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La bella stoccata della Di Francisca

Chissà se Elisa Di Francisca aveva immaginato che bastasse così poco per toccare il nervo scoperto dei nazionalisti paratrumpisti e banalizzatori. Chissà se Elisa ha davvero ha creduto che bastasse una medaglia per avere il diritto di esprimere un’opinione che non fosse quella conforme.

“L’italiana #DiFrancisca va sul podio non con la bandiera Tricolore ma con quella dell’Europa(che respinge i migranti in Italia)Povera Idiota” scrive su twitter Matteo67, “#DiFrancisca pensa a fare sport e non politica che e’ meglio….” rincara Oriana34177611, “#difrancisca se vincevi l’#oro non suonavano l’#InnoAllaGioia! La mia #bandiera è solo il tricolore!” strepita indignato Diego M e Roberto Fiore, leader di Forza Nuova ci aggiunge il carico da novanta scrivendo “La #DiFrancisca ha ingenuamente sventolato la bandiera sbagliata per difendere l’#Europa. L’#UE è complice del #Caos attuale”. Anche tra i leghisti e alcuni del Movimento 5 Stelle monta il malcontento.

Di Francisca ha sbagliato, secondo loro, mostrandosi alla premiazione olimpica (un argento meritatissimo nel fioretto) con la bandiera europea. «L’Europa esiste ed è unita contro il terrorismo. Ho portato la bandiera europea sul podio per le vittime di Parigi e Bruxelles. L’Isis? Il terrorismo non deve vincere – ha dichiarato Elisa Di Francisca – dobbiamo essere uniti e non dobbiamo darla vinta al terrore. Non diamola vinta a chi vuole farci chiudere dentro casa.»

Apriti cielo: che una cittadina europea (ebbene sì, spiace per gli obiettori del presente) che decide di lanciare un messaggio di pace e unità è troppo per questa estate politica italiana che ha bisogno di una preda al giorno da sbranare. Un’atleta non si deve permettere, secondo alcuni leader politici, di esprimere opinioni. Che vergogna Di Francisca che non si limita a farsi fotografare sorridente con la medaglia in mano ma decide addirittura di parlare; che scandalo la politica usata per unire proprio nel tempo in cui va così di moda lo scontro contro tutto e contro tutti.

(continua qui)

#Left cosa ci abbiamo messo dentro. Servi e ribelli.

Un numero d’agosto che propone storie di ribellione. Perché in fondo è il nostro lavoro raccogliere e raccontare un altro modo di stare.

Io ho scelto di raccontare la storia di Khaled, partigiano della bellezza:

«Khaled al-Asaad è l’archeologo che prese il lembo del passato per scrollare Palmira nel futuro.
Non c’è niente da fare: i migliori testimoni del proprio tempo sono coloro che se ne innamorano perdutamente. Dei tempi e dei luoghi. Ma l’Isis odia la bellezza. I teroristi odiano l’arte perché è la testimonianza più viva della sintesi di una comunità e della sua storia. Ora Palmira è liberata. Ditemi se non è un partigiano, questo Khaled.»

Il sommario del numero è qui.

Left lo trovate in edicola o nel nostro sfogliatore online qui.

Questo numero, intanto, ha un cambio di direzione: ci lascia Corradino Mineo (che continuerà a scrivere) e codirigono (si dice così? bah) Ilaria Bonaccorsi e Raffaele Lupoli.

Al solito voglio sapere i vostri commenti, critiche e suggerimenti.

Giulio Regeni è la stella cadente

San Lorenzo. Notte di stelle cadenti da cogliere al volo per bisbigliare un desiderio. Stelle cadenti. Per tutto l’anno sono i miti abbattuti e solo per una notte all’anno diventano occasioni da pescare: basta poco per trasformare il declino in poesia. Basta crederci.

