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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Fiorella Mannoia: «Voto NO perché non mi bevo il fatto che si snellisce la votazione di una legge, quando le hanno votate in tre giorni quando gli ha fatto comodo.»

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(di Fiorella Mannoia)

Io voto NO perché non sono all’altezza di capire 47 punti della costituzione che vengono cambiati e non ho capito come.

Voto NO perché non mi bevo il fatto che si snellisce la votazione di una legge, quando le hanno votate in tre giorni quando gli ha fatto comodo.

Voto NO perché non mi convince questo nuovo senato composto da sindaci e consiglieri comunali, visto che la metà dei comuni italiani sono in odore di corruzione e non mi va che a queste persone sia data l’immunità parlamentare.

Voto NO perché i senatori non saranno più votati da noi.

Voto NO perché non si capisce nel caso di disaccordo tra camera e senato chi ha la parola finale, chi decide.

Voto NO perché penso che sia un risparmio relativo, e che potremmo risparmiare molto di più se ritirassimo le truppe dall’Afghanistan visto che siamo lì da vent’anni e ci costa due milioni e seicento euro al giorno, circa 900 milioni all’anno.

Voto NO perché per contribuire al bilancio potremmo fare una vera legge anti corruzione. Voto NO perché potremmo cercare chi non paga le tasse e porta i capitali all’estero.

Voto NO perché non capisco che cosa ci sia dietro a tutto questo interesse per questo referendum tanto da scomodare banchieri e addirittura il presidente degli Stati Uniti d’America e non mi fido.

Voto NO perché un referendum avrebbe avuto senso se ci avessero semplicemente chiesto: volete ridurre il numero dei Senatori? Allora sarebbe stato semplice rispondere SI senza scrivere una pappardella incomprensibile perfino a costituzionalisti piú preparati.

Voto NO perché il mio voto sarà l’eredità che lascio alle generazioni future e sono troppo ignorante per assumermi la responsabilità di cambiare la nostra Costituzione con queste premesse.

IO VOTO NO

‘Ndrangheta in salsa brianzola: arrestato “l’invisibile” Paolo De Luca

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Alla fine è diventato visibile: i carabinieri di Monza hanno arrestato Paolo De Luca, 46 anni, detto ‘il boss invisibile’, uomo della ‘ndrangheta in Brianza legato alla cosca degli Stagno. De Luca, residente a Seregno, è stato arrestato con le accuse di associazione mafiosa, detenzione di armi, detenzione di stupefacenti e calunnia aggravata, insieme a Alessandro Colacitti, un pregiudicato di 34 anni, e alla madre di quest’ultimo, una settantenne originaria di Catanzaro, entrambi residenti a Seregno.

I carabinieri hanno agito in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal tribunale di Milano, su richiesta del pm della Dda Paolo Storari. De Luca amava definirsi ‘il boss invisibile’ perché, sebbene sfiorato da almeno tre indagini per mafia, era riuscito a uscirne sempre pulito. La prima volta era stato durante le indagini di ‘Infinito’, quando alcuni collaboratori di giustizia avevano fatto il suo nome agli inquirenti. Inoltre, aveva precedenti per detenzione di stupefacenti: l’anno scorso nel suo furgone sono stati ritrovati 15 chili di marijuana.

Le indagini dei carabinieri erano partite nel marzo scorso, a seguito di un sequestro di armi effettuato a casa della donna. In quell’occasione, erano stati sequestrati tre fucili da guerra, una mitraglietta dotata di silenziatore e due pistole automatiche, di cui una Beretta con matricola abrasa. In un primo momento madre e figlio si erano intestati la paternità delle armi, poi hanno ritrattato, accusando una persona del posto estranea ai fatti. I due erano stati denunciati per calunnia, con l’aggravante di aver mentito per difendere De Luca.

Gli inquirenti hanno accertato i suoi legami con il clan Stagno di Monza, cui si era affiliato nel 2005 facendo da padrino a Nazzareno, figlio di Antonio Stagno. Inoltre aveva contatti con la potente famiglia Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia), e con i Gallace di Guardavalle (Catanzaro). De Luca era diventato l’uomo di fiducia dei vibonesi, cui aveva riferito di violazioni del codice mafioso da parte del clan Cristello, rivale agli Stagno. Da quel momento aveva smesso di lavorare, e dal 2008 il suo compito era di curare la security di alcuni locali notturni della zona, controllando i traffici di droga nella zona e garantendo ai mafiosi il controllo del territorio. Secondo gli investigatori, De Luca si preoccupava anche di far arrivare in Calabria le “ambasciate” quando qualcuna delle famiglie rivali tentava di prendere il sopravvento.

(fonte)

‘Ndrangheta, clan Condello Imerti, operazione “Sansone 2”: fatti e nomi

arrestati-operazione-sansone-2Alle prime luci dell’alba di sabato 19 novembre, nella Provincia di Reggio Calabria, il personale del ROS e del locale Comando Provinciale Carabinieri con l’ausilio del personale dello Squadrone Eliportato Cacciatori “Calabria” e dell’8° Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo Valentia ha dato esecuzione ad una Ordinanza di custodia cautelare emessa, su richiesta di questa Procura Distrettuale Antimafia, dal Tribunale di Reggio Calabria, a carico di 16 soggetti indagati, a vario titolo, dei delitti di partecipazione all’associazione mafiosa unitaria denominata ‘ndranghetaestorsione, detenzione illegale di munizioni ed armi comuni da sparo e da guerra rese clandestine, procurata inosservanza di pena e favoreggiamento personale,minaccia e danneggiamento seguito da incendio e concorso esterno, tutti aggravati dalla finalità di agevolare l’attività della predetta associazione mafiosa. Contestualmente è stata sottoposta a sequestro la clinica Nova Salus di Villa S. Giovanni di cui si sono accertate le ingerenze delle cosche di ‘Ndrangheta nella gestione e conduzione.

I SOGGETTI COINVOLTI

FORTUGNO Sebastiano, nato a Reggio Calabria (RC) il 16/10/1963 (custodia cautelare in carcere)
LAGANA’ Fortunato, nato a Campo Calabro (RC) l’ 11/03/1958 (custodia cautelare in carcere)
RINITI Antonino, nato a Fiumara (RC) il 30/06/1962 (custodia cautelare in carcere)
ARANITI Carmelo, nato aReggio Calabria (RC) l’ 01/05/1957 (custodia cautelare in carcere)
BUDA Santo, nato a Villa S. Giovanni (RC) il 02/09/1944 (arresti domiciliari)
SCOPELLITI Francesco, nato a Reggio Calabria (RC) l’ 08/07/1988 (arresti domiciliari)
M. S. nato a Reggio Calabria (RC) il 06/10/1980 (obbligo di dimora)
B. M. nato a Reggio Calabria (RC) il 17/02/1982 (obbligo di dimora)
G. F. nato a Reggio Calabria (RC) il 12/08/1978 (obbligo di dimora)
10 P. A. nato a Reggio Calabria (RC) il 15/11/1991 (obbligo di dimora)

Sottoposta a “sequestro”  la Clinica NOVA SALUS, situata in Cannitello di Villa San Giovanni (RC) alla via Fontana Vecchia civ. 14. Con delibera n.797 del 04.12.2009, la Regione Calabria la accreditava in via definitiva per n. 50 (cinquanta) posti letto a ciclo continuativo e per n. 36 prestazioni in regime ambulatoriale pro die. Dall’anno 2001, è gestita dalla cooperativa sociale “ANPHORA”, con sede legale in Reggio Calabria alla via Nazionale Pentimele civ. 157.

