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Erri De Luca: «i politici non si appropino di Gesù: lui fuggiva dal potere per cui loro si dannano»

(Intervista di Nicola Mirenzi per Huffington Post)

In principio, è una contraddizione: “Cristo è incompatibile coi poteri del mondo, con le ricchezze accumulate, con i privilegi”. Eppure, la celebrazione della sua nascita non procura scuotimenti. È un rito pacificato, assorbito dalla routine delle luci, degli alberi addobbati, delle offerte luccicanti di comete in vetrina: “Dall’imperatore Costantino in poi – racconta Erri De Luca all’Huffington Post – i poteri hanno liberamente interpretato il Cristo, censurando gli aspetti sconvenienti ai loro interessi. Lui non voleva il potere fasullo di un’ora di supremazia, di primato sugli altri, di acclamazione a furor di popolo. Non voleva quel potere per il quale si dannano i politici e i potenti di ogni età”.
Scrittore, laico, ex militante della sinistra estrema, studioso dei libri sacri: Erri De Luca non festeggia il Natale da vari anni, “da quando è morta mia madre”, dice, perché per lui è una “festa collegata alla sua presenza”.

Sente, anche da laico, lo scandalo dell’apparizione di Cristo nel mondo?
È rimasto lo stesso scandalo di prima: l’incarnazione di una divinità che attraversa tutti gli stadi dell’esperienza fisica, dalla nascita alla morte. Non scandalo, ma esempio resta la sua condotta processuale di fronte al tribunale romano. Non rinnega, né sfuma le sue convinzioni e la sua missione. È condannato per questo. Un oscuro prefetto di Roma, tale Ponzio Pilato, suicida sotto l’imperatore Caligola, è diventato indegnamente celebre per aver presieduto al dibattimento.

Chi è Gesù Cristo per lei?
Nella mia gioventù politica si prendeva in considerazione Che Guevara, simbolo di un’epoca che aveva smesso di offrire l’altra guancia all’offesa. Beati gli ultimi, la più politica frase di Cristo, andava praticata nel nostro tempo, non era rinviabile. Gli ultimi dovevano essere beati subito. Ho conosciuto in quel tempo qualche realizzazione del genere.

Cristo non aveva nulla da suggerire alla vostra contestazione?
In Gerusalemme, in quella Pasqua della sua cattura, aveva in pugno un popolo che lo acclamò al suo ingresso sulla cavalcatura regale e lo seguì nel Tempio a sgomberare i mercanti. Ma lui non volle essere capo di una rivolta contro l’occupazione militare straniera. Aveva una missione che doveva compiersi sul patibolo romano. La mia gioventù politica preferiva i combattenti.

Ma Cristo diceva: “Sono venuto a portare non pace, ma spada” (Matteo 10,34). Era un combattente.
Rinunciò a scatenare una rivolta in più in quella terra che oppose il più ostinato contrasto all’impero romano. Per secoli il monoteismo ebraico si è scontrato in armi con il politeismo di Roma, con la pretesa di divinità del suo imperatore. Di croci a migliaia erano state riempite le alture e le valli, con i corpi degli oppositori, perseguitati per la loro resistenza. Cristo voleva rinnovare le radici della fede nel Dio unico e solo. Era un messaggio interamente ebraico, incomprensibile ai romani. Non si rivolgeva al loro potere. Pretendeva di ignorarlo.

L’idea di amarsi gli uni gli altri è inconciliabile con la nuova ragione del mondo, quella di competere gli uni contro gli altri?
Amare il proprio vicino è un precetto che risale al Levitico, Libro Terzo dell’Antico Testamento. Cristo lo interpreta approfondendo la fraternità fino al sacrificio, perché amare è un’esperienza sovversiva, procura insurrezione interna in chi lo prova. Competere invece dura poco, il concorrente finisce presto fuori concorso. Cristo è incompatibile coi poteri del mondo. Date a Cesare quello che è di Cesare: dategli la tassa che esige, la moneta con il suo profilo inciso, perché è tutto quello che gli spetta, un pezzo di metallo che presto avrà un modesto valore numismatico.

