazie al suo direttore artistico (Renato Sarti).

Vista la tematica, quant’è difficile fare in Italia un teatro politico ma soprattutto politica a teatro?

È così da sempre.

Quando ho lavorato con Dario Fo ho imparato che non bisogna mai perdere la voglia di vedere circuiti teatrali dove gli altri non riescono a immaginarli. Ci sono luoghi teatrali in Italia che limitandosi a fare “spettacolo” nell’accezione indolore del termine in realtà stanno facendo politica accarezzando il potere di turno. Nell’ultimo anno – quando dopo più di un decennio sono tornato in scena – mi sono ritrovato a recitare nelle sale mensa, nelle chiese, su palchi disabitati da decenni e nei teatri più prestigiosi e classici. In questo scenario il Teatro della Cooperativa è un unicum perché tiene insieme l’attività e l’attivismo teatrale con perseveranza.

Ho letto che ti definiscono “un autore civile” ma tu preferiresti fare un giro tra gli incivili per capire chi assegna il patentino. Lo hai capito/scoperto?

A me pare che il teatro sia “civile” per definizione.

Già l’impresa di raccogliere persone che dopo una giornata di lavoro anticipano o ritardano la cena, si coprono d’inverno, sfidano il maltempo, cercano parcheggio, organizzano gli orari e poi cedono una considerevole quota del loro poco tempo libero sia un’opera civile. Ancora di più in questo tempo in cui si ha la sensazione di poter usufruire di storie in tempi brevissimi e negli space di uno schermo. Trovo civili tutti i drammaturghi che ho studiato, fin dai secoli più lontani.

A teatro – a differenza di altri mezzi – l’inciviltà non fa share. Per fortuna!

Concludendo, chi vorresti vedere seduto in Prima Fila il 12 gennaio 2024 al Teatro della Cooperativa e cosa vorresti che si portasse a casa dopo la visione dello spettacolo Odio gli indifferenti?

Invecchiando ho maturato un’imbarazzante commozione per ogni singolo spettatore. Non mi spiego il privilegio di potere raccontare storie a persone che vengono ad ascoltarmi con fiducia. Forse avrei voluto almeno per un’altra volta vedere Michela Murgia sorridere per la tragicomicità del momento storico e per la nostra inesauribile voglia di sbeffeggiare il potere. Mi auguro che gli spettatori si portino a casa una cassetta degli attrezzi per affrontare la quotidianità. E domande, moltissime domande. Che barba gli spettacoli che hanno solo risposte.

Teatro della Cooperativa
dal 12 al 21 gennaio 2024
ODIO GLI INDIFFERENTI
Che Paese saremmo se si rispettasse la Costituzione
di Giulio Cavalli
con Giulio Cavalli e Luigi De Magistris
regia Giulio Cavalli e Renato Sarti

Buona serata a Teatro!

Teatro online intervista sullo spettacolo “Odio gli indifferenti”

Una giullarata politica. Dov’è inapplicata, se non tradita, la Costituzione italiana? Che Italia sarebbe quella in cui la politica tutta si ripromettesse di applicare la Costituzione? Come sarebbe un Paese fondato sulla rendita se domattina dovesse svegliarsi davvero fondato sul lavoro? Cosa accadrebbe se i cittadini dovessero rendersi conto che la sovranità appartiene al popolo e non vale fare di tutto per esserne chiamato a risponderne?

https://youtube.com/watch?v=OwfSTpBwZ

A tutte queste domande cerca di rispondere Odio gli indifferenti, in scena al Teatro della Cooperativa di Milano fino al 21 gennaio. Scritto da Giulio Cavalliche ne firma anche la regia con Renato Sarti, lo spettacolo vede protagonisti lo stesso Giulio Cavalli e l’ex sindaco di Napoli Luigi De Magistris.

A tu per tu con Giulio Cavalli e Luigi De Magistris

L’Italia e la Costituzione. Perché non viene rispettata e perché andrebbe invece rispettata in tutto e per tutto?

Giulio Cavalli: La risposta da giullare è che non la rispettano perché non sono capaci di farlo, se dovessi essere cattivo. Secondo me, perché la Costituzione nel corso degli anni è diventata un po’ come i copioni per noi che veniamo dalla Commedia dell’Arte, quindi è semplicemente un suggerimento, è un canovaccio di intenti. E’ diventata più un vessillo da proteggere piuttosto che da studiare. Infatti, quando mi è capitato per lavoro di rileggere alcuni articoli della Costituzione nella sua interezza, ho pensato veramente che sarebbe stato tragicomico immaginare in scena un Paese in cui diventi obbligatorio non tanto confidare nella Costituzione, ma rispettarla in tutto e per tutto. 