L’INDAGINE SANSONE 2 – L’odierno provvedimento cautelare – che costituisce la seconda fase dell’operazione Sansone avviata il 15 Novembre scorso con l’esecuzione di 26 fermi di indiziato di delitto – scaturisce da specifica istanza dell’Ufficio di Procura che, nel richiedere la convalida del citato provvedimento precautelare, sollecitava l’applicazione di misure restrittive a carico di ulteriori soggetti, tutti ritenuti appartenenti/contigui alle cosche CONDELLOZITO/BERTUCA ed IMERTI/BUDA, operanti in Reggio Calabria, zone limitrofe ed altre parti del territorio nazionale. Il Tribunale di Reggio Calabria – Sezione GIP quindi, nel convalidare i provvedimenti di urgenza adottati da questo Ufficio e confermando la permanenza in carcere della gran parte dei soggetti arrestati, adottava ulteriore e contestuale provvedimento restrittivo che andava a colpire quegli indagati per i quali non ricorrevano i requisiti per l’adozione di un provvedimento di fermo.

La misura cautelare, così come il Provvedimento di fermo del 15.11 u.s., costituisceesito di un articolatoimpegno investigativo coordinato da questa Procura e condotto,in contemporanea:

  • dal ROS incaricato sia delle ricerche di CONDELLO Domenico ’56 detto U Pacciu,inserito nell’elenco dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del Programma Speciale di ricerca del Ministero dell’Interno, che delle attività di contrasto all’assetto associativo della coscaCONDELLO;
  • dal Comando Provinciale Carabinieri Reggio Calabria interessato alle dinamiche criminali dellecoscheZITO – BERTUCAeBUDA – IMERTI, operanti nell’area di Villa San Giovanni (RC), Fiumara (RC) e dintorni, nonché dei GARONFALO operativi in Campo Calabro (RC).

Le predette investigazioni sono state condotte su contesti investigativi differenti ma complementari ed, attesi gli evidenti profili di interconnessione, in sinergia dai due Reparti dell’Arma dei Carabinieri. Punto di contatto delle due indagini è costituito dalla influenza della cosca CONDELLO nell’area di Villa S.Giovanni (RC) edai legami di questa con la consorteria degli IMERTI/BUDA,legami sorti anche in conseguenza del matrimonio, celebrato nel 1983, tra IMERTI Antonino detto Nano feroce, esponente apicale della omonima cosca e CONDELLO Giuseppina, sorella di Domenico cl. ‘53 “U Pacciu” e cugina di Pasquale cl. ‘50 il Supremo, matrimonio questo che determinò la cementificazione dei rapporti tra i CONDELLO e gli IMERTI/BUDA ed il rafforzamento della loro presenza nell’area di Villa S. Giovanni (RC)

L’esecuzione dell’ordinanza cautelare,nel completare la parte operativa dell’operazione Sansone,ha permesso di colpire tutti gli indagati coinvolti nelle vicende ricostruite dalle indagini svolte dai Carabinierisulle quali va detto che hanno portato il 10 ottobre 2012 al rintraccio del latitante CONDELLO Domenico cl. ’56 ed alla individuazione della rete di supporto logistico e dei più stretti collaboratori che oggi sono destinatari del provvedimento restrittivo. In tale contesto si deve dire che le investigazioni hanno messo in rilievo come CONDELLO Domenico aveva formato una struttura associativa cuscinetto, deputata unicamente al sostegno alla sua latitanza, ponendovi al vertice un soggetto cerniera incaricato di coordinarla e di veicolare le sue direttive struttura mafiosa: tale assetto rispondeva all’esigenza di ridurre al minimo i rischi per sé e soprattutto per l’associazione mafiosa derivanti dalla incessante attività di ricerca.

Se da un lato la rete associativa e dei favoreggiatori è stata indebolita attraverso una serie di interventi (vari sequestri preventive ed operazioni Reggio Nord e Lancio) le investigazioni hanno raggiunto il punto di svolta quando è stato individuato, nella persona di VAZZANA Andrea Carmelo subentrato a TEGANO Bruno Antonino nel frattempo arrestato, il soggetto cerniera che aveva contatti sia col latitante che con gli elementi dell’associazione. Il monitoraggio di VAZZANA – oltre a consentire l’individuazione di un altro soggetto di interesse, MEGALE Roberto, che in più circostanze aveva effettuato degli spostamenti dal carattere evidentemente clandestino – aveva permesso di spostare l’attenzione sull’abitato di Salice di Rosalì (RC). L’intensificazione dei servizi a carico dei soggetti e dell’area indicati consentiva di monitorare completamente l’ulteriore movimento clandestino del VAZZANA e del MEGALE che, la sera del 10.10.2012, aveva prelevato il latitante dal covo in Salice di Rosalì. Avuta contezza di ciò, alle ore 22.00 circa dello stesso giorno, veniva prontamente bloccata la vettura con a bordo il latitante che veniva tratto in arresto unitamente all’autista MEGALE Roberto.

Sotto il profilo associativo le indagini condotte dal ROS sul conto dello schieramento CONDELLO– che, come indicato, ha influenza anche nella zona di Villa San Giovanni (RC) per via dei collegamenti con i BUDA/IMERTI – si sono intersecate con quelle svolte dal Comando Provinciale Carabinieri di Reggio Calabria, in corso in periodo coevo, ma a carico dello schieramento ZITO – BERTUCA, pure operante in Villa S. Giovanni (RC) e Fiumara (RC). Ciò in ragione della accertata interazione tra i due schieramenti a causa delle criticità insorte, in ordine alla suddivisione delle attività estorsive.Le indagini hanno così messo in luce la presenza, nell’area villese, di una forte pressione estorsiva e di un controllo criminale esercitato congiuntamente, da più cosche, in modo capillare. Situazione questa che può essere efficacemente riassunta nelle parole di BERTUCA Pasquale che – nel corso di un colloquio in carcere intrattenuto con la sorella BERTUCA Felicia e con il nipote SOTTILARO Vincenzo il 23.08.2010 – invitava i familiari a riferire a LIOTTA Alfio, soggetto incaricato della riscossione dei proventi estorsivi, di «non lasciare scampo a nessuno» con la precisazione di un imprenditore cui doveva rivolgersi che doveva «… essere il primo che glieli deve portare!». Il controllo esercitato sul territorio era così ampio e penetrante che gli esponenti delle consorterie mafiose – oltre a condizionare la vita economica del territorio villese posto che l’avvio di iniziative economico/imprenditoriali doveva ricevere il placet degli esponenti delle varie cosche – erano in grado di risalire agli autori dei furti in abitazione e di veicoli, dei danneggiamenti, e di attivarsi per la restituzione dei beni ai legittimi proprietari, anche dietro il pagamento di una somma di denaro.

