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Errare è umano, perseverare è Bertolaso

Come va in Lombardia? Va molto Bertolaso, purtroppo. Va Bertolaso perché non passa un giorno che non accada un vergognoso malfunzionamento che se la Lombardia non fosse la Lombardia (e se Bertolaso non fosse così tanto Bertolaso) sarebbe su tutti i giornali, sentiremmo Giletti urlare come un ossesso, vedremmo decine di speciali televisivi con giornalisti indignati che ficcano il microfono sotto la bocca di Fontana, di Moratti e del Bertolaso così tanto Bertolaso.

Negli ultimi giorni è accaduto che Letizia Moratti si è perfino spettinata urlando tutta la sua vergogna contro «l’inaccettabile» inadeguatezza di Aria, la società della Regione titolare della piattaforma degli appuntamenti per i vaccini. Avete letto bene: Letizia Moratti se l’è presa con una società di Regione Lombardia di cui lei è vicepresidente, in pratica è il tennista che incolpa il suo gomito per la sconfitta. Ha ragione il dem Pierfrancesco Majorino quando dice che ormai non rimane che stare in attesa del comunicato in cui Letizia Moratti si indigna contro Letizia Moratti, così poi il quadro è completo, il cerchio è chiuso.

Ma in Lombardia continua ad andare tutto molto Bertolaso perché nei giorni scorsi Fontana e la sua allegra combriccola sono riusciti addirittura a superarsi per il caos che sono riusciti a produrre: sabato l’hub vaccinale di Cremona al mattino si è apparecchiato con vaccini, medici e infermieri e si è ritrovato 80 cittadini invece dei 600 previsti per un errore sulle comunicazioni della piattaforma. L’Asst si è messa a telefonare ai sindaci della zona per chiedere di recuperare in fretta e furia gente disposta a correre per farsi vaccinare e non buttare via le fiale inutilizzate. Deve essere stata una scena in cui il caos è esploso in modo inaudito se l’azienda sanitaria è stata costretta a un certo punto a lanciare un appello del genere: «Non venite qui, aspettate di essere chiamati. Continueremo a vaccinare le persone nelle categorie previste da questa fase del Piano vaccinale e quindi over 80, insegnanti, forze dell’ordine, personale sanitario ed extraospedaliero. Presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento».

È andata molto Bertolaso anche a Como e Monza dove di persone ne sono arrivate meno di 20 e invece il personale sanitario ne aspettava 700. Via ancora con le telefonate. Per garantire il massimo dell’erogazione possibile, ha spiegato la direzione ospedaliera, sono state utilizzate liste interne di asili, Protezione Civile, volontari Auser fornite da Ats Brianza, e vaccinato personale scolastico che si è autopresentato, d’intesa con l’Ats e la Dg Welfare che è stata avvisata della problematica.

Qualcuno potrebbe immaginare che domenica almeno sia andata meglio e invece domenica a Cremona a mezzogiorno non si era presentato nessuno. Avete letto bene: nessuno. Zero. Nisba. Il “piano vaccinale” ancora una volta si è risolto in un convulso giro di telefonate per riuscire a svuotare i frigoriferi.

Errare è umano, perseverare è Bertolaso.

Buon lunedì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

“Napoleone incoronato Re d’Italia nella Villa di Monza”: la gaffe storica nella mozione della Lega


“Nel 1805 si ebbe l’incoronazione di Napoleone presso la Villa” reale di Monza. Così si legge in una mozione presentata dalla Lega al Consiglio regionale della Lombardia, avente come oggetto il “Recupero degli arredi della Villa Reale di Monza”, attualmente collocati presso il Quirinale. Ma Napoleone, come tutti sanno, venne incoronato Re d’Italia nel Duomo di Milano.
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Sucidi in carcere: 20 volte in più della popolazione libera, ma la politica fa finta di niente…

L’ultimo è di qualche giorno fa: un ragazzo ventiduenne suicida nel carcere di Brescia in una vicenda da chiarire in molti suoi particolari. Il giovane era caduto in un forte stato depressivo dopo avere denunciato le violenze sessuali subite da un imprenditore che gli offriva capi d’abbigliamento in cambio di prestazioni sessuali. La Procura di Brescia proprio in questi giorni stava chiudendo le indagini ma il giovane si è tolto la vita nella sua cella.