La stella cadente di quest’anno ha la faccia appuntita di Giulio Regeni, ha la forza misurata dei suoi genitori capaci di essere disperati con un equilibrio saggio, capaci di volere la verità senza cedere all’odio. Io no, io davvero devo ammettere che il silenzio su Regeni mi fa impazzire, strappare le unghie, mi fa venire voglia di morsicare i cervelli di quelli che dovrebbero muoversi, mi spreme il cuore in un dolore liquido e lento.

La mia stella cadente, il mio desiderio è che finisca la farsa intorno a Giulio. Che si rimettano almeno, per amore della verità (o per l’amor di dio per quelli per cui conta), in ordine i fatti, i pesi, le misure e i personaggi. Che si smetta di soffiare nell’iperbole di Regeni come spia pur di non sentirsi colpevoli, che si dica una volta per tutte che ci fa schifo l’Egitto se l’Egitto è quel Paese in cui si muore con una motivazione falsa, poi subito dopo con cento cause diverse e poi alla fine in nessun modo credibile.

Vorrei che i membri del governo tutti pancia a terra per la riforma della Costituzione avessero la stessa frenesia per vederci chiaro. Vorrei che i telegiornali considerassero la mancata verità ogni giorno una notizia degna d’esser data.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Chi è Giovanni Aiello “faccia da mostro”

L’ultima notizia è esplosa ieri dopo la dichiarazione del “Nano”, il pentito Nino Lo Giudice, storico boss del clan di Reggio Calabria: «E’ stato il poliziotto Giovanni Aiello – ha dichiarato Lo Giudice ai magistrati di Reggio Calabria, come scritto ieri da Il Fatto Quotidiano – a far saltare in aria Paolo Borsellino e i 5 agenti di scorta. Fu lui a schiacciare il pulsante in via D’Amelio. Me lo confidò Pietro Scotto quando eravamo in carcere all’Asinara. E anni dopo me lo confermò Aiello in persona… Ma quando ho raccontato tutto sono stato minacciato dai servizi». Giovanni Aiello (per lo più conosciuto come “faccia da mostro” per una vistosa ferita che ne deforma il volto) è il nome che compare sullo sfondo in molti degli omicidi eccellenti di Cosa Nostra: «Mi è rimasta impressa la sua freddezza, – ha dichiarato Lo Giudice -sembrava non avere emozioni. Lo temo perché fa parte di un mondo che non conosco, non so chi ci può essere dietro di lui. Magari mi ammazzano in carcere».

A febbraio di quest’anno aveva fatto molto rumore l’incontro di “faccia da mostro” con Vincenzo Agostino, il padre del poliziotto Nino Agostino ucciso a Palermo da Cosa Nostra il 5 agosto 1989 insieme alla moglie Ida, che durante un riconoscimento all’americana (insieme a Aiello, dietro al vetro, stavano altri due uomini camuffati) urlò indicandolo: «È lui! – urlò Vincenzo Agostino – faccia da mostro è lui!». Raccontò quel giorno Vincenzo Agostino, dopo il confronto nell’aula bunker dell’Ucciardone (che gli procurò anche un malore per l’emozione): «Ho riconosciuto Faccia da mostro anche se era ben truccato: erano in tre per il confronto ma l’ho riconosciuto subito. Come ho detto in tutti questi anni quella faccia è indimenticabile. È l’uomo che tra l’8 e il 10 luglio del 1989 venne a cercare mio figlio a casa mia, disse di essere un suo collega».

Giovanni Pantalone Aiello è nato a Montaura, in provincia di Catanzaro, il 3 febbraio del 1946 e si è arruolato in Polizia il 28 dicembre del 1964; congedato il 12 maggio del 1977 risultò residente in caserma (la Lungaro di Palermo) fino al 1981, è separato e ha una figlia che insegna in una Università della California. Oggi ufficialmente risulta essere un pescatore, con un reddito dichiarato di 22 mila euro all’anno anche se in una perquisizione gli hanno sequestrato qualcosa come un 700.000 mila euro investiti in diversi titoli. Della ferita sul volto Aiello racconta di essersela procurata durante uno scontro a fuoco in Sardegna per un’operazione di liberazione di un ostaggio; il suo foglio matricolare in realtà è un po’ meno epico e racconta di “un colpo partito accidentalmente dal suo fucile il 25 luglio 1967 a Nuoro”.

