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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Luis Sepúlveda: “Nel mondo cresce l’intolleranza perché non abbiamo imparato la lezione del ‘900”

A proposito di belle parole di belle persone, Luis Sepúlveda intervistato da Il Libraio:

Dalla Russia di Trockij al Cile di Pinochet, dalla Germania di Hitler alla Patagonia di oggi, La fine della storia, il nuovo romanzo di Luis Sepúlveda attraversa la storia del Novecento.

Sepúlveda, se guarda a quanto avviene oggi nel mondo, non solo nel suo Paese, pensa che gli uomini abbiano imparato la lezione della storia del ‘900?

“Purtroppo non credo. Altrimenti non si spiegherebbero razzismo, xenofobia, ascesa dell’estremo destra, l’intolleranza crescente… la distruzione dei paesi che possiedono il petrolio. Per non parlare di un soggetto come Donald Trump”.

Perché è importante lo studio della storia?

“Solo la conoscenza della storia ci permette di evitare di commettere nuovamente gli errori del passato”.

E quale ruolo può svolgere un romanzo in cui la storia del secolo scorso è protagonista?

“Un romanzo è lo spazio ufficiale, talvolta clandestino, che consente di raccontare la parte oscura della storia, quella ignorata dalla storia ufficiale”.

Di Matteo che resta

Nino Di Matteo ha rifiutato l’offerta del Consiglio superiore della magistratura di un trasferimento lontano da Palermo per motivi di sicurezza. Non andrà alla Direziona Nazionale Antimafia che gli è stata proposta per facilitare (secondo la discutibile decisione del Csm) la sua protezione.

«Non sono disponibile al trasferimento d’ufficio – ha detto il magistrato -. Accettare un trasferimento con una procedura straordinaria connessa solo a ragioni di sicurezza costituirebbe a mio avviso un segnale di resa personale ed istituzionale che non intendo dare».

Eppure Di Matteo aveva dalla sua parte parecchi buoni (e utili) motivi per accettare: la Direzione Nazionale Antimafia è il ruolo che ha cercato a lungo (una volta è stato bocciato e poi la sua domanda è stata respinta per un vizio di forma), il processo sulla trattativa continua a essere l’obiettivo degli strali di una parte politica folta e trasversale, i mascariatori professionisti lo accusano sottovoce di rischiare poco poiché non è ancora morto e la mafia si gode l’isolamento del magistrato che la rincorre.

Qui da noi funzioni solo se fai antimafia con le figurine dei boss da dare in pasto ai giornali e alla gente. Se solo provi a toccare la complessità di un fenomeno che (citando Gratteri) riesce a entrare nella politica con la stessa facilità di una lama nel burro allora diventi subito troppo intraprendente, antipatico, visionario o fissato. Chissà che ne dicono Falcone e Borsellino guardando un Paese che commemora senza memoria.

(il mio buongiorno per Left continua qui)

Come essere incompetenti senza accorgersene e arrivare al potere

Oliver Burkeman, giornalista del The Guardian ne scrive compiutamente:

Chiunque s’interessi un po’ di psicologia avrà sentito parlare dell’effetto Dunning-Kruger: la distorsione cognitiva a causa della quale una persona incompetente lo è a tal punto da non accorgersi di esserlo (un esempio classico è quello del rapinatore di una banca che si meraviglia di essere stato preso perché pensava che passarsi del succo di limone sulla faccia l’avrebbe reso invisibile alle telecamere di sicurezza). È un tipo di eccessiva fiducia in se stessi che spaventa particolarmente perché non riguarda solo le persone di talento che si sopravvalutano, ma anche persone che pur non avendo nessun talento pensano di averne a dismisura.

Il fenomeno probabilmente è vecchio quanto l’umanità, ma leggendo o guardando le notizie più recenti in arrivo da entrambe le sponde dell’Atlantico è difficile non pensare che stiamo superando una qualche soglia. Gli storici del futuro potrebbero riferirsi alla nostra epoca come a quella di Dunning-Kruger.