Ma i suicidi in carcere continuano a essere una tragedia silenziosa che si ripete con feroce regolarità. Il 2 ottobre scorso si è tolto la vita Carlo Romano, detenuto a Rebibbia da sei mesi: aveva 27 anni e conclamati problemi psichici che l’avevano già spinto a tentare il suicidio e per questo era passato alla sorveglianza a vista che gli era stata revocata proprio il giorno precedente. La Garante dei detenuti di Roma Gabriella Stramaccioni sottolinea che si tratta dell’ennesimo caso di una persona «che forse poteva essere curata all’esterno». Lo scorso 28 settembre è toccato a un uomo di origini albanesi che era in attesa di giudizio nel carcere di Bologna, il compagno che condivideva la camera con lui non si sarebbe accorto di nulla. Solo il giorno precedente, il 27 settembre, nel carcere di Castrovillari (CS) un detenuto marocchino ha approfittato del cambio turno della polizia penitenziaria per impiccarsi con un lenzuolo. Nella notte tra il 29 e il 30 agosto si è impiccato nella sua cella, dove si trovava solo, Omar Araschid, di origini marocchine, era recluso nell’area dei “sex offenders” e avrebbe nuovamente guadagnato la libertà nel 2021.

Il 27 agosto nel carcere di Pescara il 63enne Dante Di Silvestre aveva ricevuto da due giorni il diniego di lavorare fuori dal carcere dal magistrato dell’Ufficio di sorveglianza, per lui è stato un colpo durissimo, ha messo da parte gli effetti personali e un biglietto per la moglie e approfittando del regime di semilibertà che gli era stato riconosciuto per il suo comportamento esemplare, nel cortile del carcere ha utilizzato una corda che usava per il lavoro e si è impiccato a una sbarra. Di Silvestre era in carcere dopo la sentenza definitiva a 11 anni, con i benefici di legge aveva già scontato quasi metà della pena e aveva ottenuto la semilibertà. Poi, ancora: a Milano un 42enne algerino era stato fermato per tentato furto, era in una stanza da solo in Questura in attesa di fotosegnalamento. Si è tolto la maglietta, l’ha legata alle grate della finestrella della stanza vuota e l’ha stretta al collo. Quando gli agenti l’hanno trovato era già troppo tardi. Il 20 agosto si è impiccato al carcere Pagliarelli di Palermo Roberto Faraci, 45 anni, entrato in prigione da pochi giorni, anche lui sfruttando il fatto si essere stato lasciato solo.

È una moria di storia e di persone impressionante, che si ripete con cadenza mostruosa. Il 19 agosto un suicidio nel carcere di Lecce, il 17 Giuseppe Randazzo a Caltagirone, il 12 agosto sempre al Pagliarelli di Palermo (dove sono avvenuti ben 3 suicidi nel solo mese di agosto) si è impiccato (il solito drammatico cliché) Emanuele Riggio. Il 30 luglio nel carcere di Fermo si è suicidato un 23enne, di cui dalle cronache non si riesce nemmeno a risalire al nome. Aveva 23 anni anche Giovanni Cirillo che si è ammazzato il 26 luglio a Salerno e ne aveva 24 invece il detenuto che si è ammazzato a Como nello stesso carcere dove un mese prima in un’altra sezione si è tolto la vita, impiccandosi con la corda della tuta da ginnastica, un detenuto tunisino di 33 anni. In quell’occasione erano stati i compagni di cella, di ritorno dopo il periodo trascorso all’aria, a trovare il corpo senza vita. La conta dal 17 gennaio di quest’anno (quando si verificò il primo suicidio nel carcere di Monza) a oggi è incivile: 45 suicidi dall’inizio dell’anno, tutti per impiccamento tranne 4 casi di suicidi per asfissia provocata da gas. A questi numeri si aggiungono 27 casi di morti da accertare, tutt’ora al vaglio degli inquirenti.

