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direzione distrettuale antimafia

Chi votava il clan Di Silvio?

Una sentenza della Corte d’Appello di Roma conferma che il clan Di Silvio, che quattro anni fa si occupò della campagna elettorale a Latina e a Terracina, è un clan mafioso

C’è una sentenza che è sparita dai giornali e dai telegiornali ma è piuttosto interessante: l’altro ieri la Corte d’Appello di Roma ha confermato ciò che disse la Direzione distrettuale antimafia romana e ciò che scrisse a Roma lo scorso anno la giudice per l’udienza preliminare Annalisa Marzano: il clan Di Silvio, che quattro anni fa si occupò della campagna elettorale a Latina e a Terracina è un clan mafioso. La Squadra Mobile arrestò 25 persone tra esponenti di primo piano e picciotti del clan e nove imputati, tra cui tre figli del presunto boss Armando Di Silvio, hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato: 74 anni di carcere in primo grado, ridotti a 50 in appello.

Ma qui viene il bello: nell’inchiesta “Alba Pontina” sono state descritte attività di estorsioni, prestiti usurai, intestazioni fittizie di beni, traffici di droga ed episodi di corruzione elettorale e proprio tra gli episodi di corruzione elettorale si legge che il cosiddetto clan dei Di Silvio di Campo Boario, avrebbe fatto affari nelle campagne elettorali, con l’attacchinaggio di manifesti per la Lega e comprando anche voti.

Chi hanno votato?

Secondo la sentenza di primo grado Latina è una città “strategica negli affari illeciti”, dove la collettività sarebbe “assoggettata all’egemonia dell’associazione che è indubbiamente di tipo mafioso”, e l’associazione mafiosa sarebbe stata “capace di controllare il territorio anche influenzando il voto della comunità locale”, con “una straordinaria forza intimidatrice, che ha assoggettato intere categorie di professionisti e di imprenditori locali”.

Ora Salvini è impegnato a fare la vittima sacrificale per il suo prossimo processo, quello in cui si illude di avere difeso “la Patria” non si capisce bene da chi, ma la domanda al leader leghista è una e semplice: per chi votavano i Di Silvio? E che ne dice? Siamo curiosi.

Buon martedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Gotha 5, operazione antimafia a Barcellona Pozzo di Gotto: i nomi, le facce.

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Dalle prime ore di oggi, in diverse località della provincia di Messina, i Carabinieri del R.O.S., della Compagnia Carabinieri di Barcellona Pozzo di Gotto ed i poliziotti del Commissariato P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto e della Squadra Mobile di Messina, stanno svolgendo una vasta operazione antimafia, coordinata dalla D.D.A. di Messina dando esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Messina Dr.ssa Maria Luisa Materia, su richiesta della medesima Direzione Distrettuale Antimafia (il Procuratore Lo Forte ed i Sostituti Cavallo e Di Giorgio).

L’operazione ha portato all’arresto di 22 soggetti per associazione mafiosa, estorsioni, rapine, porto abusivo di armi ed altri reati contro la persona e il patrimonio. Altre 5 persone sono state indagate e denunciate in stato di libertà per gli stessi reati.

I provvedimenti scaturiscono da una complessa attività investigativa, avviata nel 2013, sul conto del sodalizio mafioso riconducibile a CosaNostra siciliana denominato “dei barcellonesi”, operante sul versante tirrenico della Provincia di Messina e della sua storica diramazione territoriale cd. “dei mazzarroti”.

L’operazione antimafia, che si pone in linea di continuità con le precedenti, è stata denominata “GOTHA V”, proprio perché ha individuato e colpito i nuovi assetti del sodalizio criminale, già duramente provato dagli esiti dell’operazione “GOTHA IV”.

Le indagini, che hanno avuto inizio dalle dichiarazioni di ARTINOSalvatore (figlio di Ignazio, già esponente di primo piano e rappresentante dei mazzarroti, ucciso in agguato di mafia il 12.04.2011), che ha avviato la sua collaborazione con la giustizia dopo essere stato arrestato nel luglio del 2013 nell’ambito di “GHOTA IV”, hanno visto il contributo offerto dalle persone offese dei reati ed hanno trovato significativi riscontri nelle risultanze delle articolate attività di intercettazione.