Il caso più ovvio, neanche a dirlo, è quello di un certo misogino protofascista che (almeno nel momento in cui scrivo) vorrebbe diventare presidente degli Stati Uniti. Il problema non è solo che non saprebbe governare, ma che non se ne rende conto. Anche i politici britannici tanto sicuri di poter gestire il risultato del referendum sulla Brexit – da Cameron a Gove e da Johnson a May – sembrano corrispondere a questa descrizione. Ma il pericolo più grosso è pensare che l’effetto Dunning-Kruger non si possa applicare a noi (in fondo, il punto della questione è proprio questo).

(continua qui sul sito di Internazionale)

La risposta a quelli che “votate come CasaPound”. Eccola qui.

di Wu Ming e Nicoletta Bourbaki * (fonte)

«Nel corpo sempre più virtuale del partito – che non ha più una teoria né una minimamente coerente visione del mondo oltre la mera difesa della propria funzione e dello stato delle cose – regnano la più assoluta spregiudicatezza, il peggior eclettismo e la schizofrenia. Se aggiungiamo che la scalata di Renzi ha attirato avventurieri da ogni dove, il risultato è che da dentro il PD giungono addirittura esternazioni chiaramente fasciste.»

Un’inchiesta collettiva portata avanti su Twitter e raccolta su Storify. Come il tentativo di costruire il Partito della Nazione sfondò ogni argine a destra e ancora più a destra.

Esempi dai territori: piddini che fanno iniziative con Casapound, fascisti ospitati in circoli del Pd, piddini e fascisti che si fanno i selfie assieme, Casapound che invita a votare Pd, dirigenti locali del Pd che si accusano a vicenda di avere pacchetti di voti neofascisti… Tutto vero!

C’è altro? Eccome se c’è! Leggere per credere.

Con una riflessione su cos’è (stato?) il renzismo, cosa ha cercato di essere il Pd, cosa ci rivelano simili «corrispondenze d’amorosi sensi».

 Buona lettura.

Nicoletta Bourbaki è il nome usato da un gruppo di inchiesta su Wikipedia e le manipolazioni storiche in rete, formatosi nel 2012 durante una discussione su Giap. Con questa scelta, il gruppo omaggia Nicolas Bourbaki, collettivo di matematici attivo in Francia dal 1935 al 1983.

Nel merito. Zaccaria: «Ecco i numeri dell’invasione refendaria del governo nell’informazione»

(di Roberto Zaccaria, professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico nell’Università di Firenze, dove insegna Diritto costituzionale generale e Diritto dell’informazione)

Il presidente del Consiglio, che aveva dichiarato di voler spersonalizzare il referendum costituzionale da ogni collegamento con se stesso e di escludere ogni conseguenza sul governo legata al voto del 4 dicembre, non perde occasione per invadere la tv e di invaderla in prima persona. In questo segue perfettamente le orme del maestro Berlusconi.

Ieri ne abbiamo avuto una dimostrazione esemplare. Tutti i telegiornali, a partire dal mattino, per arrivare a quelli del pranzo e poi all’ora di cena, hanno aperto sull’intervento conclusivo di Renzi alla Leopolda.

Difficile classificare l’intervento nella categoria degli interventi istituzionali. Il taglio è stato piuttosto quello del capo partito, con accenti molto coloriti da super tifoso che non a caso ha definito la partita del referendum come il derby d’Italia. Un modo inconsueto per definire il referendum sulla costituzione, sulla nostra Carta fondamentale.

Pensiamo solo per un attimo se De Gasperi avrebbe potuto usare questa immagine per definire il referendum istituzionale tra monarchia e repubblica che molti evocano proprio in questi giorni. Non contento di questa super presenza, che certamente segnerà un record, nel panorama dei TG, il presidente è corso (uso l’espressione in forma letterale) negli studi de La7 per farsi intervistare (naturalmente da solo) nella nuova trasmissione di Giovanni Minoli, dal titolo Faccia a faccia, collocata alle 20.30 nello stesso spazio di Otto e mezzo di Lilli Gruber.