(continua qui)

Renzi, Boschi e le cretinate sul referendum

Maria Elena Boschi, sempre peggio. Ieri ha dichiarato che chi voterà no al prossimo referendum sulla riforma della costituzione (che porta il suo stesso nome) “non ha rispetto per il Parlamento”. Si sono rizzate le orecchie di (quasi) tutti, “ma davvero ha potuto fare un’affermazione del genere?“ si sono chiesti i presenti e lei ha puntualizzato: si riferiva, ha spiegato, al lavoro fatto in Parlamento per approvare questa riforma e al lavoro che si dovrebbe fare di nuovo nel caso in cui passasse il no al referendum. In pratica il disaccordo è un ostacolo alla democrazia secondo la ministra e il Parlamento è la salvietta umidificata della banda di paninari che governa questo bistrattato Paese.

Lui, Matteo, è andato alla Festa dell’Unità, che se ci pensate quest’anno suona ancora più grottesca del solito la parola “unità” applicata a un partito che è composto dalla banda di servetti e poi un rivolo di mille bande blande. Poi Renzi, al solito coerente solo con l’amore per se stesso, ha dichiarato di avere sbagliato a personalizzare troppo il referendum fingendo di dimenticare di essere incapace di interpretare in qualsiasi altro modo la politica. E cosa si è inventato il fantasioso Matteo per spersonalizzare? L’ha affiliato a una altro. Giuro. Il mandante di questa pessima riforma (non l’ha detto così ma il sottotesto è questo) sarebbe Giorgio Napolitano. Napolitano, il Presidente: quello che avrebbe dovuto essere una garanzia e invece è stato uno sfacelo. Il comunista più destrorso del west. Prima di avere la sventura dell’arrivo di Renzi, ovviamente.

Quindi la geniale operazione simpatia del PD prevede di affibbiare la riforma Boschi non più a Renzi ma direttamente a Napolitano. Senza personalizzare, eh. Solo un po’ di cognomizzazione, al massimo.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Il suicidio di Manu e quello che ci succede intorno

Dovrei scrivere un editoriale su ciò che succede. Avrei dovuto. Leggere la rassegna stampa, immaginare il tema prominente, studiare per costruirmi un’idea e poi prendere la penna che, tra l’altro, ha così poca poesia appiattita sulla tastiera di un computer. Poi avrei dovuto formare una visione cominciando da una storia minima per arrampicarmi su uno sguardo totale. Ecco. Il mio buongiorno, anche oggi, avrebbe dovuto essere così.

Invece è successo che un’amica, presenza di pomeriggi passati a casa mia, lei e la mia compagna nei pomeriggi passati a leggere insieme e poi noi a discutere del più o del meno (che è scienza popolare ma difficilissima e spesso esatta); insomma un’amica ha deciso di togliersi la vita. Suicidio. Che è una parola, il suicidio, che si tende a evitare come tumore, incidente, malattia o colpa. Una di quelle parole che attorciglia lo stomaco, chissà perché, qui da noi dove siamo abituati ala pornografia in tutti i settori.

Comunque è successo che una persona che incrociavo per casa, ultimamente sempre più silenziosa e persa, poi d’improvviso abbia smesso di essere. Così, di colpo. Si suicidano sempre quando molli la presa, le persone che conosci; come se giocassero ad allentare la corda tutto intorno per poi stringersela al collo. Ogni suicidio è un buco in un lago, un muro di traverso in un rettilineo di autostrada.