Qual è l’intento del vostro spettacolo rispetto alla Costituzione italiana?

Luigi De Magistris: Processare i traditori della Costituzione e anche smascherare i suoi pseudoapplicatori, perché c’è un orientamento del pensiero diffuso nel nostro Paese secondo il quale basta definirsi antifascisti per essere dei bravi difensori della Costituzione. Invece purtroppo la Costituzione è stata massacrata in questi anni perché non ci sono stati bravi custodi e attenti applicatori. La Costituzione ha invece dentro l’antidoto, che è quello della fratellanza, della solidarietà, della giustizia sociale, economica, ambientale, della libertà, dell’uguaglianza, del ripudiare la guerra. Non dico che è il libro della felicità e dei sogni, ma è il libro che ci hanno consegnato quelli che sono morti, che sono stati torturati e arrestati. Quindi noi vogliamo anche far capire agli spettatori il dovere di ognuno e di ognuna di provare ad attuare la Costituzione, non solo a difenderla.

A chi appartiene veramente la sovranità?

Giulio Cavalli: La sovranità appartiene a un circolo endogamico in ogni campo e in ogni mestiere in cui molto spesso per entrare bisogna dimostrare di essere ricattabili, così alla pari degli altri, in cui l’obiettivo principale è l’autopreservazione degli equilibri in essere rispetto a qualsiasi altra apertura. Quindi purtroppo credo all’oligarchia nei diversi campi.

Possiamo e dobbiamo davvero derubricare i protagonisti della politica italiana di oggi come avvelenatori della Costituzione?

Luigi De Magistris: In gran parte sì. Però si fa un grosso errore se si pensa che gli attentatori alla Costituzione siano solo quelli che lo fanno in modo più muscolare ed evidente. Anzi, quelli sono forse anche più facilmente attaccabili: pensiamo a Berlusconi e ad altri. Invece se vediamo la storia degli ultimi trent’anni, questo tradimento è venuto da una bella fetta della classe dirigente politica verticale del nostro Paese. Abbiamo avuto più esempi virtuosi nel basso della politica, più tra i sindaci, gli amministratori e i luoghi di prossimità. Più si sale e più c’è il tradimento.

Rivista Blam recensisce “I mangiafemmine”

Giulio Cavalli, giornalista e autore teatrale che dal 2007 vive sotto scorta per il suo impegno nella lotta contro le mafie, firma con I mangiafemmine (Fandango, 2023) la sua opera più paradossale e provocatoria, completando la trilogia di romanzi distopici ambientati nell’immaginario Paese di DF. Dopo i misteriosi ritrovamenti dei cadaveri di Carnaio (Fandango, 2018) e la diffusione incontrollata di focolai di empatia e sentimentalismi di Nuovissimo testamento(Fandango, 2021), in I mangiafemmine Cavalli racconta la decisione del governo di DF di legalizzare il femminicidio parificandolo a un’attività venatoria che ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio tra i generi.

I mangiafemmine di Giulio Cavalli: la trama del libro

Valerio Corti, candidato premier per la coalizione dei conservatori di destra, è ormai certo della vittoria alle imminenti elezioni politiche di DF e non si cura delle donne che ogni giorno sono ammazzate da mariti, compagni, amanti o ex fidanzati. Tutti i sondaggi sono a suo favore e la campagna elettorale procede senza intoppi, fino a quando non commette un grave errore di comunicazione nel commentare l’ennesimo femminicidio avvenuto nel Paese. Infatti, mentre le femministe manifestano nelle piazze per denunciare il massacro e l’opinione pubblica si domanda cosa farà il governo per risolvere il problema, Valerio Corti sostiene che le donne per bene non corrono alcun rischio e afferma che non intende occuparsi del problema, perché da secoli «agli uomini capita di ammazzare le donne e alle donne capita di ammazzare gli uomini». Per non compromettere la campagna elettorale e per sedare le polemiche, la coalizione impone a Corti di farsi da parte e candida come premier Marzia Rizzo che, in quanto donna, risulta meno attaccabile. Come da pronostico, i conservatori vincono le elezioni e presentano il decreto-legge n. 55 che stabilisce «misure straordinarie per la regolamentazione temporanea dell’attività venatoria speciale/straordinaria del femminicidio», legalizzando attraverso una serie di norme l’uccisione delle donne. Durante il voto in parlamento, i democratici non contestano la proposta e si limitano a chiedere maggiore chiarezza sulle regole che gli uomini dovranno seguire per rispettare la legge. L’unica a preoccuparsi delle effettive conseguenze di questo decreto è la giornalista di «Df Unita», Clementina Merlin, che crede che solo una rivoluzione culturale potrà salvare le donne dalla violenza degli uomini.

