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Non basta commemorare. Ai clan va scassata la m…

Ieri a Roma in occasione della 29esima giornata dela memoria e dell’impegno per le vittime innocenti di mafia sono stati ricordati i nomi delle vittime della criminalità organizzata in Italia, alla presenza di una mare di persone che ogni anno decidono di stare accanto ai famigliari.

Perché abbiano giustizia le vittime di mafia e le loro famiglie bisogna spezzare la saldatura tra mafiosi, colletti bianchi e i loro protettori che stanno nelle istituzioni

L’80% di loro in questo Paese non ha avuto giustizia. Otto volte su dieci lo Stato non è riuscito a dare risposte al dolore e soprattutto alla sete di verità. Come accade ogni anno la politica ha sfornato una quantità industriale di comunicati stampa simili a pensierini scartati dentro un cioccolatino contribuendo a rappresentare le mafie come un fenomeno passato o comunque laterale. Non è un caso che degli importanti arresti che hanno coinvolto i clan baresi si parli solo per i risvolti politici, come se fossero una bega da lasciare a magistratura e forza dell’ordine.

Durante la 29esima giornata del ricordo e dell’impegno al fondatore di un partito che sta al governo sono stati trovate decine di milioni di euro regalati da un ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Quell’uomo, Marcello Dell’Utri (articolo a pagina 6), è indagato dalla Procura di Firenze per le bombe posate dalla mafia nel 1993. Quell’uomo tace, anche dopo la condanna a 7 anni per mafia, perché il suo silenzio è d’oro.

Perché abbiano giustizia le vittime di mafia e le loro famiglie bisogna spezzare la saldatura tra mafiosi, colletti bianchi e i loro protettori che stanno nelle istituzioni. Ieri il Presidente della Repubblica Mattarella ha ricordato che la lotta alle mafie è compito e dovere di tutti coloro che amano la Repubblica e intendono renderne migliore il futuro, istituzioni e cittadini. Scassare la minchia è l’azione necessaria, non solo commemorare.

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Perché la possibile cessione di Agi dice molto di quello che siamo

I colleghi dell’Agi, la seconda agenzia di stampa più importante in Italia, hanno proclamato due giorni di sciopero contro la possibile cessione della testata al gruppo del deputato leghista e ras delle cliniche nel Lazio Antonio Angelucci. L’Eni, proprietaria dell’agenzia, ha provato a calmare gli animi con un comunicato che nega le trattative. 

Anche se da fuori la vicenda sembra roba da giornalisti (e tra giornalisti) l’interlocuzione tra Agi e Angelucci è una questione politica e dice molto del Paese che siamo. Angelucci più che deputato è l’editore di un polo editoriale di destra che a oggi comprende Libero, Il Giornale e Il Tempo. Tra gli azionisti dell’Eni che potrebbe vendere Agi c’è il ministero della Finanze guidato da Giancarlo Giorgetti che è anche compagno di partito del potenziale acquirente Angelucci. Per le leggi vigenti potrebbe aprire un’istruttoria sull’operazione che interesserebbe un ramo strategico anche Palazzo Chigi dove ha lavorato fino a pochi mesi fa come portavoce della presidente del Consiglio Mario Sechi, ex direttore di Agi e oggi direttore di Libero. Era stato Sechi a spingere alla direzione dell’Agi Rita Lofano, che era sua vice, quando lui decise di diventare portavoce di Giorgia Meloni. Rita Lofano proprio oggi partecipa al lancio dell’associazione delle giornaliste di centrodestra fortemente voluta da Giovanna Iannello, storica addetta stampa proprio di Giorgia Meloni. 

Alessandra Costante, segretaria della Fnsi, ieri ha detto che l’informazione non dovrebbe “essere coinvolta in conflitti di interesse”. Pd e M5s hanno presentato due interrogazioni sul caso. È l’editoria italiana, bellezza. 

Buon giovedì. 