Secondo il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, sarebbero 1100 i tentativi di suicidio ogni anno evitati dagli agenti. Il Piano nazionale per la prevenzione delle condotte suicidarie in carcere, adottato il 21 luglio del 2017, non ha rallentato la catena di suicidi: 52 nel 2017, 67 nel 2018, 53 nel 2019. La frequenza dei suicidi in carcere è di 20 volte superiore alla norma, mentre quella tra gli agenti penitenziari è 3 volte superiore alla norma e risulta anche la più elevata tra tutte le Forze dell’Ordine. Secondo il sito ristretti.it «è facile concludere che i detenuti si uccidono a centinaia (e tentano di uccidersi a migliaia) in primo luogo perché percepiscono di non essere più portatori di alcun diritto: privati della dignità e della decenza, trascorrono la propria pena immersi in un “nulla” senza fine».

Ma la notizia fatica sempre ad arrivare ai giornali e fatica infilarsi nel dibattito pubblico. Rimangono le brevi di cronaca date ogni tanto su qualche sito locale: la politica fa spallucce (se addirittura non invoca ancora meno diritti) e l’opinione pubblica è colpevolmente distratta. «Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri – sosteneva Voltaire – poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una nazione»: qui la situazione è sempre nera, nerissima ma i palazzi sembrano non accorgersene.

L’articolo Sucidi in carcere: 20 volte in più della popolazione libera, ma la politica fa finta di niente… proviene da Il Riformista.

Fonte

‘Ndrangheta in Lombardia: operazione “Ulisse”. Facciamo il punto.

L’omertà

Il dato sconfortante che emerge dallo sviluppo delle inchieste Infinito e Crimine, e che ha portato oggi all’esecuzione di 37 ordinanze di custodia cautelare volte a smantellare le cosche di ‘ndrangheta radicate tra Milano e Monza, è sempre lo stesso: l’omertà degli imprenditori vittime di estorsione e usura. Piuttosto a dare un contributo fondamentale alle indagini, da quanto trapela da ambienti investigativi, è arrivato da un nuovo pentito. Si tratta di Michael Panaija, 37enne arrestato l’11 aprile 2011 perché ritenuto uno dei responsabili dell’omicidio di Carmelo Novella, il capo della “Provincia” lombarda (l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta in Lombardia) ucciso il 14 luglio 2008 a San Vittore Olona perché voleva la scissione dalle cosche calabresi. A farne il nome come uno dei presunti esecutori era stato il collaboratore di giustizia Antonino Belnome. Era stato lui a snocciolare il suo e i nomi di altre 18 persone arrestate nel 2011 perché avrebbero avuto un ruolo – come mandanti, come esecutori, come fiancheggiatori, o come basisti – nell’omicidio Novella e in altri tre omicidi commessi nell’ambito delle guerre interne alla ‘ndrangheta per il predominio sul territorio e come ritorsione per i fatti di sangue. Si tratta dell’omicidio di Rocco Cristello, avvenuto il 27 marzo 2008 a Verano Brianza; di quello di Antonio Tedesco, ucciso il 27 aprile 2009 a Bregano, il cui corpo è stato trovato mummificato sotto due metri di calce e terra in un maneggio (è stato riconosciuto da una catena d’oro) ; e di quello di Rocco Stagno, fratello del più potente Antonio Stagno, avvenuto il 29 marzo 2010 in un cascinale a Bernate Ticino, il cui cadavere invece non è ancora stato trovato. Ora Panaija risulta aver svelato dettagli sulla reazione delle cosche lombarde dopo il maxi blitz che a Milano, nel luglio 2010, aveva portato all’arresto di oltre 170 persone, 110 delle quali già condannate con rito abbreviato. Le cosche di Giussano e Seregno avrebbero proseguito sia i traffici di droga, sia le estorsioni e lo strozzinaggio di piccoli imprenditori locali, soprattutto di origine calabrese. Oggi in manette sono finiti Ulisse Panetta, il presunto boss proprio della locale di Giussano, e alcuni appartenenti alle famiglie Cristello e Corigliano. L’inchiesta è coordinata dal procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dai pm Alessandra Dolci e Cecilia Vassena. Le ordinanze sono firmate dal gip Andrea Ghinetti.