Se non nell’al di là, che paradiso si può promettere in terra?
La terra, il pianeta, è un prodigio del sole, un posto di meraviglie impossibili da enumerare. La nostra presenza di recente lo va degradando a Purgatorio, con reparti di Inferno. Siamo contemporanei delle più intense e assortite intossicazioni sconosciute, diffuse dal sistema di sviluppo, che gode per questa nobile funzione di piena impunità. Prima di questo avvento moderno, la terra era il Paradiso della vita animale e vegetale. Dove altro cercarlo? Ancora qui, ancora adesso, e in nessun aldilà.

Non si rischia di ridurne l’alterità e il contrasto avvicinandolo troppo a noi?
La spada alla quale si riferiva prima, citando Matteo, non è la guerra, quella c’era già e non servivano supplementi. Leggo invece l’estrazione di una spada simbolica, che assegna i meriti e pareggia i torti, la spada di un’autorità morale che produca conversioni e ravvedimenti. Da questo punto di vista Papa Francesco è la spada sguainata di una chiesa nuova.

Francesco è andato a Lampedusa, dove arrivano i migranti, predicando di stare dalla loro parte. Molti italiani impoveriti, però, si riconoscono nelle parole: “Prima noi”.
Prima veniamo noi è un ragionamento che proclama l’evidenza: ovvio che prima vengono i residenti, i nativi, infatti sono loro i primi che possono andare a raccogliere il pomodoro, assistere agli anziani, tenere piccoli esercizi commerciali aperti ventiquattr’ore. Dopo di che, in loro assenza, rifiuto, rinuncia, arriva la supplenza dei secondi. Si tratta di supplenti, non di usurpatori di posti. Non è razzismo dire: “Prima noi”. È accanimento su qualunque soggetto più debole, in condizione di inferiorità. Il razzismo è ripudio di razza anche se fornita di censo. Da noi invece l’emigrato arabo è sospetto, l’emirato arabo è invece riverito nel più servile dei modi.

La sinistra – dalla cui storia lei viene – potrebbe imparare qualcosa da Cristo?
Vanno in Chiesa la domenica, mi sembra, gli ultimi capi di governo a guida PD. Quello che serve alla sinistra è dare sostanza di azione alla trinità laica espressa dalla Rivoluzione Francese: libertà, uguaglianza, fraternità. Su questo si misura o abdica una forza progressista.

C’è qualcosa anche da dis-imparare da Cristo e dal cristianesimo?
Ognuno ha imparato da Cristo, senza riuscire a ripetere la lezione, scordandola, balbettandola, contraddicendola nel momento della verifica. Proveniamo da una lunga tradizione che porta il suo nome e che ha dovuto molte volte scusarsi di averlo nominato invano. Io disimparo per inadeguatezza, per disattenzione, per un mucchio di deficit, che in latino vuol dire ciò che manca. Resto un lettore di storie sacre, perché quei libri hanno innalzato la forza della parola a strumento di creazione. “E disse”: è il verbo più frequente della divinità dell’Antico Testamento. La parola è l’azione più significativa della vita di Cristo.

Camorra: Donato Pagliuca si pente e racconta i rapporti su Mondragone

Donato Pagliuca

Si è pentito Donato Pagliuca. In effetti la sua decisione di collaborare con i magistrati della Dda emerge dall’ultimo fermo di pg, eseguito dai carabinieri della Compagnia di Mondragone, al comando del capitano Lorenzo Chiaretti, a carico di Antonio Razza, Vittorio Vitale e Giovanni Pellegrino.