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Ucraina, oggi il Consiglio Ue sulle nuove forniture di armi a Kiev

Giorgia Meloni passa dalla Camera prima del Consiglio Ue e va in onda la scena del figliol prodigo. La scena è quasi commovente, il vice presidente del Consiglio Matteo Salvini passa tra i banchi del governo solo per abbracciare la presidente del Consiglio in favore di telecamera. I due sorridono. La foto per i giornali è servita. Come accade dai giorni dell’insediamento questo governo pensa di sciogliere le questioni politiche come certi influencer, con un video veloce da fare ingoiare ai propri sostenitori. Terminata l’esibizione Salvini leva le tende e se ne va a passo svelto.

Oggi il Consiglio Ue per aiutare a oltranza l’Ucraina fornendogli le armi. E portare il continente all’escalation con la Russia

Il punto politico rimane: un vice presidente del Consiglio Ue che non nasconde la propria vicinanza a Putin e che ha accesso alle informative riservate di un Paese Nato. A Bruxelles oggi a Meloni servirà molto di più di qualche moina in favore di telecamera per tranquillizzare i partner europei. “Mi si dice di parlare con Orban e con Salvini per chiarire il sostegno all’Ucraina”, dice la presidente del Consiglio intervenendo alla Camera, “in entrambi i casi contano le decisioni e i voti. Il governo italiano ha una posizione chiara in Ue. Quando io parlo con le persone con cui ho buoni rapporti porto a casa dei risultati”. È un personaggio già visto quello di Meloni che vuole fare credere di essere l’ago delle mediazioni sullo scacchiere internazionale.

La leader di Fratelli d’Italia non viene sfiorata dal dubbio che il suo indaffararsi per appianare sia figlio soprattutto delle sue amicizie sbagliate. Poi, come sempre, arriva il rovesciamento delle accuse: “Mi pare ci sia una questione maggiore nel famoso campo largo. Non parlo solo della posizione molto chiara e cristallina del M5S, ma anche dell’ambiguità di chi spiega a noi cosa dobbiamo fare e poi si astiene sull’invio delle armi all’Ucraina”, dice Meloni al dem Piero De Luca.

Conte a Meloni: “Gli italiani non vogliono la terza guerra mondiale dove lei ci sta portando”

Il leader del M5S Giuseppe Conte ha risposto per le rime, rimettendo al centro il tema della giornata ovvero la possibile decisione dell’Ue di prepararsi a una vera e propria economia di guerra per i prossimi anni. “Lei oggi – ha detto Conte a Meloni – si presenta senza soluzioni, non vuole inviare le truppe in Ucraina, non vuole trattare con Putin, non vuole partecipare a un tavolo di pace, ha messo l’Italia in un vicolo cieco. Negoziare le migliori condizioni per l’Ucraina è l’unico modo per evitare la terza guerra mondiale”. Per Conte “gli italiani non vogliono la terza guerra mondiale dove lei ci sta portando”. E poi: “Che cosa ne è della scommessa che ha fatto sulla vittoria militare contro la Russia Che cosa abbiamo prodotto con questa strategia Morti, distruzione, indebitamento degli italiani. E lei ha guadagnato un bel bacio sulla testa per la fedeltà che ha dimostrato nei confronti di Washington”.

La segretaria del Pd Elly Schlein ha voluto consigliare a Meloni “quando va in Egitto” di pretendere “da al Sisi gli indirizzi dei 4 assassini che hanno ucciso un ricercatore italiano, un ricercatore europeo, questo dovrebbe chiedere ad al Sisi”. Sull’Ucraina “abbiamo sempre mantenuto un atteggiamento coerente – ha detto Schlein – al di la delle sue fake news: abbiamo sempre sostenuto che sia doveroso sostenere il popolo ucraino“. E “sostenere l’Ucraina è giusto, ma siamo contrari a mandare militari europei sul campo. Serve uno sforzo in più per una pace giusta e duratura e questo sforzo finora non è stato sufficiente”, bisogna anche fare i conti con chi come “Viktor Orban che pone veti e lei lo sta per accogliere a braccia aperte nel suo gruppo in Europa. Braccia aperte a differenza di quelle di Ilaria Salis che sono in catene”.