Entrando più nel dettaglio si deve dire che, nel settore delle estorsioni, i rapporti tra le cosche ZITO – BERTUCA e quelle CONDELLO – BUDA – IMERTI sono caratterizzati da logiche spartitorie dei proventi estorsivi che si sono dipanate non senza momenti di criticità derivanti dalla duplicazione delle richieste estorsive tali da determinare, in alcuni casi, incontri diretti tra i referenti dei due schieramenti. Particolarmente eloquenti sono ancora le parole di BERTUCA Pasquale che, lamentandosi col fratello Vincenzo dell’eccessivo attivismo estorsivo del condelliano VAZZANA Andrea Carmelo nell’area di Villa S.Giovanni, specificava che LIOTTA Alfio gli avrebbe dovuto riferire «… che le indagini sopra di noi non le può fare nessuno! Altrimenti glielo mando a dire con Mico! Perché… tutte le volte che hanno portato… una brioche se la sono mangiata pure loro!» specificando che, quando entravano nell’area di loro pertinenza, «gli devi dire che prima di andare a Cannitello devono “bussare” però!».

Nel complesso le attività di indagine hanno permesso di documentare ben 20 episodi estorsivi – consistiti nella pretesa di ingenti somme di denaro – in danno di numerose imprese operanti nei settori della raccolta dei rifiuti solidi urbani e delle costruzioni in generale/movimento terra, impegnate nello svolgimento di servizi ed opere sia private che di interesse pubblico, i cui proventi, sono stati suddivisi tra le predette cosche.

Le relazioni tra le suddette cosche nel campo estorsivo hanno conseguentemente consentito di delineare gli assetti associativi non solo delle cosche CONDELLO – BUDA – IMERTI e ZITO – BERTUCA ma anche della cosca GARONFALO, operante nel limitrofo comune di Campo Calabro (RC).

(fonte)

Andrea Camilleri: «ecco perché voto no»

Novantantun anni, 102 libri, 26 milioni di copie solo in Italia: Andrea Camilleri è lo scrittore più importante che abbiamo. «Vorrei l’ eutanasia, quando sarà il momento. La morte non mi fa paura. Ma dopo non c’ è niente. E niente di me resterà: sarò dimenticato, come sono stati dimenticati scrittori molto più grandi. E quindi mi viene voglia di prendere il viagra, di ringiovanire, pur di vivere ancora qualche anno, e vedere come va a finire. Vedere che presidente sarà Trump: uno tsunami mondiale, un Berlusconi moltiplicato per diecimila. E vedere cosa sarà del mio Paese».

«A guardare l’ Italia ridotta così, mi sento in colpa. Avrei voluto fare di più, impegnarmi di più. Nel Dopoguerra ci siamo combattuti duramente, ma avevamo lo stesso scopo: rimettere in piedi il Paese. Oggi quello spirito è scomparso».

Renzi non è un buon presidente del Consiglio? 

«No. È un giocatore avventato e supponente. Mi fa paura quando racconta balle: ad esempio che il futuro dei nostri figli dipende dal referendum. Mi pare un gigantesco diversivo per realizzare un altro disegno».

Quale? 

«Mi sfugge, ma c’ è».

Al referendum andrà a votare?

«Pur di votare No mi sottoporrò a due visite oculistiche, obbligatorie per entrare nella cabina elettorale accompagnato. Io le riforme le voglio: il Senato deve controllare la Camera, non esserne il doppione. Ma questa riforma è pasticciata. E non ci consente di scegliere i nostri rappresentanti».

Spera nei Cinque Stelle?

«Non mi interessano. Non ci credo. Mi ricordano l’ Uomo Qualunque: Grillo è Guglielmo Giannini con Internet. Nascono dal discredito della politica, ma non hanno retto alla prova dei fatti: Pizzarotti è stato espulso dal movimento; la Raggi non mi pare stia facendo grandi cose».

Se vince il No cosa succede? 

«Entra in campo Mattarella. Che si comporterà bene; perché è un gran galantuomo».

(l’articolo continua qui)

Nel merito. Appello degli avvocati milanesi per il No.

Il prossimo referendum sulla revisione costituzionale riguarda una materia tecnicamente assai complessa, sia per l’eterogeneità e l’ampiezza delle modifiche intervenute, sia per la difficoltà di cogliere tutte le implicazioni che ne potranno derivare.

Come avvocati sentiamo il dovere di esprimerci, mettendo le nostre competenze giuridiche e la nostra concreta esperienza professionale a disposizione dei cittadini per aiutarli a compiere una scelta consapevole.

Innanzitutto occorre osservare che la scelta di adottare una così vasta revisione costituzionale ed una nuova legge elettorale con la sola forza della contingente maggioranza di governo (peraltro artificiosa) costituisce un grave limite genetico perché lascia presagire che, nel prossimo futuro, ad ogni cambio di equilibrio politico potrà corrispondere una nuova modifica della Carta fondamentale ed una nuova legge elettorale su misura dei vincitori. Una simile spirale di riforme e controriforme farebbe venire meno la concezione della materia istituzionale come terreno di valori condivisi, minando le basi della nostra convivenza democratica.

In secondo luogo, balza agli occhi dell’interprete la pessima qualità redazionale dell’intervento di revisione, che introduce nella nostra Carta fondamentale norme farraginose, illeggibili per il cittadino medio, spesso contraddittorie o ambivalenti; insomma, la forma – che in questa materia è anche sostanza – appare lontanissima da quella tipica delle norme costituzionali, che dovrebbero essere il più possibile cristalline, sobrie ed accessibili a chiunque. Lo stile involuto e l’obiettiva oscurità di non poche disposizioni raggiunge livelli tali da legittimare il dubbio che non si tratti (solo) di limiti qualitativi, bensì di un’ambiguità intenzionale per lasciare aperte diverse opzioni applicative ed interpretative a seconda degli equilibri politici che si potranno determinare in futuro.

Il principale elemento che rischia di privare l’opinione pubblica di una piena consapevolezza degli effettivi esiti che la revisione oggetto di referendum produrrà nella vita delle istituzioni è dato dalla interazione tra la modifica costituzionale vera e propria e la legge elettorale per la Camera, detta “Italicum”. Questa, avendo reintrodotto surrettiziamente i medesimi vizi stigmatizzati nella sentenza di incostituzionalità della legge precedente (Porcellum), non solo è, a sua volta illegittima, ma costituisce anche un oltraggio alla Corte Costituzionale inconcepibile in uno stato di diritto.

La revisione costituzionale, eliminando l’elettività del Senato e lasciando alla sola Camera dei Deputati il rapporto di fiducia col governo, consentirebbe all’Italicum di dispiegare per intero il proprio effetto sulle istituzioni, effetto che sarà quello di produrre una sostanziale modificazione della forma di governo del nostro paese.

Infatti, con il ballottaggio tra liste e l’assegnazione di un abnorme premio di maggioranza al vincitore (un unicum a livello mondiale), a prescindere dall’effettiva rappresentatività del corpo elettorale, la legge determinerà di fatto l’elezione diretta del presidente del consiglio, l’illimitata compressione della rappresentanza democratica e la concentrazione nel governo di tutti i poteri: dal controllo sull’assemblea legislativa alla possibilità di eleggere gli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Corte Costituzionale, Csm), dal dominio sulla Rai alla nomina delle varie Authority.