E’ la prima volta che le sue esternazioni sono alla base di un provvedimento giudiziario i cui destinatari sono gli estorsori del clan di Mondragone. Nel contempo abbiamo appreso che già con l’ordinanza in danno dei 52 appartenenti e fiancheggiatori della nuova cosca zonale, emessa nel maggio scorso, la Dda ha depositato in un secondo momento le dichiarazioni del neo pentito Donato Pagliuca.

Qui in calce pubblichiamo le esternazioni del pentito rese nell’aprile scorso, che hanno consentito agli inquirenti di determinare il ruolo di Antonio Razza e di Vittorio Vitale sul fronte della gestione dei proventi delle estorsioni agli imprenditori delle slot machine.

Ma c’è di più. Donato Pagliuca chiarisce anche i rapporti con il clan di Sessa Aurunca. Vittorio Vitale, secondo Pagliuca, era il tramite dei Mondragonesi con i Sessani. “Se sussistevano problemi sarebbe stato lui a chiedere l’intervento per delle azioni armate”.

(fonte)

Auguri Possibili

(scritto per i Quaderni di Possibile qui)

Il più bel regalo della mia vita mi è capitato, non me l’ha portato nessuno. O forse me l’hanno portato tutti i casi e le persone della vita che mi hanno educato all’osservazione e alla comprensione. Il più bel regalo che mi sia capitato è stato il bullone per stringere la voglia di cambiare: succede senza avvertimenti, in un momento in cui ti scrolli di dosso il cemento della convinzione che non ci siano alternative e che la porta dell’ufficio dei cambiamenti sia chiusa a orario continuato, accessibile solo a una squadra in cui non si può essere arruolati. Quando mi è salita la sensazione di poter partecipare poi non ho più potuto farne a meno.

Non so se capita anche a voi, ma io sono cresciuto con la perdurante sensazione che mi volessero convincere che l’annichilmento fosse il modo migliore per stare tranquilli: l’inazione come protezione naturale per la serenità nostra, dei nostri figli, della nostra famiglia e delle nostre posizioni. C’è da dire che i conservatori sono davvero i consulenti più confortevoli che possano capitare e ci si mette anni a capire che quel loro conservare non si riduce al mantenimento dello status quo ma è soprattutto il costante logorio nello smussare le speranze: il menopeggismo del “non c’è alternativa”, una volta inoculato, stordisce meglio di un bicchiere di buon vino, copre più caldo della lana e sclerotizza le voglie. È il bromuro della speranza che ti consiglia di ridurne le dimensioni e così avere la soddisfazione di averla già raggiunta. Il miglior regalo della mia vita è stata la consapevolezza.

Quando da giovanissimo, in un paesello a forma di buco all’ombra della barriera autostradale di Milano sud, dissi di volere fare teatro come mestiere mi dicevano che no, che non era possibile. Quando mi capitò di essere sul palcoscenico con Dario Fo quegli stessi bisbigliatori che mi avevano irriso erano in prima fila a recriminare l’amicizia, applaudendo gaudenti come sorridono i terrorizzati. Quando pensai che il teatro, quel teatro che portavo in scena, dovesse raccontare la mafia che non esisteva tutta intorno mi dissero che però stavo esagerando, che forse era il caso di accontentarsi dei palchi che mi ero guadagnato. Ancora intenti a raccontarmi che non si debba mica cercare; che l’impegno vero consiste nell’accontentarsi nel modo migliore possibile. Tutta una vita rincorso da chi ti dice di fermarti, poi ti irride, poi ti combatte e poi ti raggiunge.

«Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci.» diceva Gandhi, uno che di possibilità se ne intendeva. Ecco, io l’augurio che ci farei, se potessi lasciare qualcosa sotto l’albero, è quello di rimanere vigili, appuntiti e lucidi per non farci acquietare. Ci auguro di trovare sotto l’albero quel bullone lì per sbloccare la sazietà di chi abita un Paese con la disperazione di non poterci mettere mano. E ci auguro di riuscire a regalare politica, che è la cassetta degli attrezzi migliore che si possa avere in casa.

Buon Natale.