Oggi a Bruxelles si riuniscono i capi di stato europei sull’onda delle parole del presidente del Consiglio europeo Charles Michel (“Se vogliamo la pace prepariamoci alla guerra. Serve spendere di più per la difesa e produrre più munizioni”) e quelle del presidente francese Emmanuel Macron (“Non escludo l’invio di truppe in Ucraina, rivendico le mie parole. La Russia non deve vincere”). Ieri il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba ha chiarito che ciò che serve ora sono soprattutto munizioni. La paura di un’escalation è condivisa anche dall’Italia. Meloni l’ha ripetuto in questi giorni: No all’idea della Francia, nessun dispiegamento di truppe sul suolo ucraino. Il sostegno a Kiev deve andare avanti, ma senza l’intervento diretto.

La Polonia ha deciso di destinare 27 milioni di euro per la costruzione di rifugi anti-bomba

Ma la vera paura è un possibile disimpegno degli Usa in caso di vittoria del repubblicano Donald Trump. Così l’era dell’elmetto contagia un po’ tutti in Europa. Tre giorni fa ministra dell’educazione tedesca Bettina Stark-Watzinger, esponente del liberale Fdp, ha affermato che gli studenti devono imparare come comportarsi nell’evenienza di un conflitto armato. La Polonia ha deciso di destinare 27 milioni di euro per la costruzione di rifugi anti-bomba e il governo nazionale sta studiando un piano per restaurare vecchi bunker e costruirne di nuovi in tutto il paese, e addestrare i cittadini al loro uso. Copenaghen annuncia l’estensione della durata della leva e l’introduzione per le donne dal 2026. “Ci riarmiamo non per fare la guerra ma per evitarla”, ha spiegato la premier socialista Mette Fredriksen. Questa è l’aria che tira.

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Lobbysti al ministero. Pichetto Fratin s’è persa l’agenda

La giornalista di lavialibera Natalie Sclippa ci fa sapere che è impossibile sapere chi sia andato a incontrare i ministri e i dirigenti del ministero all’Ambiente dal 2021 a oggi. Come scoperto da lavialibera, “non è stata operata alcuna raccolta dati o informazioni”: i decisori, ossia tutti coloro che dentro il dicastero hanno incontrato i portatori di interessi, non hanno tenuto traccia di chi abbia avanzato richieste, né di quante volte abbiano avuto interlocuzioni e di che tipo.

Alla richiesta di accesso civico della giornalista Sclippa Roberta Spada, a capo della segreteria del ministro, aveva risposto sottolineando la sospensione della pubblicazione e l’impossibilità di soddisfare la loro domanda perché “l’ostensione delle informazioni […] richiederebbe un’attività di elaborazione dei dati” compresi “l’oscuramento dei dati personali”.

Strana come risposta visto che la cancellazione dei dati personali è una prassi della pubblica amministrazione che non richiede nessun complicato lavoro ex post. E infatti lavialibera ha scoperto che quell’agenda semplicemente non esiste, come scrive nero su bianco il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza Pietro Cucumile: “Dal giorno dell’effettiva sospensione dell’allora disciplina – scrive Cucumile – i decisori e i portatori di interesse precedentemente tenuti all’obbligo non hanno più comunicato i dati e le informazioni che rappresentano la base per poter garantire la loro pubblicazione”.

Dobbiamo quindi accontentarci delle foto di rito sui social del ministro Gilberto Pichetto Fratin o dei comunicati stampa che escono dal dicastero. Stiamo a posto così.

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Vannacci tentenna e al raduno di sabato a Roma la Lega rischia il flop

Matteo Salvini sperava di salvare la settimana con l’ufficializzazione della candidatura del generale (sospeso) Roberto Vannacci in occasione del raduno del 23 marzo del gruppo europeo Identità e democrazia a Roma. C’è solo un piccolo ma insormontabile problema: il generale non ha ancora sciolto la riserva. Così potrebbe saltare l’annuncio in pompa magna che il segretario della Lega aveva immaginato per rivitalizzare la spenta riunione dei sovranisti europei è rimandato.