Una distopia iperrealistica che diventa specchio della nostra società

«Il problema non sono solo gli uomini che uccidono o che stuprano, il problema sono anche gli uomini che non uccidono e non stuprano ma hanno il terrore di avere prima o poi il bisogno di farlo. Nella loro testa è sempre la reazione sbagliata a una rabbia giusta. E se non delegittimiamo quella rabbia, la nostra salvezza dipenderà sempre dal buon cuore del nostro nemico».

I mangiafemmine è romanzo distopico e allo stesso tempo iperrealistico in cui il Paese immaginario di DF appare uno specchio della nostra società. Valerio Corti e Marzia Romano rappresentano l’ipocrisia di una classe politica che fonda i propri successi solo sulle apparenze e su strategie di comunicazione che curano gli slogan della campagna elettorale, le risposte confezionate per i giornalisti, il power dressing e il tono di voce basso per sembrare più carismatico. I racconti dei femminicidi che si susseguono nel romanzo riprendono dinamiche che ritroviamo anche nei fatti di cronaca reali, come la ricerca di una giustificazione al comportamento degli uomini e la colpevolizzazione delle vittime. Frida, «moglie ingrata, eternamente insoddisfatta», è uccisa dal marito Tullio, mangiafemmine allontanato dall’ufficio perché abusava delle stagiste. Sonia dopo anni di violenze subite dal marito Gianni decide di lasciarlo e lui, incapace di accettare la fine della loro storia, la ammazza prima di suicidarsi. La sedicenne Beatrice festeggia un anno di fidanzamento con Mario che, mosso dalla gelosia, le stringe le mani sul collo fino a farla smettere di respirare. Con il decreto Mangiafemmine le donne sono paragonate a un capo di selvaggina in sovrannumero di cui è necessario disfarsi, seguendo precise regole igieniche e comportamentali, come ricorda lo spot lanciato sulla televisione di Stato: «[…] la nuova legge voluta dal governo impone la tutela e il rispetto delle donne, in difesa dei diritti che per lo Stato di DF sono una priorità. Per questo […] l’abbattimento della femmina deve essere autorizzato dal comando provinciale del Corpo forestale di DF, dopo avere presentato la documentazione».

La scrittura di Giulio Cavalli in I mangiafemmine

Ispirandosi a Margaret Atwood, Roberto Bolaño e José Saramago, con uno stile crudo e diretto, Giulio Cavalli porta all’estremo quella narrazione distorta dei femminicidi ancora ampiamente diffusa nella mentalità comune. Il romanzo si caratterizza, inoltre, per un’accurata ricerca sul linguaggio che dimostra come il patriarcato sia ben evidente anche nella scelta delle parole. I conservatori, infatti, rifiutano di adottare il termine femminicidio per indicare quelli che per loro sono comuni uxoricidi, mentre Marzia Rizzo, premier del governo più patriarcaledella storia di DF, ribadisce ai giornalisti che il suo sarà un governo femminile e non femminista.

A cura di Francesca Cocchi

Sgarbi quotidiani

Ora c’è anche un sottosegretario alla cultura indagato per auto riciclaggio di beni culturali (art. 518-septies del codice penale). Vittorio Sgarbi è accusato dalla Procura di Macerata in merito alla vicenda di un quadro caravaggesco del Seicento attribuito al senese Rutilio Manetti, La cattura di San Pietro. Il dipinto fu trafugato nel 2013 dal Castello di Buriasco, nel Torinese e riapparve in una mostra a Lucca nel 2021, di proprietà di Sgarbi.