Le dichiarazioni di ARTINOSalvatore raccolte dai Carabinieri del ROS e dalla Polizia di Stato hanno contribuito a far luce sull’evoluzione della consorteria mafiosa barcellonese e della sua articolazione dei “mazzarroti”, monitorata recentemente dagli inquirenti grazie anche all’apporto di altri collaboratori quali BISOGNANO Carmelo, CAMPISI Salvatore e GULLO Santo, che hanno fornito, accanto agli esiti delle indagini nel frattempo riaperte, ulteriori preziosi elementi di riscontro.

Ne è scaturito un panorama puntuale della nuova composizione del sodalizio mafioso, operativo nell’hinterland barcellonese, comprensivo dei consociati subentrati nei vari ruoli – secondo il collaudato meccanismo mafioso del “rimpiazzo” –  ai referenti mafiosi arrestati nelle operazioni antimafia che si sono succedute negli ultimi anni, nonché uno spaccato dell’attività pervasiva di controllo del territorio.

In tale contesto sono stati individuati i responsabili di diverse estorsioni, nonché gli esecutori materiali di alcuni fatti di sangue del recente passato, come la rapina ai danni di un supermercato di Campogrande di Tripi verificatasi nel dicembre 2012, conclusasi tragicamente con la gambizzazione di un cliente che aveva opposto resistenza.

Le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Barcellona Pozzo di Gotto hanno delineato la nuova mappatura criminale del sodalizio mafioso barcellonese, caratterizzata dalla presenza di giovani consociati che sono riusciti ad acquisire, nonostante l’età, un ruolo di assoluto valore criminale. Il nuovo gruppo ha posto in essere diverse attività criminali quali estorsioni e spaccio di sostanze stupefacenti, portate a compimento con modalità tipicamente mafiose e definite dal GIP: “odiosi sistemi invalsi negli ambienti mafiosi”. I giovani quanto spregiudicati esponenti di tale gruppo hanno raccolto l’eredità dei consociati ormai detenuti e facendo leva sui legami familiari con gli stessi, hanno intrapreso autonome attività delinquenziali. È il caso di ALESCI Alessio o del nipote OFRIA Giuseppe, figlio di OFRIASalvatore e nipote di DISALVOSalvatore (detto Sem), considerati ai vertici della famiglia mafiosa barcellonese già tratti in arresto nell’ambito dell’operazione “GOTHA” nel giugno 2011. Oltre allo spaccio di sostanze stupefacenti, il gruppo ha sviluppato il proprio controllo del territorio soprattutto attraverso attività estorsive, in particolare nei confronti dei locali notturni e delle discoteche di Milazzo. In questo settore le indagini hanno evidenziato come gli indagati, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dalla propria appartenenza al sodalizio abbiano ottenuto sistematicamente l’accesso ai locali e le consumazioni all’interno in modo gratuito, con modalità violente e prevaricatrici ed abbiano imposto, altresì, l’assunzione di alcuni componenti del sodalizio quali responsabili della sicurezza, secondo il più classico dei paradigmi mafiosi.

Le modalità violente delle estorsioni contestate hanno ben delineato le capacità criminali del gruppo, come nel caso della scomparsa di una partita di droga che era stata consegnata a un minore incensurato per detenerla presso la sua abitazione; alcuni componenti del sodalizio, dopo aver fatto irruzione nell’abitazione del ragazzo e averla perquisita, non hanno esitato a picchiarlo violentemente, anche alla presenza della madre, ed a sottrargli un ciclomotore a titolo estorsivo.

L’attività del Commissariato di P.S. di Barcellona Pozzo di Gotto ha parallelamente disvelato il nuovo assetto operativo dell’agguerrita frangia dei “Mazzarroti”, un tempo retta dall’odierno collaboratore BISOGNANO Carmelo e poi da CALABRESE Tindaro attualmente detenuto in regime di “carcere duro”, nonchè i rapporti di stretta alleanza con CosaNostra barcellonese.