Salvini sperava di salvare la settimana con l’ufficializzazione della candidatura di Roberto Vannacci, ma il generale non ha ancora sciolto la riserva

“Se non addirittura cancellato – ci dice un parlamentare della Lega che preferisce rimanere anonimo in questi tempi di burrasca – perché il generale sa bene che qui da noi non lo vuole praticamente nessuno al di là di Matteo e la sua cerchia di fedelissimi”. Il partito in caduta libera e lo stallo con gli altri partiti della maggioranza, in primis Giorgia Meloni, non sono esattamente lo scenario che Vannacci immaginava per il suo battesimo dell’impegno politico. Nei prossimi giorni il segretario leghista proverà a convincere definitivamente il generalone ma l’esito è tutt’altro che scontato.

La Le Pen manderà a Roma il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella

Chi mancherà sicuramente al raduno organizzato dal vice presidente del Consiglio è Marine Le Pen che manderà come sostituto il presidente del Rassemblement National Jordan Bardella. Troppo poco per scaldare i cuori. “L’unica cosa certa è che ci saranno parecchi defezioni”, spiega il parlamentare leghista. Nella truppa parlamentare hanno confermato la propria partecipazione una sparuta decina di deputati sui 66 totali. Chiunque sembra avere un impegno improrogabile proprio il 23 marzo. C’è chi ha una riunione nel proprio collegio elettorale che “è programmata da tempo”, chi si duole ma deve per forza dedicarsi a un urgente impegno famigliare, chi ha problemi di salute. Come in una classe di studenti svogliati a Salvini è toccato il ruolo del preside severo che ad uno ad uno ha provato a richiamarli all’ordine.

L’effetto sortito è già che deludente se perfino l’organizzatore della kermesse, il senatore Claudio Durigon, ha fatto sapere di non poter proprio mancare a un appuntamento alla scuola politica della Lega. Non formidabile è anche la partecipazione (fisica e ideologica) dei presidenti di Regione. Dalla Lombardia Attilio Fontana fa sapere di avere “impegni istituzionali”, Luca Zaia e Massimiliano Fedriga hanno ben altro per la testa che mostrarsi al fianco del loro segretario nel momento del crollo e anche i cinque ministri dati per confermati nella nota ufficiale del partito alla fine potrebbero essere almeno quattro visto che il titolare del Mef Giancarlo Giorgetti è tra i più disturbati dalle spericolate uscite di Salvini sulle elezioni russe.

Salvini si mette al sicuro depositando il simbolo di un nuovo partito

L’appoggio a Vladimir Putin del resto è una linea rossa che attraversa tutti i partiti dell’eurogruppo. Nei giorni scorsi Tino Chrupalla, uno dei leader dei tedeschi di Afd, ci ha tenuto a dire che trova “insopportabile” l’accusa a Putin di avere ucciso l’oppositore Navalny. Chrupalla è tra i pochi confermati che sabato sarà sul palco al fianco di Salvini.
“Se verrà giù tutto – ci dice – il parlamentare leghista, Matteo ha pronta l’opzione di emergenza: un suo partito personale in cui portare suoi fedelissimi mentre lascia la Lega alla deriva”. Si discute molto di un simbolo già depositato da un notaio, scovato da Il Foglio. Dopo avere messo “Salvini” nel simbolo ora l’ex capitano decide di virare sull’antico feticcio della sicurezza. Ma alla fine quello che prova a mettersi sempre al sicuro è solo lui.