(se volete essere dei nostri, noi siamo qui)

Non solo Marra: tutti i politici “omaggiati” da Scarpellini

Ieri, a sette giorni dall’arresto, il gip di Roma aveva scarcerato il costruttore Sergio Scarpellini e oggi leggendo i quotidiani si capisce come il giorno del suo interrogatorio di garanzia la difesa avesse chiesto che l’imprenditore – accusato di corruzione con il capo del personale del Comune di Roma Raffaele Marra. Scarpellini ha elencato i nomi di coloro che hanno ottenuto – come la procura di Roma ipotizza per l’ex vice capo di gabinetto del sindaco Virginia Raggi – case di favore. Nell’elenco compaiono i nomi dell’ex presidente della Camera, Irene Pivetti, l’ex capogruppo del Pd in Comune, Mirko Corattigià coinvolto nell’inchiesta Mafia Capitale, l’ex parlamentare dell’Udc, Luciano Ciocchetti. Del resto che l’inchiesta potesse allargarsi era chiaro sin dal primo giorni dell’arresto per la reale genesi dell’inchiesta (l’intercettazione di un ex boss della banda della Magliana) e per la presenza di numerosi omissis nell’ordine ci cattura. s

Il costruttore “pur cercando di ridimensionare la portata delle sue condotte” avrebbe dunque ammesso non solo la casa di fatto regalata a Marra con un giro di assegni circolari ma fatto la lista di tutti coloro che avrebbero ricevuto la stessa cortesia. “Le motivazioni che lo avevano condotto alle dazioni – scrive il gip nel provvedimento di scarcerazione – e il contesto nel quale si sono realizzate (…)” sono “necessitate dall’esigenza di perseguire i propri interessi imprenditoriali”. Anche per Marra Scarpellini aveva dichiarato di aver agito perché – avendo molte pratiche in Comune – voleva evitare grane. Intanto oggi i legali di Raffaele Marra hanno depositato istanza al  Tribunale del Riesame probabilmente per effettuare una discovery sugli atti in mano agli inquirenti.

Non è escluso che nel corso dell’atto istruttorio, l’imprenditore possa avere fornito anche ulteriori dettagli sul suo rapporto con Marra e i relativi punti di contatto con la macchina amministrativa comunale. Tutte tracce su cui i pm, dopo la pausa dovuta alle festività natalizie, imbastiranno ulteriori approfondimenti. Ed è proprio con l’inizio dell’anno nuovo che i vari filoni avviati in Procura, tra cui quello legato alle nomine fatte dal sindaco Raggi, potrebbero subire nuove accelerazioni. Proprio l’altro giorno la prima cittadina ha affermato di essere “pronta ad andare in Procura” in caso di convocazione. I magistrati potrebbero contestarle il reato di abuso di ufficio in relazione alla nomina di Renato Marra, fratello del suo ex braccio destro, a capo del dipartimento turismo del Comune. Una nomina in “palese conflitto di interessi” secondo l’Anac.

(fonte)

#LaFrattura: come si sono spezzati Sud e Nord

Ne scrive Leonardo Palmisano per i Quaderni di Possibile:

Mai come prima nella storia del secondo novecento il Sud è stato tenuto così distante dal Nord. Una distanza che aumenta anno dopo anno e che ci consegna la fotografia di una Italia ferma a due velocità: un Nord statico e un Sud in dinamica negativa. Lo dice il dato recente sul Pil, che vede il Sud attestarsi sui 17mila euro a testa, il Nord sui 33mila. Un divario di quasi il 50 per cento che tradotto in termini metaforici indica che un bambino meridionale ha la metà delle opportunità economiche di un coetaneo settentrionale.