Forse, come scherzosamente si è detto, per utilizzarne il traino. L’ascolto comunque è stato discreto 4,1% pari a 1.105 mila spettatori. Sul livello del TG di Mentana. Sullo stesso livello della trasmissione della Gruber di sabato (4,2), ma decisamente più basso di Otto e mezzo di Venerdì che aveva raggiunto il 6,6 con 1.673 mila spettatori.

Naturalmente si è parlato molto, direi soprattutto, di referendum anche se Minoli ha provato a ingentilire il discorso con riferimenti famigliari o con spazi dedicati alle private virtù del Premier. Sarebbe interessante soffermarsi sul format che assomiglia alla Mezz’ora di Lucia Annunziata anche se qualcuno ricorderà anche Mixer dello stesso Minoli. A me è parso che non ci sia stato un vero contraddittorio e soprattutto non ricordo una nuova domanda di fronte a una risposta evasiva o sommaria.

Su due diverse questioni voglio però soffermarmi un momento. Entrambe riguardano il rispetto della par condicio in questa fase delicatissima della campagna elettorale. In una competizione che si svolge sul filo del rasoio, la presenza preponderante di una parte in tv può risultare decisiva. Lo sanno anche i ragazzi!
Abbiamo detto nei giorni scorsi che i “programmi dedicati” risultano in equilibrio tra Sì e No, ma che il presidente del Consiglio e il governo hanno una presenza debordante nei tg e negli spazi extra tg. Questo è grave per la par condicio perché Matteo Renzi è il principale testimonial del Sì e questo aiuta vistosamente (e scorrettamente) una delle due parti in gioco.

L’Agcom, cioè l’arbitro della partita, aveva detto il 19 ottobre che sia Rai che Sky avevano tempi eccessivi dedicati al governo e aveva richiamato le emittenti a un maggior equilibrio perché la legge impone agli organi istituzionali in campagna elettorale la maggior sobrietà possibile.

Nella riunione della settimana scorsa, nonostante i dati della Geca continuino a evidenziare un tempo di parola molto alto nelle edizioni principali dei tg Rai (42%) e anche delle altre emittenti, l’Agcom non ha fatto ulteriori richiami e forse si sarà limitata alla tradizionale moral suasion. Certo con il passare dei giorni ed il probabile persistere del fenomeno, un atteggiamento morbido sarebbe assolutamente ingiustificato.

La seconda considerazione riguarda sempre l’autorità della comunicazioni e l’emittente La7.
Questa tv, accusata dai sostenitori del Sì di essere più favorevole alle tesi del NO, non solo è stata richiamata per ben due volte dall’Agcom, ma è stata oggetto di un esplicito ricorso da parte del Comitato del SI, a causa delle sue presunte parzialità.

In questo contesto si inquadra dunque l’intervista a Renzi nel nuovo programma Faccia a faccia di Minoli andato in onda ieri sera. A prescindere da ogni altra considerazione, un bello spot a favore del SI.

Dopo tutto questo accanimento verso la tv, come si spiega tutto ciò? Visto che non mi sembra il caso di scomodare la sindrome di Stoccolma, non so se interpretare il comportamento come un indennizzo anticipato o semplicemente come una soluzione editoriale legata a pure logiche di mercato. Se così fosse sarei curioso di sapere quale altra personalità politica del NO verrà intervistata nei prossimi giorni.

(fonte: Huffington Post qui)

«Ma perché ci salvate, se non ci volete?»

Il quarto sgombero in poco più di un mese. Oggi, 7 novembre, come annunciato dai volontari, le tende in cui trovavano rifugio più di cento migranti transitanti da Roma sono state tolte con la forza.