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Conflitto di interessi sul binario morto. Fratelli d’Italia… Viva blocca tutto

Per ora tutto quello che sono riusciti a fare è partorire un rinvio. La legge del Movimento 5 Stelle sul conflitto di interessi, dove è prevista anche la norma anti-Renzi ieri si è incagliata, di nuovo. Rinviata la prevista riunione della commissione Affari Costituzionali della Camera sulla proposta di legge sul conflitto di interessi del M5s che si sarebbe dovuta tenere dopo l’Aula. La commissione è stata rinviata a oggi e – secondo quanto si apprende – la maggioranza starebbe lavorando su un possibile emendamento del relatore per delegare il governo a legiferare in materia. Cadono nel vuoto per ora le parole del leghista Igor Iezzi che aveva assicurato di non voler “demolire la legge Conte” perché per la Lega non si tratta di “battaglie ecologiche” ma di “modifiche di buon senso”.

La proposta di legge M5S sul conflitto di interessi verso la delega al governo. Obiettivo: allungare i tempi e trascinarla nel dimenticatoio

Il cammino è stato complicato fin dall’inizio. Dopo essere arrivata in commissione Affari istituzionali la maggioranza aveva rinviato tutto ai primi di marzo per dare il tempo di depositare gli emendamenti. Italia Viva per mano di Maria Elena Boschi si era preoccupata di salvare Matteo Renzi, chiedendo che la legge non fosse retroattiva. In commissione sono stati presentati 17 emendamenti unitari firmati da tutti i partiti di maggioranza, 36 proposte di modifica di Italia viva, 15 di Azione, 11 di Alleanza Verdi e Sinistra, 2 della Lega e 1 del Partito democratico. Settimana scorsa però il capogruppo in Senato di Fratelli d’Italia aveva definito la legge “inemendabile”. La maggioranza ritiene inaccettabili gli articoli che riguardano le incompatibilità tra la carica di amministratori e ruoli nel mondo privato.

“Così più nessun imprenditore si avvicinerà alla politica”, ripetono da giorni. La settimana scorsa la maggioranza aveva chiesto di rinviare tutto a fine aprile trovando il muro dei 5S. Conte e i suoi avevano dato comunque ampia disponibilità a trattare per trovare un punto di incontro. Al presidente del M5S interessava che la legge non fosse semplicemente una bandierina ma potesse essere votata in Aula. Niente da fare. Giorgia Meloni è stata chiara: da qui alle elezioni europee qualsiasi possibilità di dialogo con pezzi dell’opposizione è fermamente esclusa. La presidente del Consiglio non vuole concedere vantaggi ai partiti della minoranza e una legge sul conflitto di interessi capace di superare la legge Frattini del 2004 potrebbe essere un trofeo troppo goloso per Conte.

Con la proposta di Conte circa cento parlamentari compreso Renzi sarebbero incompatibili

Pesano anche i 100 tra deputati e senatori, alcuni anche ministri, viceministri e sottosegretari, che hanno partecipazioni o ruoli in imprese e società: “Portatori di interesse” li ha definiti Trasparency Italia, alcuni dei quali in potenziale conflitto di interesse considerando che il nostro Paese non ha alcuna norma in materia. La strategia è chiara. Si delegherà il governo per legiferare in materia annacquando il tempo e lasciando svanire nel nulla la proposta, esattamente come accaduto con il salario minimo. Non sarà difficile per il governo fingere che ci sia sempre qualcosa di più urgente e importante trascinando la questione nel dimenticatoio.

Agli atti rimarranno le eclatanti promesse: quelle di Matteo Renzi che baldanzoso si diceva pronto a votarla sapendo che non sarebbe mai andata al voto; quelle della Lega che prometteva una sanzione ancora più pesante per fugare il dubbio di avere rapporti con la Russia; quelle di Forza Italia che fingeva di appoggiare la proposta a patto che non si trasformasse in una battaglia contro il berlusconismo post mortem. Dopo le promesse immancabile è arrivato lo stop. Il sospiro di sollievo è arrivato fin qui.