Questa differenza è aggravata dalla lontananza storica tra i servizi presenti al Nord (i trasporti in testa) e quelli del Sud. Una distanza che nessuna inaugurazione autostradale può compensare, perché quel che manca in Calabria, per restare sul territorio della celebre autostrada, sono le strade per raggiungere gli ospedali, sono i treni per raggiungere gli altri Sud così vicini e così lontani. Quando parliamo di ritardo del Meridione, commettiamo l’errore di pensare a questa porzione d’Italia come a un tutt’uno. La verità è un’altra: noi meridionali siamo dei separati in casa.

(continua qui)

«Forse Giulio poteva essere utile al nostro mondo senza essere un simbolo di tanto dolore».

«La tragica uccisione di Giulio è qualcosa che la nostra mente europea, da un punto di vista cognitivo ed emotivo, non è attrezzata a comprendere. Quindi il dolore è un dolore che deve ancora trovare le parole e le forme per essere espresso. È difficile pronunciare la parola “tortura”, ma questo è stato. Molte madri mi hanno raccontato dei loro lutti ma tutte sono state concordi nel dire “questo è inimmaginabile per madri italiane!” Stiamo parlando di una morte provocata da azioni violente per mano di persone che hanno minato la dignità psicologica e fisica di Giulio: un figlio come tanti cresciuti in Italia. Per riprendere le parole di un’amica, “un nativo democratico”. Forse Giulio poteva essere utile al nostro mondo senza essere un simbolo di tanto dolore».

Sono le parole di Paola Regeni nella sua intervista per D. Un’intervista da leggere. Tutta. È qui.

Su Formigoni, il morigerato

Immodesto. Lo si dice di chi abbia un’alta stima dei propri meriti e scarsa considerazione per i meriti altrui.
(Ambrose Bierce, Dizionario del diavolo, 1911)

Così, di corsa, solo per avvisarvi che sul buon Formigoni ne ho scritto qui per Fanpage con un ricordo quasi personale e qui nel mio buongiorno per Left di oggi. Così, se vi va di passare.

 

Finalmente nominato il commissaro straordinario antiracket e antiusura

L’avevamo chiesto, avevamo preparato un’interrogazione (trovate tutto qui) e ora finalmente la situazione si è sbloccata:

Il Consiglio dei ministri ha deliberato:

1.su proposta del Presidente Paolo Gentiloni,

-nomina del prefetto dott. Domenico CUTTAIA a Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket ed antiusura, a norma dell’articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n.400;

Ah, tra le le altre cose il figlio di Poletti copia gli articoli degli altri. Anche.

(ne scrive Claudio Paudice per Huffington Post):

Parole che però suonano come già sentite. Perché identiche a quelle usate dall’ex direttore di Repubblica Ezio Mauro nel suo articolo del 16 dicembre 2008 sulla morte dell’imprenditore Carlo Caracciolo, fondatore della Società Editoriale La Repubblica che ha dato il via alle pubblicazioni del quotidiano di Largo Fochetti. Scriveva Ezio Mauro:

Perché (Carlo Caracciolo, ndr) conosceva […] quella chimica arcana con cui il giornale dà quotidianamente forma a se stesso, dal primo abbozzo del mattino all’urto pieno e aperto con i fatti, infine al momento in cui gli avvenimenti esterni e la cultura interna si fondono in una selezione, creano una gerarchia, diventano un disegno, formano un’idea: e danno vita non a un fascio di notizie stampate, ma ad una ricostruzione organizzata e a una reinterpretazione appassionata della giornata che abbiamo attraversato, della fase che stiamo vivendo.

ezio mauro

Nel suo articolo Manuel Poletti copia l’intero passaggio, riferendolo non a Caracciolo (morto il mese prima) ma alla sua nuova esperienza editoriale. E infatti l’unica differenza sta in “giornata” che nell’editoriale del figlio dell’attuale ministro del Lavoro si trasforma in “settimana” (dal momento che si tratta di un settimanale).

poletti

È solo uno dei casi che avrebbero fatto guadagnare, secondo chi ha avuto modo di lavorare con lui, la fama di “Mr Copia e Incolla” a Manuel Poletti, figlio del ministro finito nell’occhio del ciclone per le sue frasi su quei giovani andati all’estero alla ricerca di opportunità che a volte “è meglio togliersi dai piedi” . Frase poi definita “infelice” dallo stesso ministro che si è scusato per aver usato quell’espressione.