Mi domando, stamattina, se ci sia una modo di incastrare una cosa così in un lavoro, il mio, che consiste principalmente nel riordinare quello che mi succede intorno. E perdo, di fronte al suicidio di Manu. Non c’è senso, motivo, scrittura, filo rosso. Niente.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

A proposito di Diego Turra

Tanto per riportare i fatti. Queste le parole della moglie:

Non passava giorno che Diego non raccontasse delle sue «missioni» (come le chiama sua moglie) sul fronte dell’immigrazione. Del suo dispiacere quando capiva che gli immigrati avevano paura della polizia, del fatto che qualche volta ci volevano due-tre poliziotti per fermarne uno facinoroso. «Lui li avrebbe aiutati tutti, stava sempre dalla parte dei deboli, non ha mai abusato della sua divisa» racconta Danila che di cognome fa Jipijapa, che qui in Liguria ha appena finito un corso di operatrice socio-sanitaria e che è nata e cresciuta in Ecuador, dove ha avuto un marito e sei figli prima di trasferirsi in Europa e conoscere Diego. «Ci siamo incontrati a un compleanno nel periodo in cui io vivevo in Spagna. Poi, nove anni fa ci siamo sposati e lui è diventato il padre adorabile dei miei figli, un uomo dolce, unico, pacifico. Non credo che nessuno lo abbia mai visto arrabbiato». (fonte)

Poi magari un giorno, con equilibrio, si parlerà anche delle condizioni esasperate (e esasperanti) in cui lavorano le forze dell’ordine. E non c’è governo di destra o di sinistra che intervenga.

Povera Rai

Francesca Fornario conduce un programma su Radio Due, oltre a tutto il resto. Ed è un’amica.

Scrive sul suo profilo fb:

“Ricapitolando: niente battute su Matteo Renzi, niente politica, niente satira, niente personaggi, niente imitazioni, niente copioni, niente “scenette” qualunque cosa siano, niente comicità e che altro… ah, niente battute sul fatto che non si può dire “comunista”. Quel che resta – il mio imbarazzo e bene che ci vogliamo io e Federica Cifola – va in onda ogni sabato e domenica in diretta su radio2, dalle 18 alle 19.30″.

Si apre un discussione in rete in cui in interviene anche un fido renziano come Tommaso Ederoclite che domanda:

Avevo già letto Pasquale, se fosse così è gravissimo, ma nello stesso tempo mi pongo una domanda, come mai Francesca nonostante certe “censure” ha continuato a lavorarci lo stesso?

E Francesca risponde:

Perché questo è il mio lavoro, vivo di questo facendolo con il massimo scrupolo, vivrò di questo fino a quando mi consentiranno di farlo dandogli comunque un senso di servizio – servizio pubblico! – e restando libera di spiegare perché prima il programma era fatto in un modo e ora in un altro. Quindi, cerco comunque di fare meglio che posso il programma – un nuovo programma, a questo punto, completamente diverso dalla prima stagione di due anni fa, che aveva avuto molto successo – seguendo le nuova linea editoriale, parlando agli ascoltatori di cose che penso possano sollevare la condizione di ciascuno tipo – come ho fatto ieri – raccomandando libri per bambini che cambiano di poco in meglio la vita. Ad esempio, “La guerra del burro”. Resto convinta che il servizio pubblico lo facessi meglio facendo quello che so fare meglio, e non serve, immagino – spero! – spiegare perché la satira SERVA, vero? Che preferisco farlo spiegare a Groucho Marx: Groucho Marx diceva che la prima cosa a sparire in un paese quando si trasforma in uno stato totalitario sono i comici e la commedia: «Poiché ridono di noi, non si accorgono di quanto siamo importanti davvero per la loro salute mentale». Ovvio che se invece di dirmi cosa non posso più fare mi dicessero anche cosa devo fare, e se fosse qualcosa inconciliabile con i miei principi tipo fare propaganda a favore del sì al referendum o peggio ancora elogiare i dischi di Nek, saluterei senza pensarci un secondo, essendo io una privilegiata che pensa di poter fare tanti altri lavori al posto di questo. Buona giornata!

Povera Rai. Poveri noi.