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Sabotata dagli ex renziani. Così è stata affossata l’intesa M5S-Pd in Piemonte

Ci sono storie dietro le storie ufficiali che meritano di essere raccontate. La Basilicata, ad esempio, nelle stanze della segreteria del Pd è tutta roba che attiene all’ex ministro Roberto Speranza. La segreteria del Partito democratico non perdona a Speranza di non averci messo la faccia sciogliendo immediatamente l’ingarbuglio provocato dalla candidatura non condivisa con il M5S di Chiorazzo, poi la candidatura lampo di Lacerenza e infine la convergenza su Marrese.

L’accordo tra il Pd e il M5S appare impossibile. Ma il vero nodo da sciogliere resta tutto interno ai dem

Per la segretaria l’ex ministro alla Salute è responsabile non solo del suo mancato coraggio che ha lasciato il fianco scoperto ai dem ma anche, e soprattutto, è colpevole di avere legittimato la protesta di dirigenti locali che hanno simbolicamente malmenato i due ambasciatori della segreteria scelti per costruire il cosiddetto campo largo con Giuseppe Conte, Igor Taruffi e Davide Baruffi, in tutte le regioni. La missione, manco a dirlo, è miseramente fallita. La prova regina più della Basilicata – ormai data per persa – è il Piemonte dove da mesi la coppia Taruffi-Baruffi (altresì detti “gli uffi” nelle chat interne del partito) ha tentato di risollevare i rapporti con il Movimento 5 stelle ai minimi termini, complice un pessimo rapporto tra l’ex sindaca M5S di Torino, Chiara Appendino, con i dirigenti dem piemontesi.

I sospetti sui riformisti di Bonaccini. Ma Elly insiste per trattare con Conte

Elly Schlein fin dal primo momento ha spinto per riuscire a coltivare il campo largo sotto l’ombrello di Chiara Gribaudo, deputata vice presidente del partito molto vicina alla segretaria, confidando nell’azione dei suoi due emissari. Anche in questo caso la missione è miseramente fallita. Taruffi e Baruffi incarnano infatti le due anime del Pd: da una parte un fedelissimo di Schlein della prima ora che proviene dalla sinistra parlamentare dall’altra un fedelissimo di Stefano Bonaccini che si porta sulle spalle il peso dell’opposizione interna di Base riformista, corrente minoritaria ma maggiormente furba del Pd.

I cosiddetti riformisti della mozione Bonaccini hanno il facile compito di logorare la segretaria simulando collaborazione e in un partito mangia-segretari con il Pd la missione è molto più facile di quello che potrebbe sembrare. Schlein aveva deciso di rinunciare alla candidatura di Gribaudo – e poi del consigliere regionale Daniele Valle – convinta che l’assessora Gianna Pentenero avrebbe permesso la convergenza con i 5S. Essere accusata di avere compiuto “una fuga in avanti” da Conte per Schlein è stata la prova che la trattativa si è svolta in maniera ben diversa da come le era stata raccontata. Dal Nazareno qualcuno spiega che il dubbio di un sabotaggio dolce dei bonacciniani (di cui Baruffi è espressione) sia molto più consistente di quel che pubblicamente si dice.

In Piemonte il Movimento 5 stelle intanto sta cominciando a lavorare a una sua candidatura

Il Movimento 5 stelle sta cominciando a lavorare a una sua candidatura, con il consigliere regionale uscente Ivano Martinetti e l’ex senatrice, già presidente della commissione Lavoro, Susy Matrisciano. Ma il pensiero di Schlein sta nelle parole di Igor Taruffi: “Finché non saranno depositate le liste c’è tempo. Diceva Boskov: rigore è quando arbitro fischia. Siamo al lavoro ovunque per costruire le condizioni più ampie possibili”. La partita per Schlein è tutt’altro che chiusa. La segretaria vuole provare a trattare direttamente con Conte per imbastire un’alleanza che appare quasi impossibile. A sinistra intanto Alleanza verdi e sinistra lamenta di avere appreso della candidatura di Pentenero dai giornali. Solo che alla fine, come spesso accade, la partita sembra prima di tutto interna al Partito democratico.

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Cosa succede a Bari?