«Ma perché ci salvate, se non ci volete? Perché ci salvate se pensate che la nostra vita non vale quanto la vostra?», scrive su facebook Myriam El Menyar dalla pagina di Baobab experience. Sotto la pioggia battente di queste ore, questa mattina, 70 migranti sono stati identificati, prelevati dalle forze dell’ordine e condotti all’ufficio stranieri di Via Patini. Tutti loro sono già in attesa di protezione internazionale e relocation europea.

«Non aiuteremo le forze dell’ordine e l’AMA a smantellare l’accampamento di fortuna», hanno continuato a ripetere i volontari, mentre sotto i litro occhi si preparava lo sgombero. «Non smonteremo le tende donate dai cittadini, già riparo insufficiente alle violente precipitazioni di questi giorni. Resisteremo, in modo pacifico ma fermo. Dalla parte giusta».

Intanto, più di cento migranti in transito dalla Capitale, restano per le strade di Roma, in cerca di riparo dalla pioggia battente di queste ore. Buonanotte Italia.

(Ne scrive Left, qui)

Beppe Sala e Letizia Moratti a cena con Renzi per finanziare il sì

A proposito di cattive compagnie e della differenza tra il “votare come” e il “governare con”:

Cena privata con interlocutori sceltissimi, a capotavola il presidente del Consiglio Matteo Renzi: i convitati hanno sborsato fino a 30mila euro a testa per partecipare e conversare con il premier a casa di Francesco Micheli, uomo di finanza e di cultura. Sabrina Cottone ricostruisce per Il Giornale come intorno al tavolo, tra gli altri, fossero seduti il noto commercialista Roberto Spada, molto vicino a Stefano Parisi in campagna elettorale. E poi Davide Campari e Luca Garavoglia, Paolo Basilico, gestore del gruppo finanziario Kairos. E ancora Ernesto Pellegrini, l’ex presidente dell’Inter adesso attivo nel catering sociale con il ristorante Ruben per i senzatetto.

La coppia brilliant è Letizia Moratti con il consorte Gianmarco. La garbata Letizia ha scambiato molte carinerie con il premier, che le ha fatto i complimenti non solo per Expo ma anche per Porta Nuova. Sorrisi anche con il successore Giuseppe Sala, anche lui ospite della tavolata, e d’altra parte il sindaco era capo di Gabinetto quando la sciura Moratti era a Palazzo Marino.

L’idea alla base della serata era presentare persone importanti ma sconosciute a Renzi piuttosto che farlo trovare di fronte ai soliti noti.

Al posto delle critiche costruttive ha ricevuto qualcosa di altrettanto utile quando si tratta di far politica: cospicui finanziamenti.  Possono sembrare somme enormi e lo sono. Un po’ meno se si pensa al parterre di ospiti scelti per gustare il risotto con borlotti e verdure, principe del menù, e la conversazione a base di politica estera, molte elezioni americani e tante critiche all’Europa cattiva con l’Italia. Volano parole come «rovesciare il tavolo» dell’Ue, «non sopportarne più le angherie economiche».

 

(fonte)

Nel merito. Nadia Urbinati: «Ecco come la propaganda per il referendum fa leva sulla paura»

In una “Lettera aperta ai coordinatori dei circoli del Pd” del 13 ottobre scorso, i Democratici per il No argomentavano il loro dissenso con la dirigenza del loro partito affidandosi al “Manifesto dei valori del partito democratico” approvato il 16 febbraio 2008 (firmato tra gli altri, da Alfredo Reichlin, Giorgio Ruffolo, Pierluigi Castagnetti, Piero Terracina, Paola Gaiotti de Biase).

Questa l’idea centrale del Manifesto: “la sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difendere la stabilità, a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza”.

Parole che non hanno bisogno di commento e che ci convincono senza troppi giri di parole a votare No (anche se alcuni dei firmatari oggi sono schierati con il Sì). Ma più interessanti, e inquietanti, sono le parole con le quali la “Lettera aperta” si chiude: “Queste parole basterebbero per dare un giudizio sul metodo scelto per arrivare a una modifica così importante della Costituzione. Ma queste parole dovrebbero soprattutto servire a convincere della bontà, nelle settimane che ci separano dal voto, di favorire nei circoli che voi coordinate confronti tra le ragioni del Sì e le ragioni del No: del confronto tra le diverse posizioni e delle idee, in particolar modo sui temi costituzionali, non si deve e non si può avere paura.”