Questo determinerebbe la fuoriuscita dal modello di democrazia parlamentare, senza peraltro le garanzie del modello alternativo, quello della repubblica presidenziale, che è caratterizzato da rigorosa separazione dei poteri e forte presenza di pesi e contrappesi.

Un così radicale ed avventuroso cambiamento del nostro assetto istituzionale è stato introdotto in modo larvato e con legge ordinaria, rimanendo perciò formalmente estraneo alla revisione costituzionale oggetto del quesito referendario.

I cittadini, che in questo modo sono privati della possibilità di esprimere il proprio giudizio sulla parte più incisiva del complessivo mutamento costituzionale che si vuole realizzare, devono essere resi consapevoli della reale posta in gioco perché possano riappropriarsi del diritto di deliberare anche su ciò che formalmente non viene loro richiesto.

Peraltro, quale che sia il giudizio sulla legge elettorale, venendo al merito della revisione costituzionale – e prescindendo in questa sede da aspetti secondari (dai presunti risparmi all’abolizione del Cnel), di carattere essenzialmente propagandistico – basterà concentrare l’attenzione sul tema cruciale del procedimento legislativo.

Non è affatto certo che la semplificazione e velocizzazione dell’attività legislativa potrà realizzarsi come i sostenitori della revisione promettono. Infatti, il carattere assai confuso delle competenze e delle modalità di partecipazione del futuro Senato al processo legislativo induce a prevedere piuttosto una complicazione delle procedure ed una moltiplicazione dei conflitti, con conseguenti ricorsi alla Corte Costituzionale. Se poi la maggioranza politica del Senato espresso dai consiglieri regionali dovesse essere diversa da quella della Camera, è logico aspettarsi un sistematico richiamo di tutte le leggi approvate dalla Camera, con conseguente generalizzazione della “navetta” tra i due rami del parlamento, che oggi è un fenomeno limitato a circa il 3 % delle leggi che vengono varate.

Ma poniamo, per ipotesi, che la semplificazione promessa venga realizzata. In tal caso sarebbe necessario chiedersi se, al di là delle facili suggestioni propagandistiche diffuse dalle forze di governo e da alcune rappresentanze dell’establishment economico, questo corrisponda veramente all’interesse dei cittadini o non costituisca piuttosto il classico bisogno indotto.

Nella realtà, nonostante il bicameralismo perfetto, l’Italia ha già oggi tempi di approvazione delle leggi che sono inferiori alla media degli altri stati democratici ed ha prodotto nei decenni una quantità di nuove leggi tale da rasentare un record mondiale. Il numero delle leggi in vigore nel nostro paese è da tempo sfuggito al controllo (40.000, 100.000, 150.000 ?) e questo ha creato incertezza del diritto, milioni di processi pendenti e condizioni favorevoli alla proliferazione della corruzione.

Il che è quanto dire che non abbiamo un problema di lentezza nell’attività legislativa, ma al contrario abbiamo una iper-produzione legislativa che, oltretutto, si accompagna al progressivo ed allarmante scadimento della qualità delle nuove norme che vengono approvate, e che sempre più spesso sono di iniziativa governativa e non parlamentare.

In questa situazione la prospettiva di un parlamento subalterno all’esecutivo – che oltre a detenere la maggioranza garantita dal premio ne potrà determinare anche l’agenda – costituito in prevalenza di nominati, e ridotto a sfornare a getto continuo nuove leggi a data certa, senza i tempi necessari per i dovuti approfondimenti e per la discussione, dovrebbe suscitare viva inquietudine in qualunque persona minimamente informata.

Peraltro, la (ancora) minore ponderazione delle leggi e lo slittamento verso una forma di “democrazia immediata” comportano rischi non solo sul piano qualitativo, ma anche di sistema.

Infatti, determinando una più diretta esposizione sia alle ondate emotive dell’opinione pubblica, sia alla pressione dei media spesso pilotata dai poteri forti (“lo vogliono i mercati”; “lo vuole l’Europa” …), possono dare luogo facilmente a misure penali squilibrate – ora di disumana severità, ora di esagerato lassismo – e ad improvvisate leggi civili del caso singolo. Insomma, l’esatto contrario di quella normazione fatta di poche leggi, tecnicamente accurate, organiche e stabili nel tempo di cui avrebbe davvero bisogno l’Italia per essere più moderna e competitiva.

Anche la radicale modificazione del sistema delle autonomie e del rapporto Stato – Regioni non è condivisibile perché, allontanandosi bruscamente dal disegno dei Costituenti che era quello di assegnare alle Regioni un potere di riforma delle stesse leggi dello Stato nelle materie ad esse attribuite dall’art. 117 Cost., determina uno svuotamento di questa autonomia e un ritorno di quasi tutte le competenze al potere centrale.

La revisione costituzionale porta così a compimento la sconfitta dell’autonomia regionale, trasformando progressivamente le Regioni in enti non più prevalentemente legislativi e di tutela delle autonomie locali, ma in enti di spesa; tutto ovviamente con la complicità di un ceto politico locale più attento alla clientela che alla difesa della funzione costituzionale attribuita alla Regione.

Questo ritorno al potere invasivo dello Stato centrale, sia politico che burocratico, avviene senza alcun risparmio di spesa, anzi al contrario, e con il mantenimento di un ceto politico regionale (Consigli e Giunte Regionali) titolare soltanto di potere clientelare, in senso lato, ossia di gestione di grandi flussi di denaro in funzione di vantaggio politico.

Per tutte queste ragioni, noi riteniamo che siano di gran lunga prevalenti nella revisione costituzionale gli aspetti negativi. Inoltre riteniamo che nel bilanciamento che siamo chiamati a fare, dovendo approvare o bocciare in blocco una modifica costituzionale variegata, occorra sempre far prevalere un principio di precauzione, ricordando che le Costituzioni sono quelle regole che i popoli si danno quando sono sobri per quando saranno ubriachi.

 

Per questo, il nostro consiglio è quello di votare NO.

 

Avv. Luciano Belli Paci

Avv. Felice Besostri

Prof. Avv. Maria Agostina Cabiddu

Avv. Marco Dal Toso

Avv. Claudio Tani

Avv. Velia Addonizio

Avv. Paolo Agnoletto

Avv. Alberto Amariti

Avv. Bruno Amato

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Associazione Giuristi Democratici di Milano

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Avv. Paola Zanotti

Avv. Massimo Zarbin

 

Aggiornato 8.11.2016

Inviare nuove adesioni a avv.bellipaci@studiobellipaci.it

Nel merito. Quel (brutto) articolo 70.

(Davvero l’articolo 70 non si poteva riscrivere meglio? Se lo chiede Leonardo nel suo blog. E prova a spiegare perché:)

Questa riforma è brutta. Mi sono accorto di averlo scritto spesso, richiesto o no, quando mi capitava di assistere a una conversazione sulla riforma: non dannosa, non inutile, non pericolosa: brutta. Come se fosse più grave, e magari non lo è.

Ma cosa significa “brutto”, se si sta parlando di leggi? Forse cerco solo di spostare la discussione in un campo più congeniale, perché di leggi non mi intendo (di bruttezza invece sì?) Se dico che una ripartizione dei seggi mi sembra iniqua, sto giocando a fare il costituzionalista e non lo sono. Se dico che è brutta, beh, de gustibus. Ma in cosa consiste, per me, la bruttezza di una legge?