L’inchiesta è partita dalla trasmissione Report e dal Fatto quotidiano che fa sapere che Sgarbi rischia il rinvio a giudizio nell’indagine partita a Siracusa nel 2020 e trasferita dalla Procura di Imperia in merito alla vicenda riguardante l’esportazione, ritenuta illecita, di un quadro all’estero attribuito al Valentin De Boulogne, anche questo poi riprodotto come “clone” nel laboratorio di Correggio dove ieri sono stati i carabinieri per ascoltare i due titolari come persone informate sui fatti.

Le versioni del sottosegretario sulla provenienza del suo dipinto sono state diverse: prima ha detto di averlo trovato nel sottotetto della sua Villa Maidalchina acquistata nel 2000 dalla madre, poi ha cambiato versione parlando di una intercapendine e infine si è ricordato di un sottoscala. Del resto scegliere un critico e mercante d’arte come come sottosegretario alla Cultura, così come un’imprenditrice nel turismo come ministra al Turismo (Daniela Santanchè) nonché nominare ministro alla Difesa l’ex presidente della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza è inevitabilmente scivoloso. Lo capiscono tutti, tranne Giorgia Meloni. 

Buon mercoledì. 

Foto di Vittorio Sgarbi Di Pietro Luca Cassarino – https://www.flickr.com/photos/184568471@N07/50349038387/, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=94156391

L’articolo proviene da Left.it qui

fantascienza.com recensisce #IMangiafemmine

Anche fantascienza.com recensisce IMangiafemmine (grazie!)

Speriamo che rimanga fantascienza.

C’è un genere che sta affiorando nella narrativa italiana, un genere che potremmo definire “quasi distopia”. Spesso non ha origine da autori che appartengono al mondo del fantastico ma piuttosto a quello del sociale e della politica. Sono romanzi che immaginano sviluppi disastrosi da un contesto del tutto presente e reale. Quindi “quasi” non nel senso che lo scenario non sia distopico, ma nel senso che lo scostamento dalla realtà è in effetti piccolo. Sono difficili da classificare nel fantastico, ci rientrano appena appena, e dopo averli letti il lettore si augura con tutto il cuore che ci restino il più a lungo possibile.

Un esempio è la trilogia di Giulio Cavalli che dopo Carnaio e Nuovissimo testamento si completa ora con I mangiafemmine, un romanzo che affronta il tema di una destra di governo incapace di affrontare i problemi e del dilagare del femminicidio. 

Il libro

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti.

Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi.

Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro.

Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo?

Con I mangiafemmine Giulio Cavalli firma la sua opera più radicale e provocatoria, con lo stile riconoscibile di un narratore raffinato che non ha paura di raccontare un mondo che già c’è.

DF è ora più che mai lo specchio oscuro di una società in cui non vorremmo mai guardarci.

L’autore

Scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010), L’innocenza di Giulio (Chiarelettere 2012), Santamamma (Fandago 2017) e Carnaio (Fandango 2018). È stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia. Nel 2015 pubblica per Rizzoli Mio padre in una scatola da scarpe.

Giulio Cavalli, I mangiafemmine, Fandango, 204 pagg., euro 18, ebook 9,99.

https://www.fantascienza.com/29457/i-mangiafemmine-la-distopia-di-giulio-cavalli

La recensione di Leggere Distopico e Fantascienza Oggi sul mio romanzo #IMangiafemmine

«una storia cruda e mozzafiato per intensità e portata»

La recensione di Leggere Distopico e Fantascienza Oggi sul mio romanzo #IMangiafemmine

(grazie)

TRAMA DEI MANGIAFEMMINE

A un passo dalle elezioni, la placida vittoria di Valerio Corti – uomo forte dei Conservatori – è minata da una vera e propria epidemia di donne, di donne ammazzate a casa, dai mariti, dagli amanti, dagli ex fidanzati, donne fatte a pezzi da compagni devoti. Ma il candidato premier non intende occuparsene, perché le donne sono sempre morte, perché le donne per bene, normali, le madri di famiglia, le fidanzate discrete non corrono rischi. Oltre ogni strategia politica però pare che la strada della sua incoronazione a presidente del consiglio sia lastricata di sangue, con l’opinione pubblica che chiede conto e le poche voci delle attiviste che gridano al massacro. Ma c’è davvero un’epidemia di donne? C’è davvero un problema? E che cosa succede quando la politica, un’intera classe politica, uno Stato, il problema non sono in grado di risolverlo? Con I mangiafemmine Giulio Cavalli firma la sua opera più radicale e provocatoria, con lo stile riconoscibile di un narratore raffinato che non ha paura di raccontare un mondo che già c’è. DF è ora più che mai lo specchio oscuro di una società in cui non vorremmo mai guardarci.