In particolare, gli elementi acquisiti soprattutto attraverso le attività di intercettazione, hanno consentito di accertare l’attuale impegno della cosca dei “Mazzaroti” per garantire continuità all’azione del gruppo nel settore delle estorsioni alle quali sono state sottoposte, da parte di TORRE Sebastiano, CAMMISA Giuseppe e SALVO Orazio, diverse attività imprenditoriali e commerciali del comprensorio, vittime del forte potere intimidatorio degli affiliati. I proventi estorsivi, acquisiti “con violenza e minaccia” nelle “tradizionali” rate di Natale, Pasqua e Ferragosto, garantivano il sostentamento dell’associazione mafiosa ed in questo contesto sono state accertate consegne di denaro ad ITALIANO Salvatore, in atto sottoposto agli arresti domiciliari a seguito della sua cattura nel luglio del 2013 nell’ambito dell’operazione antimafia “GOTHA IV”.

E’ inoltre emersa in tutta evidenza la pericolosità del gruppo che ha dimostrato di poter disporre di numerose armi, anche di elevato potenziale (Kalashnikov), che è pronto ad utilizzare per garantirsi il controllo delle attività criminali nel territorio di Mazzarrà S. Andrea e dei comuni limitrofi, per mezzo di cruente spedizioni punitive in danno di coloro i quali non intendono sottostare alle strategie dell’organizzazione. In una di queste occasioni soltanto il provvidenziale passaggio di una pattuglia del Commissariato di Barcellona P.G. evitava il peggio ad altra vittima designata impedendo agli affiliati (TORRE Sebastiano, PINO Giovanni e CAMMISA Giuseppe) armati ed in appostamento, di portare a termine l’agguato.

In questo contesto si inseriscono pestaggi, minacce a mano armata ed “interrogatori” di soggetti rei di aver commesso reati contro il patrimonio senza autorizzazione dei vertici dell’associazione criminale ed il progetto di aumentare il potenziale offensivo della cosca acquistando altre armi per garantirsi il pieno controllo delle attività estorsive (“se guerra vogliono, guerra sia”).

Nell’ambito dell’operazione è stato tratto in arresto per associazione mafiosa e detenzione illegale di armi da fuoco, BUCOLO Angelo sul conto del quale pesano le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia CAMPISISalvatore e ARTINOSalvatore che hanno trovato numerosi riscontri e sono state ritenute attendibili dal GIP (contraddistinte, in ordine alla caratura criminale dell’indagato,da piena attendibilità intrinseca in quanto caratterizzate da precisione e coerenza logica”).

Il BUCOLO viene indicato come uno dei componenti storici del gruppo mafioso dei Mazzaroti impegnato nella riscossione dei proventi estorsivi che provvedeva a consegnare ad esponenti di CosaNostra barcellonese, partecipando ad attentati in danno di imprenditori nonché promuovendo atti incendiari, “al fine di convincerli a continuare a pagare il pizzo”, contro i responsabili della discarica di Mazzarrà S. Andrea presso cui il BUCOLO, unitamente a REALEGiuseppe e PINOGiovanni prestava attività lavorativa. Dalle dichiarazioni dei collaboratori è altresì emerso che BUCOLOAngelo, il quale si era anche occupato di custodire ed occultare alcune armi per conto di REALE Giuseppe che questi aveva utilizzato per commettere attentati, – secondo un collaboratore di giustizia – sarebbe stato contattato, senza esito, da altri sodali “affinchè convincesse il fratello BUCOLO Salvatore, Sindaco di Mazzarrà ad intervenire nei confronti della società Tirreno Ambiente (società che gestisce la discarica) affinchè quest’ultima riprendesse a pagare le somme a titolo estorsivo”.

Particolarmente significativa l’intercettazione ambientale che ha documentato un incontro tra rappresentanti armati della cosca dei “mazzaroti” con esponenti della mafia catanese per la reciproca “messa a posto” di imprese operanti nelle due province nell’ambito di quello che il Gip definisce un “sistema di estorsioni incrociate”. All’esito dell’incontro veniva confermato il reciproco rispetto tra le due organizzazioni mafiose (“allora da quando è … è sempre stato così, sempre così!) secondo una consolidata alleanza (“gemellaggio”) tuttora operativa.