Sono molte le riflessioni che questa “Lettera aperta” suscita, anche in chi come la sottoscritta ha per anni sentito di appartenere idealmente a una formazione politica di sinistra, di condividere le ragioni del riformismo e della giustizia civile e sociale, di pensare che la cittadinanza democratica abbia nel voto un momento importantissimo benché non il solo. Quella che vorrei qui proporre è una riflessione centrata sulla lealtà al Partito – ovvero sul problema della scelta morale: fino a che punto il dovere di lealtà può imporsi al dovere di seguire con onestà la propria coscienza.

Ovviamente se un partito chiede di perseguire o sostenere atti illeciti il problema non si pone perché in questo caso la lealtà sarebbe omertà, propria dei gruppi criminali. Il problema si pone quando si tratta di opinioni, e di divergenze relative alle opinioni su questioni importanti. Quali?

Ora, se la divergenza riguarda l’interpretazione della dottrina politica che il partito abbraccia, allora il dissenso incontra un legittimo dubbio: se infatti una persona decide di iscriversi a un partito è perché ne accetta l’ideologia, per questo essere in dissenso significa far cadere la ragione stessa della propria adesione. In questo caso l’opposto della lealtà sarebbe l’uscita dal partito.

Altrettanto può dirsi della violazione dello statuto del partito – un atto che dà alla dirigenza del partito l’autorevole legittimità di intervenire. È vero che partiti dottrinari non ce ne sono più, e che gli stessi statuti sono (quello del PD in particolare) improntati al pluralismo: questo li rende molto meno severi nella richiesta di disciplina di partito.

Anche per questa ragione, la “Lettera aperta” sopra riportata è inquietante, perché dimostra che la richiesta di fedeltà agli iscritti del Pd sia più forte ora di quando c’era un partito fortemente ideologico come il PCI. Più forte, e soprattutto, con un’ombra di paura di emarginazione che traspare dalla chiusa della lettera laddove si invita a “non aver paura” a disobbedire al partito trattandosi di Costituzione.

Il dissenso sulla revisione della Costituzione è non solo legittimo ma sacrosanto, poiché la fedeltà alla Costituzione viene prima nella gerarchia delle fedeltà politiche di un cittadino democratico. E se un partito chiede la fedeltà al di sopra della Costituzione o lascia credere che la fedeltà al partito sia più importante, allora c’è da essere davvero preoccupati perché sembrerebbe che il bene perseguito con questa revisione non sia prima di tutto quello del paese e della sua democrazia, ma quello del partito che la vuole a ogni costo. La vittoria del partito viene prima e sopra tutto.

L’appello ai Democratici del No a “non aver paura” è un argomento fortissimo per stare dalla loro parte e votare NO. Il NO salva loro dalla “paura” di disobbedire e salva tutti gli Italiani da una riforma imposta non solo a colpi di maggioranze variabili in Parlamento, ma poi con il ricatto, anzi con vari ricatti a tutti noi: da quello ormai classico per cui se vincesse il NO l’Italia piomberebbe in una crisi al buio dagli esiti incerti (e perché mai, visto che le costituzioni contengono le procedure per risolvere crisi di governo?), a quello più recente per cui se vincesse il NO l’Italia si troverebbe ad affrontare una crisi peggiore della Gran Bretagna con Brexit.

La propaganda fa il proprio lavoro, e per vincere fa leva sulle passioni negative come la paura. Chi non vuole questa riforma fa leva sulle passioni positive e respinge al mittente il peso della paura.

