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ASSOSEMPIONE recensisce il libro NOMI COGNOMI E INFAMI


Milano – “A Milano la mafia non c’è” Affermava negli anni ’80, al colmo nella Milano da bere (forse aveva bevuto troppo) il sindaco Paolo Pillitteri. Con giuliva cadenza sino a pochi mesi fa anche Letizia Moratti (la mamma del Batman meneghino) scandiva che la mafia “Non appartiene a questa città”, probabilmente non consapevole del fatto che era la città ad appartenere alla mafia.
Nel frattempo con bavosa tracotanza il leghista Maroni dopo avere saturato tutti i mezzi di informazione possibili, imponeva a Saviano, reo di avere detto che esiste la mafia in Lombardia e fa di tutto per “relazionarsi” con chi governa, un suo elenco di “cose fatte”.
“Che la ‘Ndrangheta stesse colonizzando Milano, lo dicevo negli anni ’80. L’ho confermato due anni fa e i fatti mi hanno dato ragione. Ora c’è l’Expo e non so più come dirlo”. Parole di Enzo Macrì, sostituo procuratore nazionale antimafia. Giulio Cavalli di questo e molto altro scrive nel libro, con prefazione di Carlo Caselli, “Nomi , cognomi e infami” (Edizioni Ambiente, pagg. 244, € 16). Giulio Cavalli, con i suoi spettacoli teatrali, documenta da anni con tagliente ironia, la presenza della mafia nella città della Borsa; per questo da oltre due anni vive sotto scorta.
Due distinti capitoli spiegano come nei suoi confronti si sia manifestata una sincera e cosciente solidarietà nelle regioni del sud, al contrario inesistente in Lombardia, sua regione d’origine.
Per non dimenticare l’autore fa riemergere dalla memoria il ricordo di uomini uccisi dalle mafie, come Don Diana, bruno Caccia, Giuseppe Fava e molti altri.
Gli spazi lasciati all’immaginazione sono minimi e quando ci sono sfiorano la poesia, altresì Giulio Cavalli documenta tutto: nomi, luoghi, testimonianze, fatti, come l’elezione del boss Pino Neri a Paderno Dugnano sancita in un centro intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
E’ scrittura palpitante quella di Giulio Cavalli, di rabbia e speranza, di ironia e sentimento, di umanità e perseveranza, sino a fargli affermare che “ridere di mafia è una ribellione incontrollabile”.
Mauro Bianchini
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