Anche alla luce degli elementi probatori individuati dall’Arma Territoriale, dal R.O.S. e dalla Polizia di Stato, è stato poi formulato un giudizio di gravità indiziaria a carico dei detenuti, già tratti in arresto dal R.O.S., CAMPISIAgostino, padre dell’odierno collaboratore CAMPISISalvatore, CALABRESETindaro, CALCO’ LABRUZZOSalvatore e TRIFIRO’Maurizio in relazione alle estorsioni che ciascuno di loro, in periodi diversi, ha posto in essere ai danni dell’imprenditoria locale, alcune delle quali già emerse nel corso dell’indagine denominata “VIVAIO” ma ancora non contestate agli indagati.

Sacra Corona Unita (internazionale): 19 arresti tra Lecce, Germania e Svizzera

Blitz all’alba dei carabinieri contro la “sacra corona unita”: arrestate 19 persone appartenenti al clan De Tommasi-Notaro(quest`ultimo arrestato il primo dicembre scorso dopo un periodo di latitanza, perché colpito da altra misura cautelare in carcere per associazione mafiosa), operante nel nord della provincia.
I provvedimenti sono stati disposti dal Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia e gi arresti sono stati eseguiti in provincia di Lecce, in Germania e Svizzera, dove due persone sono ricercate poiché colpite da mandato di arresto internazionale.

Vengono contestati i reati di associazione di tipo mafioso di cui all`art. 416 bis, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, detenzione e porto abusivo di armi anche clandestine, estorsioni e rapina.
Nel corso dell`intensa ed articolata attività investigativa sono stati accertati una serie di episodi intimidatori, anche a scopo omicidiario, tra membri dello stesso clan. Obiettivo, la conquista della leadership sul territorio, finalizzata al controllo del traffico di stupefacenti e delle altre attività illecite.

Le indagini hanno permesso di ricostruire una serie di eventi, in particolare numerose intimidazioni attuate attraverso l`esplosione di colpi d`arma da fuoco contro persone, auto e abitazioni degli affiliati, prologo di una faida interna per la supremazia del gruppo emergente.  In distinte operazioni, sono stati eseguiti numerosi sequestri di droga e di un arsenale di armi nella disponibilità del clan. Quest`ultimo sequestro, operato dai carabinieri all`insaputa dei detentori, ha accresciuto in questi la preoccupazione di una imminente escalation di violenza da parte della fazione rivale.
Nel corso della pianificazione delle azioni di fuoco in danno degli avversari, gli investigatori sono riusciti a disinnescare ogni minaccia eseguendo numerosi controlli con conseguenti arresti. Nel dettaglio: 9 persone sono state arrestate in flagranza di reato, nel corso delle indagini di cui 7 per stupefacenti e due per detenzione di armi.

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Gli amici romani del clan Bellocco

Agevolarono la cosca della ‘ndrangheta Belloco attiva a Rosarno e nei comuni del reggino. Per questo tre persone sono state arrestate nel corso della notte a Roma e Palmi dai carabinieri del Nucleo Investigativo del Reparto operativo del Comando provinciale di Roma, con la collaborazione dell’Arma locale, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip presso il Tribunale di Roma su richiesta della Procura della Repubblica di Roma – Direzione Distrettuale Antimafia. La misura cautelare si basa sulle risultanze acquisite dal Nucleo Investigativo a seguito della cattura dei latitanti Umberto e Francesco Bellocco il 24 luglio 2012; le indagini hanno consentito di individuare la rete di persone di cui i due Bellocco si avvalevano per trascorrere indisturbati la loro latitanza a Roma. I tre arrestati, tutti di origine calabrese, sono ritenuti infatti responsabili dei reati di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena.