(Nadia Urbinati, Presidente di Libertà e Giustizia)

L’Huffington Post, 3 novembre 2016

Quanto ci costano (in soldi pubblici) gli anatemi di Radio Maria (e Radio Padania)

Ne scrive Repubblica qui:

Ebbene, proprio lo Stato che secondo padre Cavalcoli avrebbe scatenato “il castigo di Dio” è il finanziatore numero uno di Radio Maria. Di più: l’emittente religiosa è in cima alla lista delle radio che ricevono ogni anno un contributo pubblico. Negli ultimi tre anni di cui si conoscono le cifre, ha incassato 779 mila euro per il 2011, 730 mila per il 2012 e 581 mila per il 2013: due milioni e 90 mila euro nel triennio. Per svolgere un servizio pubblico? No, a titolo di “mero sostegno”, in base a una legge di 18 anni fa varata per sostenere le emittenti locali che però le assicura un canale privilegiato. […]

Ma perché questa emittente che lancia anatemi contro le istituzioni gode di un trattamento privilegiato nella distribuzione delle sovvenzioni pubbliche? La risposta è in un codicillo contenuto nella legge 448 del 1998 – al comma numero 190 dell’articolo 4, precisamente – che assegna il 10% dei contributi destinati alle radio locali alle “emittenti nazionali comunitarie”, e quel “comunitarie” non c’entra nulla con l’Unione Europea ma serve a distinguerle da tutte le altre che hanno fini di lucro. Ora, le “emittenti nazionali comunitarie” sono solo due, nel nostro Paese.

La prima è Radio Maria. La seconda è Radio Padania, la radio di Matteo Salvini, che riceve esattamente le stesse somme dell’altra. Eppure la severa relazione che la Corte dei Conti ha stilato alla fine del 2015 sulla distribuzione di questi aiuti a pioggia segnala che l’emittente leghista non solo riceve anche i contributi della Presidenza del Consiglio per le testate gestite da cooperative, ma a voler interpretare la legge alla lettera non può neanche essere considerata “nazionale”, visto che trasmette solo in nove regioni, e sulle altre arriva solo un segnale digitale Dab, captabile solo da pochissimi apparati.

Così Pavia s’è fatta nera

È piuttosto disordinato ultimamente questo ordine pubblico in un Paese in cui un presunto partito di sinistra fa cose di destra, dei quasi cinquantenni si atteggiano a giovani e la libertà di manifestare dipende dal tenesmo di un questore o di un potere.

Sabato sera Pavia è stata blindata per una manifestazione. Ce ne siamo accorti poco perché accadeva altro a Firenze dove la passerella del potere ha avuto gioco facile per inscenare il solito teatrino dei buoni contro i cattivi ma a Pavia un quartiere intero è diventato zona rossa.

Perché? Perché i fascisti hanno pensato bene di organizzare un corteo per ricordare un militante ucciso (dicono loro, scivolato in motorino dice la verità giudiziaria) negli anni settanta e la Questura e la Prefettura hanno pensato bene di accordare il permesso e allo stesso tempo negarlo al presidio antifascista. Attenzione: per tutti quelli che sono già lì lì a urlare dei “violenti incappucciati” è utile sapere che l’ANPI locale era tra gli organizzatori. E l’ANPI è un’accolita di vecchietti fuori dal mondo, ricordate?

L’ANPI ha invitato alla disobbedienza civile e il corteo antifascista si è tenuto fuori dalla “zona rossa” dove intanto pascolavano invece camerati che intonavano canti e mostravano il braccio teso (l’apologia di fascismo ormai è il reato più patetico del west, tra l’altro). Ah, con gli antifascisti e l’ANPI c’erano il sindaco di Pavia e alcuni consiglieri comunale, per dire.

Quindi? Indovinate chi le ha prese? Testa spaccata per Paolo, un attempato signore, scienziato di laboratorio, padre di due figli, iscritto storico all’associazione dei partigiani. Non oso immaginare cosa stesse facendo di così terribilmente pericoloso per allarmare il qualche poliziotto dal manganello facile. Poi altri contusi. Anziani. Bambini.

(il mio buongiorno per Left continua qui)