Le estorsioni e i nomi

Le accuse per i 37 indagati arrestati stamani dai carabinieri del Ros a Milano e provincia sono di associazione mafiosa, porto e detenzione illegale di armi (Kalashnikov, mitragliette Uzi, bombe a mano), usura ed estorsione, aggravati dalle finalita’ mafiose. I provvedimenti di custodia cautelare scaturiscono da diversi filoni investigativi avviati dal Ros a seguito dell’indagine ‘Crimine’ che ha portato nell’aprile 2011 all’arresto di 11 affiliati alle ‘ndrine di Seregno e Giussano. Tra questi c’erano anche gli autori dell’omicidio di Rocco Cristello, Carmelo Novella, Antonio Tedesco e Rocco Stagno, tutti commessi in Lombardia tra il 2008 e il 2010 nell’ambito delle faide tra le cosche Gallace e Novella di Guardavalle (Catanzaro). Le indagini hanno svelato le attivita’ delle cosche al Nord: traffico di droga, usura ed estorsioni. Numerosi gli episodi di questo tipo raccolti dai militari. A partire dal 2007, quando le vittime dell’estorsione furono i titolari della concessionaria di auto ‘Selagip 2000′ di Giussano, a cui venne chiesto il pagamento di 500mila euro dopo minacce, telefonate minatorie, attentati incendiari, e l’esplosione di colpi di pistola contro le vetrine. E’ del 2010, invece, quella nei confronti di Domenicantonio Fratea, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di una bar a Giussano. A lui vennero chiesti 80mila euro con la medesima modalita’ intimidatoria. La lista prosegue con Roberto Gioffre’, titolare di una sala giochi che alla fine del 2010 fu costretto a rinunciare a un credito di 70mila euro, che vantava nei confronti di alcuni affiliati, dopo numerose minacce. Infine, Stefano Sironi, imprenditore edile di Giussano, costretto a riconoscere interessi esorbitanti sulle somme prestate dalla cosca.

Il ruolo di Ulisse Panetta a Giussano

Dall’agosto 2010, in seguito al maxi blitz delle operazioni Infinito e Crimine che il mese prima avevano portato all’arresto di circa 300 persone in Lombardia e in Calabria, è Ulisse Panetta ad assumere il comando dell’associazione mafiosa facente capo alla locale di Giussano in qualità di vice di Michael Panaija, arrestato l’11 aprile 2011. Lo scrive il gip Andrea Ghinetti nell’ordinanza di arresto che oggi ha colpito lo stesso Panetta e altre 36 persone. Dall’agosto 2010, si riassume nel capo di imputazione, Panetta fa carriera. Già “in possesso della dote del vangelo, dapprima ‘contabile’ e ‘mastro di giornata’, quindi, dopo l’arresto di Belnome, ‘capo società’, diventa il “capo e organizzatore” della locale di Giussano. Di conseguenza, “sovrintende alla gestione dell’armamento in dotazione della locale, comprensivo di armi corte, lunghe, esplosivo e munizionamento, parte del quale è stato a lui sequestrato nel febbraio 2012, alla scelta del luogo di occultamento ed alla individuazione delle persone deputate di volta in volta a servirsene. Mantiene i contatti con gli esponenti delle famiglie di riferimento in Calabria, mandando e ricevendo ‘ambasciate’. Provvede a mantenere i contatti con le famiglie degli arrestati della locale sia a seguito degli arresti del luglio 2010, sia di quelli dell’aprile 2011. Partecipa ai summit sopra indicati nel corso dei quali vengono conferiti a lui stesso e ad altri doti e cariche. Partecipa alla pianificazione delle attività criminali della locale percependone anche parte dei proventi”. Antonino Belnome è il pentito che per primo ha fatto luce sull’omicidio di Carmelo Novella, ex capo della “Lombardia”, l’organismo che riuniva tutte le locali di ‘ndrangheta nella regione.