A Bari il ministro Piantedosi ha deciso di avviare l’iter di scioglimento del Comune guidato dal sindaco dem Antonio Decaro per infiltrazioni mafiose. La mossa ha tempistiche elettoralmente perfette, cade esattamente nell’accelerazione per la campagna elettorale delle elezioni europee e colpisce uno tra i primi cittadini più noti tra i partiti dell’opposizione. 

Come nasce l’azione del Viminale? L’impulso è stato dato da un gruppo di parlamentari pugliesi di centrodestra, tra cui due vice ministri di governo, e fa riferimento alla recente operazione antimafia che ha portato all’arresto dell’avvocato Giacomo Olivieri e la moglie Maria Carmen Lorusso nonché il padre di quest’ultima, l’oncologo Vito Lorusso. 

Su alcuni furbeschi giornali di oggi leggerete che Maria Carmen Lorusso sta nella maggioranza di Decaro. Non è un’informazione sbagliata ma è incompleta. La consigliera comunale è stata eletta nel 2019 tra le liste che sostenevano il candidato sindaco del centrodestra, Di Rella, ed è poi transitata nel movimento Sud al centro, partito coordinato da Sandro Cataldo, marito di Anita Maurodinoia, assessora regionale ai Trasporti, che in comune sostiene Decaro. 

Secondo gli investigatori la consigliera comunale avrebbe sfruttato rapporti con il clan Parisi-Palermiti per farsi eleggere nel 2019.

Quindi, ricapitolando, un ministro di centrodestra su impulso di parlamentari del centrodestra ha decapitato un sindaco di centrosinistra per una consigliera comunale di centrodestra che avrebbe stretto patti con i boss. Non male. 

Buon mercoledì. 

 

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Democrazia minacciata. Libertà e diritti nel mirino. Nel 2023 peggiorate le condizioni in 52 Paesi

A proposito di democrazie, di elezioni e di libertà vale la pena segnalare che il rapporto Freedom in the World 2024 rileva che la libertà globale è diminuita per il 18° anno consecutivo nel 2023. L’ampiezza e la profondità del deterioramento sono state estese: i diritti politici e le libertà civili sono diminuiti in 52 paesi e sono migliorati solo in 21.

Il rapporto Freedom in the World 2024 rileva che la libertà globale è diminuita per il 18° anno consecutivo nel 2023

Della questione russa e del conflitto in Medio Oriente ne leggiamo tutti i giorni ma problemi diffusi in tempo di elezioni, tra cui la violenza e la manipolazione, hanno portato a un netto deterioramento dei diritti e delle libertà nel mondo. L’Ecuador è stato declassato dallo status di libero a parzialmente libero perché le sue elezioni sono state interrotte da organizzazioni criminali violente, che hanno ucciso diversi funzionari statali e candidati politici. In Cambogia, Guatemala, Polonia, Turchia e Zimbabwe, i governanti storici hanno cercato di controllare la concorrenza elettorale, di ostacolare i loro avversari politici o di impedire loro di prendere il potere dopo il giorno delle elezioni.

I colpi di stato hanno continuato a cancellare le istituzioni democratiche e a togliere il diritto delle persone di scegliere i loro leader. A luglio, il Niger è diventato il sesto paese della regione africana del Sahel, dopo Burkina Faso, Ciad, Guinea, Mali e Sudan, a subire un colpo di stato dal 2020. Le libertà hanno continuato a deteriorarsi anche in Burkina Faso, che ha subito due colpi di stato nel 2022. Nel rapporto si sottolinea anche che Regno Unito e Ue hanno firmato accordi con due autocrati il presidente tunisino Kaïs Saïed e il presidente ruandese Paul Kagame. Il tema della mancanza di democrazia è molto più vasto di quel che sembra.

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I 33 italiani morti in Ucraina di cui nessuno parla

C’è un dato sulla guerra in Ucraina che non merita una sola parola dal ministro alla Difesa Guido Crosetto e dai media nazionali: le forze russe hanno ucciso 5.962 “mercenari” stranieri sui 13.287 arrivati in Ucraina, inclusi 147 dei 356 francesi e 33 dei 90 italiani secondo i dati diffusi su Telegram da Mosca.

