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Il pizzo nel DNA

La relazione della Direzione Investigativa Antimafia parla chiaro: “Il ricorso all’usura, unitamente alle pratiche estorsive, è da ritenersi un vero e proprio sistema tipico ed irrinunciabile, utilizzato da tutti i sodalizi per il controllo delittuoso del territorio e strumentale all’applicazione del potere mafioso dell’intimidazione. […] L’imposizione del cosiddetto “pizzo” rimane, dunque, una pratica diffusa, anche per via di una subcultura che valuta, in modo assolutamente acquiescente, la “convenienza a pagare”, rispetto alla minaccia paventata. Di conseguenza, il racket trova quasi quotidianamente nuova linfa, imponendosi come manifestazione radicata nel territorio e costituendo, per le organizzazioni mafiose, una pratica assolutamente remunerativa per l’ingente accumulazione finanziaria connessa”. L’analisi della Rete Antimafia della Provincia di Brescia (sempre attenta e precisa) non lascia dubbi. Come si evince da queste parole il pizzo resta ad oggi una pratica molto diffusa nel mondo criminale, assolutamente pericolosa in quanto in grado non solo di incrementare notevolmente il patrimonio economico dei malavitosi, ma anche di permettere un capillare controllo del territorio. Il fenomeno del racket è da sempre visto come una piaga lontana, un elemento tipico del sud, dove la mafia spadroneggia senza troppo disturbo. I dati dicono:anche in Lombardia.