Il bunker

Una botola nascosta nel pavimento della cucina, con un perfetto meccanismo di apertura telecomandata. Un bunker in piena regola per scappare ai blitz della forze dell’ordine, identico a quelli di ‘ndranghetisti latitanti dell’Aspromonte. La novita’ e’ che il nascondiglio si trovava nel profondo Nord, a Giussano, piccolo comune della Brianza. Per la precisione in via Boito 23, dove il boss Antonio Stagno, di 44 anni, originario di Giussano e attualmente detenuto nel carcere di Opera per altri motivi, aveva la sua residenza. Si tratta di un vero e proprio bunker con una parete mobile che si aziona con un telecomando – ha spiegato il pm della Dda di Milano, Alessandra Dolci – come quelli che siamo soliti trovare in realta’ come San Luca o Plati’. Per gli investigatori e’ un dato molto importante perche’ dimostra l’ulteriore passo in avanti della ‘ndrangheta al Nord, ormai cosi’ a proprio agio da esportare tecniche ritenute esclusiva delle zone d’origine. Il procuratore aggiunto del Tribunale di Milano, Ilda Boccassini, ha aggiunto che questo e’ momento di cambiamento per le ‘ndrine, con i giovani che stanno prendendo il posto degli ”anziani”. Nonostante cio’, pero’, resistono le tradizioni come quella dei bunker, di cui i calabresi sono considerati esperti costruttori.

Le minacce: i coltelli al ristorante

Rocco mi punto’ contro anche un coltello, il coltello da tavola del ristorante”. Cosi’ una delle ‘vittime’ delle estorsioni messe in atto dalle cosche della ‘ndrangheta di Giussano e Seregno, in Brianza, smantellate oggi con l’operazione ‘Ulisse’ condotta dai carabinieri del Ros, ha raccontato agli inquirenti della Dda di Milano l’ ‘umiliazione’ che subi’ quando nella sala di un locale venne preso anche a ”pugni e schiaffi al volto da parte di quasi tutti i commensali”, tra cui il presunto boss del clan di Seregno, Rocco Cristello, uno dei 37 arrestati. Nelle oltre 230 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare, infatti, viene riportato anche il ‘capitolo’ della ”estorsione nei confronti di Gioffre’ Roberto”, ovvero le ”modalita’ estorsive attraverso le quali i due maggiori esponenti della locale di Seregno, ovvero Cristello Rocco e Formica Claudio (rispettivamente capo locale e capo societa’) si ‘appropriarono’ del locale chiamato ‘Casino’ Royale’ di Paina di Giussano, piu’ volte emerso nell’indagine ‘Infinito’ come luogo abituale di appuntamento degli affiliati”. La ‘vittima’ dell’estorsione, l’imprenditore Roberto Gioffre’, ha spiegato nella sua denuncia e nelle sommarie informazioni ai pm di aver dovuto incontrare nel 2009 in un ristorante di Seregno i presunti boss per cercare di ‘resistere’ alle vessazioni. ”Gioffre’ – scrive il gip Andrea Ghinetti – si reco’ all’appuntamento accompagnato dal fratello Francesco, consigliere comunale a Seregno”.