Visto lo spessore criminale dei due latitanti arrestati, rampolli di un clan la cui operatività nella piana di Gioia Tauro è stata accertata con numerose sentenze, le indagini furono assunte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di via in Selci che individuarono un appartamento dove i due latitanti avevano predisposto la loro base logistica. La perquisizione del covo ha permesso di stabilire che i due ricercati si erano stabiliti a Roma da alcuni mesi ed erano operativi in attività illecite sul territorio; nel covo che era dotato di impianto di videosorveglianza, furono infatti trovati numerosi telefoni, pc portatili, Jammer, ricevitori radio, macchine conta banconote, bilancini elettronici di precisione, un blocco notes con cifre ed appunti in codice, nonché l’Epistola di Leone IV, utilizzata dagli affiliati della ‘ndrangheta nel rito di iniziazione svolto in occasione delle nuove immissioni nelle cosche. I latitanti disponevano inoltre di 3 auto e 2 moto nuovissime, intestate a dei prestanome e poste sotto sequestro.

Le successive indagini del Nucleo Investigativo di Roma hanno consentito di acquisire gravi indizi di colpevolezza a carico dei tre arrestati di oggi. I tre avevano il compito di provvedere al supporto logistico necessario ai due latitanti per vivere in clandestinità e avevano reperito e messo a disposizione dei cugini Bellocco un appartamento, le auto e i motocicli, e i documenti di identità.

(clic)

‘Ndrangheta a Roma: macellerie, fattorie e compro oro (al solito…)

Ancora malavita a Roma. La polizia ha arrestato tre esponenti di vertice della ‘ndrangheta calabrese attivi nella provincia.

Secondo quanto si apprende, si tratterebbe di appartenenti alle ‘ndrine Palamara, Scriva, Mollica, Morabito che, secondo gli investigatori, avevano “ramificati interessi criminali e imprenditoriali nella zona Nord della provincia di Roma e nella Capitale”.

Gli arrestati, secondo la Direzione Distrettuale Antimafia, sono responsabili di intestazione fittizia di beni aggravata dal metodo mafioso e reati commessi per favorire l’associazione mafiosa per il controllo delle attività illecite sul territorio.

Durante le operazioni sono state eseguite numerose perquisizioni in tutt’Italia e sequestri di attività commerciali e imprenditoriali e di immobili per un valore di oltre 100 milioni di euro.

Tra le attività sequestrate una gioielleria compro oro, una azienda di allevamento bestiame, macellazione carni e produzione di latticini, un negozio di ottica nonché numerosi conti correnti bancari.

(fonte)

E se in Lombardia sciogliessero un comune per mafia?

La notizia era nell’aria da qualche giorno e la batosta sarebbe di quelle inimmaginabili. Certo che una regione che sembra avere già dimenticato l’affare Zambetti (un assessore arrestato con l’accusa di avere comprato voti dalla ‘ndrangheta, per dire) potrebbe benissimo fingere indifferenza anche se il Ministro Alfano decidesse di seguire il consiglio scritto nella relazione del Prefetto di Milano di sciogliere l’amministrazione comunale di Sedriano per infiltrazioni mafiose.

Di Sedriano e del suo Sindaco Alfredo Celeste avevamo già avuto modo di scrivere e dire ma ora la questione diventa terribilmente seria. Lo scrive (puntuale come sempre) Davide Milosa:

Tra qualche mese la Lombardia potrebbe ritrovarsi con il primo comune sciolto per infiltrazioni mafiose. Un dato clamoroso se il ministero dell’Interno recepirà in maniera positiva le segnalazioni contenute nella relazione prefettizia inviata al governo  il 10 luglio scorso. Al centro il paese di Sedriano piccolo comune della cerchia a sud di Milano. Dopo sei mesi d’indagine, dunque, la Prefettura segnala al ministro Angelino Alfano serie criticità tali da portare allo scioglimento per mafia.

La commissione, dunque, chiude i lavori iniziati nel febbraio scorso e dopo che nell’ottobre 2012 l’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia ha portato in carcere l’ex assessore regionale del Pdl Domenico Zambetti accusato di concorso esterno e scambio di voti. Al centro i suoi rapporti con la ‘ndrangheta attraverso il faccendiere Eugenio Costantino, che i magistrati ritengono vera e propria cerniera tra le cosche e la pubblica amministrazione. In carcere, allora, finirono gli uomini della cosca Mancuso-Di Grillo e referenti di primo piano del clan Morabito di Africo.