Trentatré italiani morti in Ucraina non sono considerati degni di una notizia o di un comunicato ufficiale di rammarico

Il bilancio aggiornato, ripreso dall’agenzia Tass riferisce che le Forze Armate della Federazione Russa hanno ucciso anche 1.497 polacchi su 2.960, il contingente più numeroso di combattenti stranieri. Seguono i georgiani con 561 caduti su 1.042, 491 statunitensi su 1.113 mercenari, 422 dei 1.005 combattenti canadesi e 360 degli 822 britannici. Dalla Romania sono arrivati in Ucraina 784 “mercenari” di cui 349 sono stati uccisi, dalla Croazia 335 arrivati e 152 uccisi, dalla Germania 88 caduti su 235, dalla Colombia 217 morti su 430 volontari mentre dal Brasile sono giunti 268 combattenti di cui 136 caduti.

Come scrive il sito Analisi difesa è “superfluo sottolineare che tali numeri non sono verificabili da fonti neutrali e quasi nessuna nazione occidentale ha fornito informazioni circa i propri “volontari” recatisi a combattere in Ucraina (ne hanno riferito sporadicamente fonti in Polonia e Repubblica Ceca) così come nessun dato ufficiale è mai emerso in Occidente circa i caduti tra le file dei volontari”. Nessuna fonte ufficiale del governo italiano ha mai commentato le indiscrezioni giornalistiche e le rare interviste ad alcuni volontari sul campo.

Il conto dei caduti europei a Kiev è di quasi 6mila mercenari su oltre 13mila

Numerosi sono anche i mercenari arruolati nelle file dell’esercito russo, anche se non risultano disponibili dati precisi e complessivi. Ci sono riscontri sull’arruolamento di volontari siriani, cubani, di diverse repubbliche ex sovietiche, africani (qualcuno catturato dagli ucraini) e asiatici. Tra questi anche molti nepalesi. l Nepal vieta ai propri cittadini l’arruolamento in forze armate straniere, salvo quelle britanniche e indiane con cui ci sono accordi in tal senso, ma in migliaia hanno raggiunto la Russia per arruolarsi nonostante le pressioni del governo nepalese su Mosca per evitarlo.

Tra le notizie ufficiali nelle ultime settimane si trova solo un lancio dell’agenzia di stampa Reuters che parla di “combattenti stranieri” reclutati nell’esercito ucraino uccisi da un attacco russo a Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina in cui sono state uccise sessanta persone per lo più mercenari francesi. Anche in quel caso l’agenzia non ha avuto modo di verificare la notizia. I mercenari non esistono nei comunicati stampa e nelle preoccupazioni dei governi.

Di fatto molti Stati europei sono già coinvolti direttamente nella guerra contro la Russia

Trentatré italiani caduti in Ucraina non sono considerati degni di una notizia o di un comunicato ufficiale di rammarico. Mentre si parla della possibilità di inviare soldati Nato in sostegno di Kiev non hanno fatto notizia nemmeno le parole del ministro degli Esteri polacco Radosław Tomasz Sikorski che in un’intervista a Sky News ha testualmente detto: “In Ucraina sono già presenti militari della Nato. Vorrei ringraziare gli ambasciatori di quei Paesi che hanno corso questo rischio. Questi Paesi sanno chi sono, ma non posso rivelarli. Contrariamente ad altri politici, non li elencherò”.

È passato sotto traccia anche l’audio intercettato in Germania in cui citano la presenza di soldati britannici, statunitensi e francesi in Ucraina – ufficialmente negata da Londra, Washington e Parigi – per supportare le forze di Kiev nell’utilizzo dei sistemi d’arma occidentali.

 

Leggi anche: Meloni chiude alle trattative con Putin: “Non ha mai rispettato gli accordi”. E si allinea alla deriva bellicistica di Usa e Ue. “Navalny non sarà dimenticato”

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