Appena entrati nel locale, Gioffre’ venne aggredito da Rocco Cristello che gli grido’: ”tu sei un pezzo di m…”. L’imprenditore disse agli uomini del clan che non avrebbe consegnato i ”50 mila euro” richiesti e per tutta risposta venne preso a ”pugni e schiaffi” al tavolo del ristorante. Poi il coltello puntato contro che fece reagire il fratello di Gioffre’, consigliere comunale. Cristello Rocco a quel punto, ha raccontato Gioffre’, ”lancio’ un’occhiata eloquente a mio fratello dicendogli ‘Franco, fatti i cazzi tuoi’, frase che fece desistere mio fratello”. L’importo totale ”di denaro” estorto a Gioffre’, sintetizza il gip, ”ammonta a 70 mila euro”. E’ questo l’unico dei 4 episodi di usura ed estorsione riportati nell’ordinanza nel quale la ‘vittima’ ha denunciato le vessazioni subite dai clan della ‘ndrangheta. Negli altri casi, invece, come si legge nell’ordinanza, gli imprenditori si limitavano al massimo a pronunciare al telefono, intercettati, frasi come ”mi hanno condannato a morte mi hanno detto (…) sono un morto che cammina”. Uno dei pentiti ‘chiave’ delle indagini di ‘ndrangheta degli ultimi mesi in Lombardia, Antonino Belnome, ha spiegato a verbale ai pm della Dda di Milano che ”la scelta delle persone da sottoporre ad estorsione nel territorio lombardo ricadeva quasi sempre (…) su imprenditori di origine calabrese in quanto maggiormente inclini per mentalita’ a sottostare alle richieste estorsive senza coinvolgere le forze dell’ordine”. Non solo, spiega ancora il gip riportando le parole di Belnome, ”le vittime, di solito e per risalente consuetudine, si rivolgono ad esponenti della criminalita’ organizzata del paese d’origine perche’ svolgano un ruolo di mediazione (e non gratis, ovviamente)”.

Il politico che nega

Francesco Gioffre’, consigliere comunale di Seregno (Milano), con un atteggiamento ”vicino alla connivenza”, tento’ ”di minimizzare” con le sue dichiarazioni agli inquirenti le minacce subite dal fratello Roberto, vittima di estorsione da parte della cosca della ‘ndrangheta dei Cristello. Lo scrive il gip di Milano, Andrea Ghinetti, nell’ordinanza di custodia cautelare a carico di 37 persone, eseguita oggi da carabinieri del Ros e del comando provinciale. ”Un discorso a parte – scrive il gip – meritano le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, opaco fratello della vittima ed unica ‘voce fuori dal coro’ il quale, sentito a s. i.t. (sommarie informazioni testimoniali, ndr) il 26 aprile 2011, pur ammettendo di conoscere i fratelli Rocco e Francesco Cristello (che sostiene di avere aiutato per una pratica presso il comune nel quale egli stesso e’ consigliere comunale), ha tentato in ogni modo di minimizzare la portata dei fatti giungendo quasi a prendere le difese dei Cristello, sino al punto di dirsi estremamente stupito nell’apprendere la notizia del loro arresto del luglio del 2010”, nell’ambito del maxi-blitz ‘Infinito’. ”E’ di tutta evidenza – si legge ancora nell’ordinanza – alla luce delle risultanze investigative sopra esposte, che le dichiarazioni di Gioffre’ Francesco, nella parte in cui contrastano con quelle del fratello Roberto, non possono ritenersi credibili ma debbono al contrario essere inquadrate nel medesimo clima di intimidazione del quale e’ stato vittima anche Roberto Gioffre’, che ha evidentemente portato i due fratelli a reagire in modo diametralmente opposto”. Mentre uno dei due fratelli Roberto ”ha scelto di denunciare i fatti con rischio personale che lo ha portato a temere talmente tanto per se’ e per i suoi familiari da decidere di lasciare il Paese per trasferirsi all’estero, il politico locale Gioffre’ Francesco ha fatto una scelta diversa, vicino alla connivenza, piu’ in linea con quella gia’ riscontrata in altri casi oggetto della presente misura cautelare”