Ma le manette scattarono anche per alcuni politici. Tra questi l’attuale sindaco di Sedriano Alfredo Celeste (poi rimesso in libertà e mai dimesso dalla sua carica politica), di professione insegnante di religione. Secondo gli investigatori, Costantino sarebbe riuscito “ad asservire a fini corruttivi il Sindaco di Sedriano”, ottenendo, in questo modo, “una serie di promesse e di assegnazione di lavori pubblici gestiti dalla sua amministrazione comunale”. Uno scambio che, stando alla tesi dell’accusa, sarebbe stato favorito dal medico Marco Scalambra, marito della capogruppo Pdl a Sedriano.

In questi mesi la commissione prefettizia ha studiato migliaia di carte. In particolare la lente è stata puntata su alcune proprietà catastali legate ad aree a forte espansione contenute nel nuovo Piano di Governo del Territorio.

Dal canto suo Alfredo Celeste ha sempre rivendicato innocenza e trasparenza, tanto da aver messo online gli undici faldoni dell’inchiesta della procura di Milano. Migliaia di pagine dalle quali, secondo i magistrati, emergono, chiare, le ingerenze della ‘ndrangheta nella pubblica amministrazione. Dal comune di Sedriano fino ad arrivare ai piani alti della Regione Lombardia.

Ora, dunque, la palla passa al ministro dell’Interno. Se dovesse arrivare il via libera, anche la Lombardia avrebbe un comune sciolto per mafia. Nel novembre 2010 era stato sciolto il comune di Desio travolto dall’indagine Infinito sulla ‘ndrangheta lombarda. In quel caso, però, non ci fu nessuna commissione d’accesso per infiltrazioni mafiose,  ma perché 17 consiglieri, dopo le notizie di cronache, firmarono le dimissioni.

Rimane da vedere se non sia il caso sul serio di rialzare la voce antimafia anche in faccia al Governo Lombardo che, guarda un po’, dai vecchi potentati ha preso tiepide distanze e ne conserva sotto traccia le alleanze. No?

E adesso, Bobo?

Dunque Francesco Belsito, l’uomo della Lega Nord che avrebbe tenuto i rapporti con la ‘ndrangheta e gli affari, è stato arrestato. Roberto Maroni, l’uomo che voleva sconfiggere la mafia, se l’è ritrovata in casa e mentre ci racconta di avere arrestato i più pericolosi latitanti negli ultimi anni si è lasciato sfuggire il latitante in casa come un aspirante Babbo Natale che non si accorge di avere lasciato una renna incastrata nel camino della cucina.

L’accusa è di  truffa e associazione a delinquere. Lo stesso Belsito che nelle ipotesi dei magistrati avrebbe avuto un ruolo nella gestione di alcuni appalti della sanità lombarda. Nello sfondo c’è una società, la SIRAM che si occupa di efficienza energetica) che avrebbe vinto 15 settembre 2010 un appalto da 4.278.839,01 euro per tutti gli spazi non istituzionali della piazza della nuova regione Lombardia.

Come scrivevano già a gennaio Alessandro Da Rold e Luca Rinaldi:

Il pm calabrese Giuseppe Lombardo ha ben chiaro il polso della situazione del proprio filone d’indagine, cioè i possibili rapporti tra l’ex tesoriere Belsito e la ‘ndragnheta, in particolare con la cosca De Stefano. Nadia Dagrada, la segretaria del Carroccio che ha fatto esplodere il caso Lega, nel corso dell’interrogatorio dello scorso aprile dise di ignorare e conoscere i rapporti dello stesso Belsito, poi cacciato dal neo segretario Roberto Maroni, con personaggi legati alle cosche. Spiegò che il nome De Stefano non le ricorda nulla «a parte il tenore».