Sto per introdurre – qualcuno l’avrà già sospettato – il famigerato articolo 70: quello che nella stesura originale recitava semplicemente: La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere, e adesso dice così:

La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all’articolo 71, per le leggi che determinano l’ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche dell’Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

(In realtà questo è solo il primo comma; ce ne sono altri sei, meno brutti: ma la visione d’insieme è, come dire, notevole).

In questi lunghi mesi di campagna l’articolo 70 comma 1 è stato spesso sbeffeggiato con quel genere di foga bullistica che in me ottiene sempre l’esatto contrario: mi fa venir voglia di intervenire in favore dello sgorbio. Lasciatelo stare, poverino, mica è colpa sua se l’hanno scritto così. C’è anche chi ha provato a difenderlo: per essere brutto è brutto, nessuno lo nega, ma c’è un motivo per cui non si poteva concepirlo meglio. Lo dice gente esperta di legge, e io non lo sono, per cui potrei fidarmi.

Ma non ci riesco. A me sembra davvero scritto brutto apposta. Guardate quel “soltanto” alla seconda riga. L’estensore ha appena iniziato un elenco di situazioni in cui le due Camere eserciteranno insieme la funzione legislativa. Si capisce che gli preme far notare che la cosa non succederà spesso, e quindi usa l’avverbio “soltanto”. Seguono dodici righe di eccezioni. Evidentemente qualcosa non è andata per il verso giusto, ma a quel punto almeno si poteva togliere “soltanto”. Non c’era nessun motivo di lasciarlo lì.

Da grafomane conosco bene la situazione. A volte mi metto a scrivere un’eccezione, poi ne trovo altre ventinove, nel frattempo si è fatto tardi e a volte nemmeno rileggo perché mi addormenterei. Quando mi capita di ridare un’occhiata mi faccio schifo, ma c’è da dire che tengo un blog: se mi capitasse di riscrivere la legge fondamentale della mia Repubblica, userei qualche attenzione in più. La farei rileggere ai miei amici, e colleghi, dieci volte, cento volte. Il tempo non dovrebbe essere il problema: non credo proprio che avrei qualcosa di più importante da fare nel frattempo.

Ecco, forse ho trovato la risposta. Cos’è il brutto per me? È qualcosa che non è semplicemente sgraziato, ma lo è volutamente, pervicacemente, come per attirare l’attenzione: non un difetto di natura, ma il difetto di natura messo in scena con fuori la fila per pagare il biglietto. Un articolo di legge può essere difficile da leggere; a volte è inevitabile che sia così. Ma questa volta era davvero così inevitabile?

Art. 70
Le due Camere esercitano insieme la funzione legislativa nei seguenti casi:
(a) eventuali leggi costituzionali o di revisione costituzionale;
(b) leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali in materia di tutela delle minoranze linguistiche;
(c) referendum popolari e altre forme di consultazione previste dall’art. 71;
(d) leggi relative ai Comuni e alle Città metropolitane (ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo, funzioni fondamentali, disposizioni di principio sulle forme associative);
(e) leggi relative alle politiche comunitarie dell’Unione Europea (norme generali, forme e termini della partecipazione dell’Italia alla formazione e all’attuazione della normativa e delle politiche comunitarie);
(f) casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di senatore di cui all’articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma;
le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, si possono abrogare, modificare o derogare solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma.

Ecco qui. L’ho riscritto. Ci ho rimesso dieci minuti. È ancora brutto, ma almeno si intravede una sagoma, un senso. E ho tolto quel “soltanto”, che sembra una presa in giro. Adesso non è più un brutto da circo; è un brutto noioso, è un bruttino che si impegna, che cerca di vestirsi bene ed essere simpatico a tutti, nella speranza che dopo un po’ qualcuno si dimentichi che, in effetti, è pur sempre brutto.

È quel brutto che alla Boschi e a Renzi non interessa. Mi sembra che la loro filosofia, opposta alla mia, si possa sintetizzare così: se devi fare schifo, almeno fa’ schifo alla grande. Fallo con arroganza, fallo che si veda da lontano. Fa’ in modo che tutti sappiano non solo che fai schifo, ma anche che te lo puoi permettere. Guarda quanto siamo arrivati lontano, senza nemmeno sapere scrivere in italiano. E credi che impareremo adesso? No way, siete voi plebe che dovrete sforzarvi di capirci. Ora vi vandalizziamo la carta costituzionale e poi ve la facciamo votare col ricatto dello spread. Potremmo fare meglio di così? Certo. Non sarebbe neanche così difficile. Ma non sarebbe divertente, non saremmo noi.

Il comma 1 dell’articolo 70 sarebbe discutibile anche se a riscriverlo avessero resuscitato Italo Calvino. Potrebbe essere considerato il simbolo di una riforma che era partita per semplificare e si è complicata da sola strada facendo. Il fatto che sembri invece messo giù da uno stagista in affanno non è accidentale. Forse è inevitabile – la Fretta è un po’ la grande ispiratrice di gran parte dell’azione di governo renziana. La traccia che la mia generazione lascerà sulla carta costituzionale sarà uno sbrago fatto in fretta e furia perché sennò l’Unione Europea, i mercati, Napolitano, le cavallette. E se non ci sbrighiamo poi non si potrà mai più far niente. Perché? Non si sa. I grillini, i fascisti, il riscaldamento globale, insomma o si cambia la costituzione in mezz’ora o non si cambia più. L’abbiamo riscritta male? Beh sì, ma prendere o lasciare.

Secondo me si poteva scrivere meglio, e quindi voto no.

È da un po’ di tempo che Pisapia è un bluff

Giuliano Pisapia, dopo mesi alla ricerca dell’ombra per non doversi schierare o comunque per schierarsi poco, oggi rilasci un’intervista a Repubblica in cui dichiara che non voterà no. Dice l’ex sindaco di Milano:
«Nessuna apocalisse sia che vinca il No, sia che vinca il Sì. E mi sembra che siano ormai ben pochi quelli che paventano tale rischio. Io però non credo che, in caso di vittoria del No, avremmo un anno di tregua nel quale sarà possibile lavorare per riorganizzare il paese; vedo invece un Parlamento ancora più diviso, paralizzato e un periodo di instabilità politica che non farebbe bene al paese».
Repubblica non perde l’occasione e titola tutto maiuscolo: Lo strappo di Pisapia: “Referendum, con il ‘No’ Italia instabile”
Ora, al di là del titolo sparato su una scelta bisbigliata, forse sarebbe anche arrivato il tempo di prendere atto di un fatto politico ormai assodato: Pisapia (ma mi prendo il rischio di aggiungerci Zedda che si accoderà nei prossimi giorni) ha “strappato” (tanto per citare Repubblica) fin da quando ha aperto le porte alla svolta di un PD intento a mettere in atto politiche non più di sinistra. Pisapia ha “strappato” quando di intruppato per rendere potabile Beppe Sala come suo successore; Pisapia ha “strappato” quando non ha voluto esporsi per il referendum sulle trivelle; Pisapia ha strappa to ogni volta che s’è tenuto in gola un giudizio su Jons Act e Buona Scuola.
C’è stata un’epoca qui da noi in cui qualcuno è riuscito ad attivare antenne a sinistra che sembravano spente per poi infilarci i sempreverdi moderati tendenti a destra. Basterebbe chiedere agli amici di Sinistra Italiana e di SEL oppure ai cittadini milanesi che non sono tornati a votare. Se ne sono accorti quasi tutti. Tranne Repubblica.

(scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Mafia, operazione “Reset 2”: chiesti 150 anni di condanne per i gestori del pizzo a Bagheria

Quasi un secolo e mezzo di carcere è stato chiesto per 17 imputati, accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsioni, favoreggiamento. Si tratta degli arrestati nel corso dell’operazione “Reset 2”, condotta dai carabinieri a Bagheria nel 2015.

Le pene più pesanti sono state chieste per Pietro Liga e Giacinto Di Salvo per cui il pm Francesca Mazzocco ha chiesto venti anni. Chiesti anche 6 anni per Andrea Fortunato Carbone e Francesco Centineo, 7 per Nicolò Eucaliptus, 6 per Silvestre Girgenti e Umberto Gagliardo, 4 per Salvatore Lauricella, 12 per Francesco Lombardo, 6 per Francesco Mineo, 8 per Gioacchino Mineo, 6 per Onofrio Morreale, 12 per Giuseppe Scaduto, 6 per Giovanni Trapani, Gioacchino Tutino, Paolo Liga e Giovanni Mezzatesta. Nel processo si sono costituiti parte civile i Comuni di Bagheria, Altavilla Milicia, Ficarazzi, Santa Flavia, il centro studi Pio La Torre, Confindustria di Palermo, Addiopizzo, Confcommercio e Confesercenti, assistiti – tra gli altri – da Francesco Cutraro e Ettore Barcellona.

Mafia, gestivano il pizzo a Bagheria: chieste condanne per 17 boss e gregari
„Con l’operazione “Reset 2” gli inquirenti avevano evidenziato la “soffocante pressione estorsiva esercitata dai boss che, dal 2003 al 2013, si sono succeduti ai vertici del clan”. Una cinquantina le estorsioni documentate grazie alla dettagliata ricostruzione fornita da 36 imprenditori locali che hanno trovato il coraggio, dopo decenni di silenzio, di ribellarsi al giogo del “pizzo”.

(LE INTERCETTAZIONI: VIDEO).

(fonte)

 

Sempre lui, il ladro di libri: Dell’Utri rinviato a giudizio per il saccheggio della Biblioteca Girolamini

Ne scrive Simona Maggiorelli per Left:

Dopo la condanna definitiva dell’ex direttore Massimo M. De Caro e dei suoi complici per il saccheggio della Biblioteca Girolamini, il 14 febbraio Marcello Dell’Utri dovrà presentarsi in aula. Secondo l’accusa, l’ex senatore di Forza Italia sapeva da dove provenivano i libri che De Caro gli consegnava e con lui si sarebbe accordato su quali volumi trafugare.L’inchiesta è nata come filone secondario del filone principale, che ha portato in carcere l’ex direttore della Biblioteca di Vico, da cui sono stati rubati migliaia di libri antichi e preziosi. Una parte del bottino è stato nel frattempo ritrovato, ma molti volumi risultano danneggiati, sono state strappate le etichette e tutto ciò che poteva rendere chiara la provenienza dei volumi. Inoltre sono stati distrutti i registri e i cartelli che avrebbero permesso di ricostruire la originaria collocazione dei libri. Dopo l’assalto alla biblioteca operato da chi aveva l’incarico di dirigerla e preservarlapurtroppo l’antica biblioteca napoletana non potrà mai tornare come era. Anche perché all’appello mancano libri preziosi come l’edizione dell’Utopia di Tommaso Moro che fu consegnata a Dell’Utri. Introvabili, fin qui, anche preziose rilegature quattrocentesche. Questo filone dell’inchiesta in cui è coinvolto anche Dell’Utri è partito analizzando le caratteristiche della biblioteca dei Girolamini, di particolare interesse per gli studiosi vichiani, e intercettando alcune conversazioni telefoniche che hanno chiarito la rete di rapporti fra Dell’Utri e De Caro, del quale che l’ex senatore aveva sostenuto la carriera, prima al ministero all’Agricoltura e poi ai Beni culturali, all’epoca in cui era ministro Ornaghi. Dell’Utri, che si trova nel carcere di Rebibbia in attesa che il Tribunale di Sorveglianza valuti la compatibilità del suo stato di salute con il regime carcerario, non è stato ancora interrogato. In passato ha sempre sostenuto di ignorare la provenienza dei volumi ricevuti da De Caro perché non vi erano segni distintivi della biblioteca e a ottobre 2012 presentò agli inquirenti una memoria con l’elenco di tutti i libri antichi avuti dall’ex direttore dei Girolamini consentendo il sequestro in via Senato di volumi antichi. Secondo i pm «non è ipotizzabile che il senatore, esperto collezionista di libri antichi, abbia potuto non avere contezza della provenienza dei preziosi volumi a lui consegnati da De Caro».

L’articolo continua qui. Se invece volete acquistare il nostro libro proprio su Marcello, L’amico degli eroi, vi basta andare qui.

Mafia, operazione Monte Reale: i fatti e i nomi

(gran pezzo di Monrealepress, dedicato a chi all’informazione locale con la schiena dritta)

Durante la notte i Carabinieri del Gruppo di Monreale hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip di Palermo Guglielmo Ferdinando Nicastro, su richiesta della Procura distrettuale diretta da Francesco Lo Voi, nell’ambito di un’indagine coordinata dal Procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Francesco Del Bene, Amelia Luise e Siro Deflammineis, che ha riguardato 16 persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, lesioni gravi, estorsione, illecita detenzione di armi, detenzione di sostanze stupefacenti, tutti delitti aggravati per essere stati commessi al fine di agevolare l’attività di Cosa Nostra.

L’operazione costituisce il compendio delle indagini condotte dal Nucleo Investigativo di Monreale relative al mandamento mafioso di San Giuseppe Jato all’esito delle quali, già lo scorso 16 marzo 2016 a conclusione dell’operazione denominata “QUATTRO.ZERO” – erano stati tratti in arresto numerosi esponenti apicali del sodalizio.

Nell’ambito di tale contesto di indagine, sviluppatosi sino alla fine del 2014, era emerso che nella zona di San Giuseppe Jato la fazione di Gregorio Agrigento, coadiuvato nella gestione del sodalizio mafioso, tra gli altri, da Ignazio Bruno e Antonino Alamia, si era imposta, anche con il ricorso alla forza, dopo un preoccupante periodo di fibrillazione e contrapposizione, sul gruppo costituito da Giovanni Do Lorenzo ed altri affiliati, anch’essi tratti in arresto con il medesimo provvedimento restrittivo. E’ stata anche documentata la riorganizzazione della famiglia mafiosa di Monreale, al cui vertice era stato designato Giovan Battista Ciulla, attivamente coadiuvato da Onofrio Buzzetta, Nicola Rinicello e Giuseppe Giorlando.