 

#ballottaggi e sballottati

Non mi piacciono i commenti a caldo. Mi piace leggere i numeri prima di proporre le analisi e invece sento già molti lanciati in tribune televisive con la smania dei cacciatori al safari di ferragosto. Non mi piace questa abitudine tutta italiana di deridere le vittorie degli altri, appropriarsi vittorie di sponda e questa eterna indecisione nell’ammettere le proprie debolezze. Le amministrative dicono che contano le persone oltre che i partiti (ricordate quanto l’hanno ripetuto nelle scorse settimane?): bene, le persone da candidare le scelgono i partiti (ne dovrebbero essere la sintesi politica) e la classe dirigente non può esimersi da questa responsabilità. Perché qui quando vince qualcuno diventa sempre “nostro” in senso larghissimo. Personalmente sono contento dei nuovi sindaci che conosco da vicino, penso a Fois a Senago, Lucini a Como, Scanagatti a Monza, Monica Chittò a Sesto San Giovanni e tanti altri: hanno l’occasione di provare a raccontare un’altra storia, sul serio. Non mi conforta Leoluca Orlando a Palermo: l’ho conosciuto da vicino, non mi piace, ma gli elettori hanno scelto lui (nell’anno del ventennale della morte di Falcone, poi).

Una cosa mi piace: Roberto Formigoni è stato sfiduciato dagli elettori in Lombardia. Ma questo non significa che dall’altra parte per forza si sia pronti ad essere convincenti. Partire da qui sarebbe un buon punto per qualcosa di veramente diverso. Ora studio e vediamo di andare più a fondo. A dopo.

Villa Reale è anche mia!

In tempo di affittopoli nella Lombardia della privatizzazione al potere succede di tutto. Succede che con poche centinaia di euro ti ritrovi con uno spazioso appartamento in una delle zone più prestigiose di Milano oppure succede che il fu PAT (Pio Albergo Trivulzio) diventi l’acronimo di Parenti Amici e Tangenti. In Lombardia c’è una vasta cittadinanza che tutti i giorni combatte per stare al passo con la dignità e un’altra (nemmeno troppo) sommersa che le regole se le scambia come al tavolo del Monopoli: senza soldi finti però, preferibilmente con i soldi degli altri. Eppure nella Lombardia che rende cavalieri i più furbi oggi c’è un bando che concede il lusso di un esoso e prestigioso scaccomatto all’uguaglianza: 30000 euro per 9000 metri quadrati (un canone da periferia del mondo) con ampio giardino e vista mozzafiato, inclusi qualche secolo di storia e fauna e flora a volontà da tenere tra i gioielli di famiglia. Non importa che quella villa sia il cuore di un parco con duecento anni di storia e che il Piano Regolatore della città di Monza fin dal 1964 recita “nel Parco nessuna nuova costruzione”: oggi a Monza Villa Reale e il suo Parco sono in bella vista nella bancarella per pochi dell’intoccabile (e illegittimo, per firme) Governatore Roberto Formigoni. A controllare l’operazione c’è il braccio lungo “dell’assessorato al cemento” Infrastrutture Lombarde SPA, la società di matrice ciellina attraverso cui passa tutta la cementificazione lombarda. Antonio Cederna diceva che ““tutta l’Italia va trattata come un parco e alla rigorosa salvaguardia dei vailori del suo territorio va rigorosamente subordinata ogni ipotesi di trasformazione e sviluppo: perchè non venga definitivamente distrutta l’identità culturale l’integrità fisica del nostro Paese”, oggi in Lombardia un Parco è come il maiale: non s butta via niente. Come nelle migliori tradizioni padane.