Chissà cosa avrà pensato il pm Giuseppe Lombardo che al momento sta portando avanti nelle aule reggine il processo forse più importante alla triade delle famiglie che governa Reggio (Condello, De Stefano e Tegano), in quel guazzabuglio di politica, affari, logge più o meno coperte e mafia. La stessa Dagrada riferisce di sapere poco e niente su quello studio di via Durini 14 a Milano dove ha sede la MGM di quell’avvocato che avvocato non era (non risulta iscritto a nessun ordine), Bruno Mafrici, diventato consulente di Belsito quando questi si occupava del sottosegretariato del ministero alla semplificazione normativa.

Stando al verbale, Belsito, avrebbe elargito per alcuni mesi un fisso di 2.500 euro allo stesso Mafrici, che l’ex tesoriere presentava come un suo avvocato. Belsito in quello studio aveva un proprio ufficio e pagava Mafrici, a quanto sostiene Dagrada con soldi del partito per un totale tra parcelle e rimborsi che teneva anche per sè di circa novemila euro al mese.

Uno studio quello di via Durini a Milano che ricorre nelle carte degli inquirenti reggini e perfino nella relazione della commissione di accesso al comune di Reggio Calabria, che ne sancirà poi lo scioglimento per infiltrazioni della criminalità organizzata. A stimolare la curiosità del pm Lombardo durante l’interrogatorio però è anche una questione che trova sullo sfondo appunto la sanità. Il magistrato la butta lì mentre cerca di capire cosa Dagrada sia in grado di rivelare sugli investimenti leciti o meno del Carroccio dell’era Belsito.

Chiede se ci siano stati investimenti in case di cura. Dagrada nega, ma a verbale ci finisce un teatrino e si trascrive anche una risata dello stesso pubblico ministero che evidentemente nota una espressione della segretaria e chiede «perché le case di cura l’hanno colpita così tanto?».

E se poi nel corso dell’interrogatorio si vira verso altri lidi, andando a rivedere alcuni affari che avrebbero riguardato da vicino proprio stesso Mafrici e un altro faccendiere legato a doppio filo con Belsito e i De Stefano, cioè quel Romolo Girardelli  detto “l’ammiraglio”, la curiosità del pubblico ministero non sembra campata in aria.

Sullo sfondo c’è la Siram, che a Milano per sei anni, dal 2004 al 2010 ha gestito gli impianti produttori di calore al Pio Albergo Trivulzio per 7milioni di euro. Dal filone reggino dell’indagine emergerebbe infatti il contatto tra la stessa Siram e “l’ammiraglio” Girardelli, uomo vicino a Paolo Martino, factotum milanese della cosca De Stefano finito agli arresti nell’ambito dell’inchiesta ‘Caposaldo’ della Direzione Distrettuale Antimafia di Milano nel 2001.

Non è però finita perché sempre nel filone delle indagini aperto dalla procura di Reggio Calabria ci finisce un altro appalto, quello tra Siram e Carbotermo spa presso l’ospedale San Matteo di Pavia. Un appalto milionario già oggetto di conversazioni tra lo stesso Martino e l’ex direttore sanitario dell’Asl di Pavia Carlo Chiriaco, recentemente condannato a Milano per concorso esterno in associazione mafiosa.

Scriveva il Corriere della Calabria quando esplose l’affaire Belsito, “Siram incassa un’importante fetta dei propri introiti proprio dagli appalti pubblici. Non ultimo, proprio a Milano, dalla fondazione che gestisce gli ospedali del Policlinico ha ottenuto il lavoro per la costruzione di un modernissimo impianto «di trigenerazione», capace di produrre contemporaneamente energia elettrica, termica e refrigerante.

Un progetto che Infrastrutture Lombarde, la società in house della Regione Lombardia, ritiene particolarmente vantaggioso e soprattutto non realizzabile da nessun’altra impresa. Ragione per la quale non è possibile sottoporlo a gara d’appalto visto che solo Siram ha i brevetti necessari per la sua realizzazione. Insomma, un progetto da esportare, magari anche in Calabria dove Infrastrutture Lombarde ha avuto il contestatissimo incarico di sovrintendere alla realizzazione dei quattro nuovi ospedali previsti nel nuovo piano sanitario regionale. Anche di questo si discuteva nelle ovattate stanze di via Durini 14”.