Le indagini svolte, a partire dalla fine del 2014 e nei primi mesi del 2015, hanno registrato in presa diretta l’evoluzione delle dinamiche interne dell’organizzazione mafiosa di San Giuseppe Jato e della famiglia di Monreale, con particolare riferimento alle successioni al vertice del mandamento e della dipendente articolazione mafiosa. E’ emerso, infatti, che, in considerazione dell’aggravarsi delle condizioni di salute dell’anziano boss Gregorio Agrigento, più volte ricoverato nei mesi di ottobre e novembre 2014, Ignazio Bruno ha ricoperto la reggenza del mandamento di San Giuseppe Jato, assumendo decisioni importanti sia nella ridefinizione dell’organigramma interno delle varie famiglie mafiose che lo compongono, in particolare quella di Monreale – che continuava a vivere un periodo di fibrillazione interna – sia accreditandosi e partecipando ad incontri e riunioni con esponenti apicali di altre articolazioni territoriali di cosa nostra, segnatamente del mandamento mafioso di Corleone.

Il mutamento di leadership della famiglia di San Giuseppe Jato da Agrigento a Bruno si è reso necessario per garantire la continuità nella gestione del mandamento, che risulta avere grande importanza strategica, in quanto di fatto controlla il cuore di un’importante zona economica della Sicilia occidentale.

LA FAMIGLIA MAFIOSA DI MONREALE
A seguito dell’operazione “NUOVO MANDAMENTO” conclusa nell’aprile 2013, si era venuto a determinare un vuoto nel panorama mafioso monrealese a causa dell’arresto del capo famiglia Vincenzo Madonia e di numerosi altri associati. Tale spazio di manovra veniva colmato con la decisione del nuovo vertice del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, nel frattempo ricostituitosi, di individuare il reggente della famiglia di Monreale in Giovan Battista Ciulla (poi arrestato il 16 marzo con l’operazione “QUATTRO.ZERO”).

Nel periodo compreso tra gli ultimi mesi del 2014 ed gli inizi del 2015 in seno alla famiglia mafiosa di Monreale venivano registrate fibrillazioni a causa dell’intenzione di Giovan Battista Ciulla e Onofrio Buzzetta di tessere nuove alleanze e di modificare in parte anche le strategie operative della locale famiglia mafiosa. Questa fibrillazione veniva ulteriormente amplificata dalla scarcerazione di Benedetto Isidoro Buongusto, avvenuta il 5 novembre 2014, dopo aver espiato la condanna ad 8 anni di reclusione per associazione di tipo mafioso.

Le indagini permettevano di disvelare le nuove strategie operative perseguite da Giovan Battista Ciulla e Onofrio Buzzetta, prevalentemente finalizzate a ricercare l’appoggio di Benedetto Buongusto e di altri due soggetti a lui vicini. La nascita di questa nuova alleanza, ha aggravato i risentimenti già nutriti dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato nei confronti del Ciulla, sempre più inviso per la cattiva gestione degli affari della famiglia di Monreale, nonché per aver sottratto parte dei ricavi derivanti dalla gestione degli stessi.

In particolare, le indagini hanno permesso di scoprire con precisione i reali motivi delle perduranti tensioni nella: gestione dei proventi di attività illecite perpetrate nel territorio di competenza, per i quali si imputava a Ciulla di avere trattenuto delle somme che sarebbero dovute confluire nella cassa del mandamento, detenuta da Antonino Alamia; mancata presentazione ad appuntamenti fissati per discutere della sua gestione della famiglia mafiosa; relazione extraconiugale con la moglie di un soggetto, all’epoca dei fatti detenuto, in violazione del codice d’onore che disciplina in maniera ferrea la vita di Cosa nostra.

Proprio sulla scorta di tali accuse si delineavano i contorni di un progetto omicidiario, avallato dai vertici del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, in danno di Giovan Battista Ciulla, Onofrio Buzzetta e Antonino Serio. “I propositi criminali – spiegano dal Comando – non avevano concreta attuazione solo perché il capo famiglia di Monreale, Giovan Battista Ciulla, si allontanò dalla Sicilia l’8 febbraio 2015 e trovando rifugio in un lontano comune della provincia di Udine”.

Con la fuga di Giovan Battista Ciulla nasceva, in capo ai vertici del mandamento jatino, l’esigenza di individuare un nuovo responsabile che si occupasse della gestione della famiglia mafiosa di Monreale. Su segnalazione dei componenti della famiglia Lupo, Domenico (imprenditore edile) ed il figlio Salvatore, veniva individuato Francesco Balsano, nipote del già capo famiglia Giuseppe Balsano, catturato latitante nel 2002 e morto suicida in carcere.

L’investitura di Balsano nasceva dall’esigenza di evitare la diretta esposizione degli appartenenti alla famiglia Lupo e, in particolare, di Salvatore Lupo, per il quale nel recente passato era già stato documentato il legame alla famiglia di Monreale, insieme a Giovan Battista Ciulla e a Onofrio Buzzetta. La formale attribuzione del mandato a Francesco Balsano avveniva nell’ambito di una riunione di mafia, tenutasi nel pomeriggio del 25 febbraio 2015, presso un capannone in agro di Monreale, di proprietà di Domenico Lupo, alla quale partecipavano, quali esponenti del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, Girolamo Spina (nipote ed autista di Gregorio Agrigento), Vincenzo Simonetti e Ignazio Bruno, mentre per la famiglia mafiosa di Monreale, Salvatore Lupo e Francesco Balsano.

Nel corso dell’incontro, oltre alla citata nomina, si stabiliva che il principale interlocutore di Balsano in seno al mandamento avrebbe dovuto essere Antonino Alamia e, soprattutto, veniva sancito di esautorare e punire i componenti del gruppo legato a Giovan Battista Ciulla. Da qui scaturirono una serie di episodi di intimidazione, aggressioni e minacce, il più eclatante dei quali risultava essere sicuramente, il 28 febbraio 2015, il grave atto intimidatorio ai danni di Buongusto, il quale denunciava di aver rinvenuto, davanti la porta della propria abitazione, una testa di capretto su cui era stata conficcata una pallottola da caccia, con annesso un biglietto recante testualmente la scritta: “Da questo momento non uscire più di dentro perchè non sei autorizzato a niente”.

A tale messaggio dal chiaro contenuto mafioso, Salvatore Lupo e Francesco Balsano, con l’aiuto di Sergio Denaro Di Liberto (il picchiatore “prestato” dai vertici di San Giuseppe Jato) facevano seguire, la sera del 3 marzo 2015, una missione punitiva ai danni di Benedetto Isidoro Buongusto, il quale veniva rintracciato per le vie di Monreale e pestato violentemente con tubi in ferro, riportando diversi traumi e la frattura di una costola e venendo sottoposto d’urgenza ad intervento chirurgico per toracotomia. Ancora, il 6 marzo 2015 Onofrio Buzzetta, braccio destro di Ciulla, venne minacciato nella propria autovettura da Francesco Balsano, il quale gli puntò una pistola in bocca, pronunciando le seguenti parole “Sono autorizzato ad ammazzarti pure ora”.

Onofrio Buzzetta, temendo per la propria vita in relazione al progetto omicidiario di cui si è detto, chiedeva, per il tramite di un amico, un incontro con Rosario Lo Bue, capo mandamento di Corleone, unica persona in grado di intervenire in maniera determinante nei confronti dei vertici del mandamento di San Giuseppe Jato. Per questo motivo il 7 marzo 2015 si recava a Corleone, riuscendo ad ottenere la protezione.