RECENSIONE DEI MANGIAFEMMINE

I mangiafemmine, edito Fandango, è una distopia di stampo femen made in Italy che giunge al momento opportuno.
Le pagine di cronaca nera odierna pullulano di casi di femminicidi, e Giulio Cavalli immagina – ma è davvero così lontano dalla realtà? – che il governo decida di prendere un radicale provvedimento su questo fenomeno: emanare una nuova legge.
Bene, penserete, ma non è esattamente così.
Perché il disegno di legge anziché mettere un freno a quest’impennata di omicidi sempre più inarrestabile, decide di “legalizzarli”.

Continua ad accadere ciò che è sempre successo, non cambia niente, non è cambiato niente. Hanno semplicemente codificato l’orrore in una legge.

L’autore ci offre un punto di vista che è l’antitesi del politicamente corretto, da un lato l’aspirante leader che non riesce a dissimulare l’opinione misogina che ha delle donne e dall’altro fulminanti esempi di questa lunga scia di sangue si alternano alla sua scalata al potere.
Prendiamo un momento il dizionario Treccani, cito testualmente, alla voce “femminicidio” la definizione data è la seguente: 

(feminicidio), s. m. Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica o annientamento morale della donna e del suo ruolo sociale.

Un libro, questo, che mostra una realtà che ti colpisce con la veemenza di uno schiaffo in viso, all’apparenza lontana anni luce da noi ma che, invece, strizza l’occhio al quotidiano. “Il re è nudo” lo hanno visto da sempre tutti quanti, però nessuno proferisce parola.
Il tema, infatti, è tristemente molto attuale ma ritengo che testi del genere rappresentino un mezzo fondamentale ed efficace proprio per la loro impetuosità, in grado di farci aprire gli occhi su una spirale di violenza che non accenna a placarsi.
L’autore, con uno stile scevro da qualsivoglia orpello stilistico, espone una chiave di lettura differente, affronta di petto la tremenda società in cui le donne sono vittime di un sistema che tutela i loro assassini. Un romanzo impattante – nato dall’urgenza del momento che stiamo vivendo – che nella sua brevità lancia un messaggio, anzi un appello disperato e accorato: è ora di un vero cambiamento.
Viviamo in un tempo in cui le donne non possono e non devono continuare a venir decimate così; è necessario – fin dall’infanzia – educare uomini e donne alla parità e all’affettività ma soprattutto al rispetto, affinché ciò non accada più e che ogni vita strappata non sia vista semplicemente come una goccia in mezzo all’oceano. Non dobbiamo mai smettere di indignarci né di percepire l’assurdità di ciò che accade, non dobbiamo farci anestetizzare da un fenomeno che sembra quasi diventato storia di ordinaria amministrazione.
Giulio Cavalli ci propone un’attenta e originale interpretazione di questa piaga sociale, ha scritto una storia cruda e mozzafiato per intensità e portata.
È un libro forte e necessario che vi consiglio caldamente di recuperare. È una storia che si risolve in un centinaio di pagine, ma non è stato facile leggerla e tantomeno scriverne cercando di serbare la lucidità necessaria, evitando di diventare preda di una forte rabbia, senso di impotenza e frustrazione.

Elisa R

Il Cittadino sullo spettacolo “A casa loro”

Lunedì dopo 15 anni sono tornato a Lodi, al Teatro alle Vigne, con lo spettacolo “A casa loro” scritto con Nello Scavo. In scena con me Federico Rama alla chitarra e Ivan Merlini al pianoforte.

Ogni volta che incrociamo il calore del pubblico e ci immergiamo nell’umano sbigottimento di fronte alle testimonianze su ciò che accade in Libia e in Tunisia ci convinciamo ancora di più che anche il teatro può essere uno strumento di resistenza. Insistiamo: non si tratta di questioni politiche. Si tratta di questioni umanitarie, che vengono prima di ogni politica.

Questo non è un Paese con il cuore duro, come scrive qualcuno. Insistiamo attraversando il Paese. Qui l’articolo de Il Cittadino.