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Leaderismo come se piovesse

Pubblicato su IL FATTO QUOTIDIANO

Questo è un post polemico. Perché ci hanno sempre detto che la politica è “fare” insieme. E studiare le soluzioni, affrontare i problemi, uscirne: insieme.

E allora mi chiedo perché nessuno alzi la manina, in questi tempi di continuo congresso per dirigenti (e senza delegati), a domandare perché, al posto di “insieme”, qui al massimo possiamo avere il privilegio di stare “con” qualcuno e impegnarci alle sue spalle, davanti alle telecamere, a fare ciao con la manina per farci notare. Sempre in attesa della prossima “scia” da succhiare.

A domandare perché tutti parlino dei movimenti fuori dai partiti e l’approccio più elegante sia un basso tentativo di tesseramento. Perché dovremmo scambiare le dinamiche interne di questo o quel partito per processi che realmente incidano su scala nazionale, e intanto non si riesca a capire la linea su quattro o cinque punti banali: la lettera della Bce, la Tav e le grandi opere, il mercato che è la mutanda della speculazione e tutte queste altre bazzecole. Perché assistiamo a grandi convegni su ambiente e consumo di suolo e poi siamo pieni in giro per l’Italia di amministratori che contraddicono le linee generali. Perché siamo tornati alla desolazione di dover sapere “con chi stai” piuttosto che chi sei.

Ci sono punti su cui non si può mediare, ci sono posizioni che dovrebbero avere una convergenza per creare un programma. Perché dall’altra parte almeno sono uniti su impunità, lobby e prostitute, e di qua sembra che sia impossibile accordarci sull’idea che vogliamo avere sulle famiglie.

Quando sono finite le primarie a sbafo qualcuno ci racconta un paio di idee? C’è qualcuno che sa immaginare e raccontare un progetto politico senza imporsi come leader?