A Reggio Calabria la Siram aveva ottenuto il monopolio della manutenzione e della gestione degli impianti degli Ospedali Riuniti, secondo alcuni imprenditori concorrenti senza rispettare tutte le normative. Insomma, sanità, anzi, “Onorata Sanità”, come quel processo istruito a Reggio Calabria dove il cognato dell’ “avvocato” Mafrici si è ritrovato invischiato salvo poi uscirne assolto alla conclusione del primo grado di giudizio.

Rimane da vedere cosa ci dirà oggi Bobo Maroni. Bastano le scope di saggina a dare una spiegazione, eh?

I soliti noti

Schermata 2013-01-30 alle 12.33.28Gli amici degli amici in Regione Lombardia raccontati per L’Espresso da Marzio Brusini:

Due candidati Pdl al consiglio regionale lombardo, Alessandro Colucci e Fabio Altitonante, sono entrambi finiti a più riprese nelle informative della Direzione Distrettuale Antimafia.  

Alessandro Colucci è coinvolto fin dal 2006 nelle indagini sulle infiltrazioni mafiose nella politica lombarda quando viene filmato dai carabinieri a cena con il boss Salvatore Morabito. 

L’anno successivo, una volta eletto al parlamentino lombardo, il narcotrafficante Francesco Zappalà proclama entusiasta: «Abbiamo un amico in Regione». 

Le sue relazioni pericolose proseguono nel 2010, all’epoca della sua rielezione al Pirellone con oltre 16 mila voti. L’allora consigliere regionale ricompare in un’informativa della squadra mobile di Reggio Calabria, inserita nel fascicolo sugli affari del clan Lampada a Milano. 

In un’intercettazione tra Vincenzo Minasi – successivamente condannato per concorso esterno in associazione a delinquere di stampo mafioso – e il consigliere Pdl di Avellino Orazio Sorace, coordinatore del movimento Noi riformatori fondato proprio dal padre di Colucci, compare il suo nome e la promessa di appoggiarlo elettoralmente. 

Colucci non è particolarmente fortunato nelle relazioni personali perché nel maggio 2011, alla vigilia delle elezioni comunali di Milano, Marco Scalambra – arrestato assieme all’assessore regionale Domenico Zambetti per concorso esterno in associazione mafiosa – parla al telefono con il sindaco di Sedriano Alfredo Celeste, anche lui agli arresti. 

Scalambra racconta di avere ricevuto pressioni da Colucci per fare campagna elettorale in favore di un candidato nelle liste del Pdl per il rinnovo del Consiglio comunale di Milano. 

Per ogni singolo episodio Alessandro Colucci non viene indagato. Risulta però indagato per l’inchiesta aperta dalla Procura di Milano sui rimborsi ai consiglieri regionali.  

Il nome di Fabio Altitonante si intreccia invece con quelli di Alfredo Iorio e Andrea Madaffari, in contatto diretto con il presunto boss dell’Ndrangheta Salvatore Barbaro. 

Nelle carte della Direzione Distrettuale Antimafia compaiono numerose intercettazioni telefoniche e ambientali che mettono al centro Altitonante, diventato nel frattempo assessore al territorio della Provincia di Milano. 

Soprattutto viene interpellato da Iorio per organizzare cene elettorali «per fargli conoscere gente della mia zona», area sud di Milano. Altitonante si spende pure per risolvere una pratica in regione Lombardia su richiesta dei lobbysti del clan. Partecipa infine ad una cena a Rozzano con alcuni esponenti del clan Madaffari. 

«Oltre alle regole e le leggi che stabiliscono la candidabilità di qualcuno», attacca Giulio Cavalli, attore antimafia e consigliere lombardo di Sel – oggi diventa urgente decidere il livello di opportunità. Ancora di più in una regione che è caduta travolta dallo scandalo di voti in odore di ‘ndrangheta. Forse sarebbe il caso non solo di evitare condannati ma provare ad eliminare anche le ombre di uomini segnalati come vicini a rappresentanti delle cosche».