Minacce erano state indirizzate anche a Nicola Rinicella da Balsano, il quale in un duro confronto precisava all’interlocutore “Ti è finita bene perchè dall’altra parte mi avevano detto di spaccarti le gambe”. Nel frattempo, l’intervento dei Carabinieri di Monreale faceva venir meno la reggenza della famiglia mafiosa di Monreale da parte di Francesco Balsano – incarico di fatto ricoperto per 10 giorni, dal 25 febbraio 2015 al 6 marzo 2015 – procedendo al suo arresto per detenzione illegale di una pistola automatica cal. 7,65 e relativo munizionamento, rinvenuta nel corso della perquisizione presso la sua abitazione.

Nel periodo successivo alle richiamate minacce ed azioni violente, fu registrata un’apparente posizione defilata del gruppo legato a Ciulla, a vantaggio della fazione emergente, che aveva ormai assunto il controllo della famiglia mafiosa, sotto la reggenza di Salvatore Lupo, appoggiato dai vertici del mandamento di San Giuseppe Jato. All’inizio del 2016, però, venivano intercettate alcune conversazioni nel corso delle quali Salvatore Lupo ed il capo decina Giovanni Pupella (incaricato della gestione dello spaccio nella piazza di Monreale) facevano riferimento ad una riorganizzazione del gruppo mafioso capeggiato da Benedetto Isidoro Buongusto, che aveva l’obiettivo finale di spodestare a qualsiasi costo i Lupo e di riprendere il controllo della famiglia.

Pupella, preoccupato da tale eventualità, consiglò a Salvatore Lupo di agire per tempo e soprattutto di intervenire mettendo in atto, all’occorrenza, anche atti violenti “TOTO’ LORO DEVONO BUSCARLE, TOTÒ, E BASTA, TOTÒ, A LORO NON DOBBIAMO… NON DOBBIAMO FARE CAPIRE NULLA, O FRATE, NOIALTRI… LORO DEVONO BUSCARLE… LORO DEVONO RIMANERE A PIEDI…”. In quella circostanza, Salvatore Lupo ribatteva che avrebbe immediatamente richiesto al vertice del mandamento di San Giuseppe Jato l’autorizzazione ad agire contro i rappresentanti del gruppo capeggiato da Benedetto Isidoro Buongusto, nel rispetto delle ferree regole gerarchiche di Cosa nostra.

Le parole di Salvatore Lupo non lasciavano dubbi sul fatto che un’eventuale azione da parte del gruppo retto da Benedetto Isidoro Buongusto, peraltro in cerca di vendetta per il violento pestaggio subito, potesse scatenare una vera e propria violenta faida tra le due fazioni antagoniste, tenuto conto della disponibilità del gruppo retto da Lupo di armi da fuoco, come accertato nel corso dell’indagine. Proprio con riferimento alla disponibilità di armi da fuoco da parte della famiglia mafiosa di Monreale, è importante sottolineare quanto già delineato in precedenza sulle acquisizioni investigative che hanno portato all’arresto di Francesco Balsano, avvenuto il 6 marzo 2015 per detenzione abusiva di una pistola clandestina del relativo munizionamento.

“In merito ai canali di approvvigionamento di armi – aggiungono dal Comando – è utile richiamare anche l’arresto di Umberto La Barbera, ritenuto vicino alla famiglia mafiosa di San Giuseppe Jato, al quale, il 28 dicembre 2015, nel corso di una perquisizione domiciliare, veniva rinvenuta sostanza stupefacente e 47 cartucce cal. 22 corto”. Lo stesso, poco meno di un mese dopo l’arresto, esattamente il 26 gennaio 2016, veniva denunciato in stato di libertà dal Comando Stazione Carabinieri di San Giuseppe Jato, a seguito del rinvenimento in un appartamento nella sua disponibilità, di un fucile cal. 12 con matricola alterata e diverse munizioni del medesimo calibro.

La disponibilità da parte del sodalizio mafioso di armi da fuoco ha ricevuto ulteriore conferma il 21 marzo 2016, quando in sede di perquisizione vennero rinvenute e sottoposte a sequestro una pistola cal. 9 con matricola abrasa e canna modificata e 122 cartucce di vario calibro, riconducibili a Domenico Lo Biondo, tratto in arresto nell’ambito dell’operazione del 16 marzo scorso “QUATTRO.ZERO”.

Infine, non di minor rilievo è l’arresto in flagranza di reato eseguito dai Carabinieri di Monreale il 29 marzo 2016 a carico di Pietro Lo Presti, appartenente alla famiglia mafiosa di Monreale, dopo il ritrovamento di una pistola marca “Valtro”, con matricola abrasa, modificata per permettere l’utilizzo di munizioni calibro 7,65 browning, nonché di 53 cartucce del medesimo tipo.

Gli approfondimenti investigativi condotti hanno anche consentito di evidenziare una serie di reati fine del programma criminoso della compagine mafiosa, tra cui particolare importanza rivestono certamente le quattro vicende estorsive ai danni di imprenditori del settore edile e di commercianti, ricostruite in modo compiuto nel corso dell’indagine.

Altrettanto rilevanti sono le attività investigative che hanno consentito di comprovare il reimpiego di parte dei proventi delle attività illecite nello spaccio di sostanze stupefacenti e nella realizzazione di una vasta piantagione di marijuana nelle campagne di Piana degli Albanesi. In tale quadro si innesta l’arresto di Michele Mondino e Gaetano Di Gregorio, eseguito dai Carabinieri di Monreale il 3 agosto 2015, con il recupero di 900 piante di cannabis sativa. Le successive analisi hanno evidenziato che dalle piante sequestrate sarebbe stato possibile ottenere circa 150 chuli netti di sostanza, per un totale di oltre 55 mila dosi singole, che – immesse nel mercato – avrebbero potuto garantire un guadagno di quasi un milione di euro.

GUARDA IL VIDEO DELLE INTERCETTAZIONI

I NOMI DEGLI ARRESTATI
Antonino Alamia, 52 anni nato a San Giuseppe Jato, attualmente detenuto;
Sergio Denaro Di Liberto, 42 anni nato a San Giuseppe Jato, già detenuto;
Ignazio Bruno, 43 anni di San Giuseppe Jato, detenuto;
Giovan Battista Ciulla, 35 anni, di Monreale, nato a Palermo e attualmente detenuto;
Onofrio Buzzetta, 42 anni di Palermo, già in carcere;
Vincenzo Simonetti, 56 anni, nato a Palermo;
Domenico Lupo, 57 anni, di Monreale;
Salvatore Lupo, 28 anni, di Monreale;
Giovanni Pupella, 26 anni, di Monreale;
Benedetto Isidoro Buongusto, 66 anni di Monreale;
Antonino Serio, 62 anni, di Palermo;
Pietro Lo Presti, di Monreale di 32 anni;
Alberto Bruscia, 38 anni, nato ad Aqui Terme, residente a Monreale;
Francesco Balsano, 40 anni di Monreale;
Salvatore Billetta, 47 anni, di Monreale;
Giovanni Matranga, 54 anni di Piana degli Albanesi.