APPELLO AL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA PER LA VILLA REALE DI MONZA

Egregio Signor Presidente,
la Villa Reale di Monza, insieme al suo Parco, rappresenta un gioiello del periodo neoclassico di valore mondiale. Dopo essere stata abbandonata dai Savoia all’inizio del XX secolo è rimasta per la gran parte inutilizzata fino ad oggi, manifestando nel corso del tempo un progressivo degrado solo parzialmente contenuto.
All’inizio di questo anno il Consorzio pubblico che la gestisce – composto da Ministero dei Beni culturali, Regione Lombardia, Comune di Monza, Comune di Milano – ha deciso di affidarne la ristrutturazione e la gestione a un soggetto privato, da individuare attraverso un bando di gara indetto in data 17 marzo da Infrastrutture Lombarde, la S.p.A. che presiede alla valorizzazione, la gestione, l’alienazione e la manutenzione del patrimonio immobiliare di Regione Lombardia.
Questo bando di gara permetterà al privato che lo vincerà:
– Di poter utilizzare le ingenti risorse pubbliche da stanziarsi per un importo di 19 milioni di euro, a fronte di un impegno del vincitore di soli 5 milioni, al fine di ristrutturare il corpo centrale dell’edificio.
– Di predisporre il progetto esecutivo per la ristrutturazione della stessa, senza adeguate indicazioni da parte del Consorzio proprietario.
– Di gestire la Villa Reale per un periodo di ben 30 anni con un canone di affitto di soli 30.000 euro all’anno.
– Di lasciare la Villa Reale in uso al Consorzio pubblico proprietario per soli 36 giorni all’anno, mentre per tutto il resto dell’anno il privato gestirà il complesso di propria iniziativa.

Noi sottoscritti pensiamo che questo bando sia inaccettabile

– Perché cederà un monumento di enorme importanza storica e culturale, e le ingenti risorse pubbliche necessarie per ristrutturarlo, senza adeguate garanzie sul futuro del bene, sui suoi utilizzi e sulla sua fruibilità pubblica.
– Perché questo bando di gara porterà a una ristrutturazione – e non a un restauro conservativo – della Villa Reale, ristrutturazione rivolta principalmente alla sua valorizzazione economica e non al suo recupero come monumento storico, comportando eventualmente anche profonde modifiche strutturali.
– Perché questo bando di gara porterà a una gestione della Villa Reale con lo scopo principale di remunerare l’investimento del privato vincitore e non l’utilizzo del monumento come bene pubblico.
Pensiamo inoltre che le risorse necessarie al restauro possano essere reperite dagli enti proprietari componenti il Consorzio e a esso affidata la gestione senza un intervento privato il cui oggettivo interesse di trarre profitto dai propri investimenti confligge con le esigenze di tutela del patrimonio artistico nazionale garantite dall’art. 9 della Costituzione.
Pensiamo quindi che il bando di gara vada immediatamente ritirato, per individuare una soluzione adeguata, che permetta di restaurare la Villa Reale e di restituirla ai cittadini come museo di se stessa, polo didattico, sede di eventi espositivi di livello internazionale e di alta rappresentanza istituzionale.
Signor Presidente, nel poco tempo che ci separa da decisioni pregiudizievoli dell’integrità e della dignità di un bene tra i più preziosi dell’architettura e dell’arte nazionali, ci rivolgiamo a Lei con fiducia affinché sia fatto ogni sforzo per trovare soluzioni alternative a quella prospettata e la Villa Reale di Monza conservi intatto il proprio patrimonio di  ricchezze architettoniche, artistiche e culturali.

TRA GLI ADERENTI:

Natalia Aspesi
Stefano Benni
Giulio Cavalli
Luigi Ciotti
Lella Costa
Chiara Cremonesi
Enrico Deaglio
Elio De Capitani
Monica Frassoni
Don Andrea Gallo
Giovanna Melandri
Franco Oppini
Giuliano Pisapia
Corrado Stajano
Oliviero Toscani
Walter Veltroni
Nichi Vendola

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