Poletti jr, prima di diventare direttore dei settimanali delle Coop, ha fatto la “gavetta” come tanti altri giornalisti. Nel 2004 era in forze alla redazione di Bologna dell’Unità. Il 22 ottobre di quell’anno al suo caporedattore arrivò una lettera (di cui l’Huffington Post è in possesso) in cui veniva segnalato un plagio a firma Manuel Poletti. La segnalazione era stata inviata da un giornalista di un settimanale locale e denunciava un copia e incolla pressoché integrale di un suo articolo pubblicato il 16 ottobre 2004 e apparso quasi identico su L’Unità tre giorni dopo, il 19 ottobre. Non solo: veniva fatto notare come lo spiacevole inconveniente si fosse ripetuto più volte in passato.

È accaduto a Massimiliano Boschi, per esempio. Anche lui, giornalista nel 2004 per il settimanale legato al mondo rosso delle coop Sabato Sera, ha pubblicato un articolo il 14 febbraio 2004 quasi integralmente “ricopiato” su L’Unità di Bologna quattro giorni dopo, il 18 febbraio. E anche questo portava la firma di Manuel Poletti. Contattato dall’Huffington Post, Boschi ha confermato la paternità dell’articolo e i “copia e incolla” operati dal figlio dell’attuale ministro.

Nel 2009 Manuel Poletti è diventato direttore del nuovo SetteSere, nato dalla fusione con Sabato Sera Bassa Romagna che pure aveva guidato fino a quel giorno. La decisione dell’editore, la cooperativa Bacchilega, di designare il figlio dell’attuale ministro e all’epoca presidente nazionale di LegaCoop, indusse una decina di giornalisti a fare armi e bagagli e a lasciare il settimanale nel quale avevano lavorato molti anni.

Andarono via dal giornale il direttore, quattro caporedattori e diversi collaboratori, sbattendo la porta. Nella lettera di commiato ai lettori scrissero:

“La fusione è stata decisa senza neppure presentare un progetto editoriale e un piano di fattibilità economica, forzando il voto dell’assemblea dei soci con tempi, modalità e scenari propri più di un blitz che non di una discussione serena. È stata una decisione presa rifiutando a priori, e spesso irridendo, qualsiasi tentativo della redazione faentina di formulare eventuali controproposte che salvaguardassero la qualità e la territorialità del giornale”.

(continua qui)

Le aziende criminali (e mafiosi) del nord Italia. E il silenzio.

Insisterò, scriverò, scriverò, scriverò finché non diventerà qualcosa di più di un’urgenza circolare ma sarà finalmente una priorità politica, sociale. Una priorità. Ecco il bell’articolo de il Bo:

Mafie sempre più aggressive nel campo economico e finanziario, che si appoggiano ai loro enormi fondi per falsare il mercato a danno soprattutto delle imprese pulite, ma anche per attrarre fondi pubblici sottraendoli a chi li meriterebbe. Una criminalità sempre più ‘acculturata’, capace di attrarre le professionalità del mercato per imporre le sue regole alla società civile. Sono i pericoli che emergono dalla ricerca condotta sulle cosiddette ‘aziende criminali’ nel centro-nord Italia da Antonio Parbonetti, docente di economia aziendale presso l’università di Padova, assieme a Michele Fabrizi, assegnista di ricerca, e a Patrizia Malaspina, dottoranda del dipartimento di Scienze economiche e aziendali ‘Marco Fanno’.

Si tratta di uno studio che parte dall’esame di tutte le sentenze emesse nel centro-nord Italia dal 2005 al 2014 per reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, per un totale di 120. Da queste in seguito sono stati recuperati tutti i nomi dei condannati e successivamente si è risaliti alle aziende e ai loro bilanci, tramite le banche dati delle camere di commercio. Un lavoro lungo, che ha comportato l’esame di migliaia di pagine di documenti.

In seguito i ricercatori padovani hanno esaminato i bilanci delle aziende identificate in questo modo per un totale di 1.139: al primo posto per concentrazione di imprese criminali al nord è risultata la Lombardia con 425 (il 37,38% del campione esaminato), seguita dal Triveneto con 187 (16,45%) a dalla Liguria con 74 (6,51%). Impressionanti alcuni dati, a partire dal fatto che circa un quarto delle 1.567 persone condannate per mafia in primo grado di giudizio o successivo sarebbero azionisti o amministratori di società di capitali (Spa o Srl). Un numero alto, che denota quasi un mutamento genetico di una criminalità sempre più padrona degli strumenti economici e finanziari. “Allo stesso tempo ci ha stupito che queste aziende abbiano un ricavo medio di oltre 13 milioni, molto al di sopra della media – spiega al Bo Antonio Parbonetti –. Non si tratta quindi solo di piccole realtà nel campo dell’edilizia ma di aziende abbastanza grandi, che si occupano anche di industria e di servizi e sono praticamente diffuse in tutti i settori”.

Una criminalità che dimostra anche una forte capacità di internazionalizzazione (la ‘ndrangheta e la camorra ad esempio hanno creato veri e propri network internazionali) con un’espansione che privilegia aree economicamente sviluppate e caratterizzate da buone condizioni istituzionali. Diverse le tipologie di imprese esaminate, che rispondono a differenti esigenze dell’organizzazione criminale. Le aziende di supporto ad esempio hanno spesso ricavi pari a zero e molti costi per servizi, mentre le cosiddette ‘cartiere’ (in gergo quelle che si occupano di riciclaggio) sono quelle più facilmente individuabili tramite un’indagine statistica, dato che sono caratterizzate da un andamento sincrono di costi e ricavi, dalla dimensione medio-piccola e da ricavi molto volatili. Ci sono poi le ‘aziende star’, le più grandi, che mostrano buone performance ma sono anche le più indebitate: si tratta di aziende ben visibili che servirebbero per infiltrare la longa manus criminale all’interno del sistema socio-politico.

La ricerca getta una luce su un fenomeno tristemente rilevante per la nostra società, ma finora poco studiato: “Adesso per la prima volta abbiamo un’analisi micro molto dettagliata, condotta sulle aziende in quanto tali e sui loro bilanci. Numeri veri insomma e non stime”. Ma non si tratterà solo della classica punta dell’iceberg? “Certamente la realtà dei rapporti tra criminalità ed economia è molto complessa, esiste una serie di piccole aziende, società di persone, terreni e patrimoni che per il momento non abbiamo potuto esaminare – riprende Parbonetti –. In questo studio abbiamo deciso di concentrare l’attenzione sulle società di capitali, che sono comunque quelle economicamente più significative”.

Cosa fare concretamente per contrastare il fenomeno? “Innanzitutto stiamo cercando di capire se è possibile identificare dai bilanci le connessioni con la criminalità almeno in via probabilistica. Ciò che in sostanza differenzia le aziende criminali si può sintetizzare in pochi evidenti parametri: ricavi quasi sempre pari a zero, il peso dei crediti verso i soci e l’andamento sincrono di ricavi e costi operativi”. C’è un rischio reale di infiltrazione della malavita, in particolare nel Nordest? “Nella misura in cui il sistema non sia preparato a capire la portata della sfida che ha davanti. Il centro-nord per molti versi è culturalmente estraneo al fenomeno delle mafie, che non è nato qui, quindi la società ha difficoltà a riconoscerlo nelle sue dimensioni e nella sua effettiva pericolosità. I pericoli di infiltrazione arrivano soprattutto da qui”.