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Vietato entrare ai zingari

Lo racconta Il Giornale di Vicenza in un articolo a firma di Marco Scorzato: «Vietato entrare ai zingari». Scritto così, con l’errore grammaticale. Un cartello arancione, scritta nera. Messaggio choc. Anche se nella sua interezza recita così: «Siamo spiacenti ma per maleducazione e non rispetto delle regole, vietato entrare ai zingari!» Postilla: «Non per razzismo». Lo choc è quello di chi come noi, ieri mattina, si è imbattuto nel cartello affisso sulla porta dell’Euro Point, un piccolo bazar al civico 8 di contrà XX Settembre. Ci sono clienti che entrano senza batter ciglio, mentre alcuni passanti si fermano a guardare e poi se ne vanno, chi mormorando, chi scuotendo il capo. «L’ho messo io quel cartello, qualche giorno fa», dice candidamente la giovane commessa intenta a servire una cliente. «Il titolare? No, lui passa di qua raramente, anzi, mi ha consigliato di toglierlo, perché dice che così rischio solo guai…». Si chiama Fatima, la commessa, e indossa un berretto nero in lana, un berretto alla moda che le copre tutta la chioma. Parla veloce e con stupefacente spontaneità chiede: «Che dice, lo lascio?». Guarda il cartello, poi fissa negli occhi chi le sta per fare almeno una domanda: quella domanda. Ma allora gioca d’anticipo e parte in quarta. La sua storia inizia così: «So cosa sta pensando, ma non ce la faccio più». Gesticolando, mostra il negozio, le collanine sullo scaffale e il bagnoschiuma su quello opposto. «Vede? Gli zingari passano sempre di qua, entrano in negozio in otto o dieci o anche di più; sono sempre gli stessi e hanno sempre dei bambini con loro, che vanno in giro per il bazar. Io non riesco a controllarli e poi, ogni volta, è sempre la stessa storia: rubano ». Sempre così? Cosa vuol dire «sempre»? «Vengono spesso, non dico tutti i giorni, ma spesso; alcune volte gli adulti si sono fermati a pagare, ma anche in quei casi poi mi sono accorta che avevano rubato qualcosa. Ma era tardi per farsi ridare la merce. Mi è capitato anche di dover abbandonare il negozio, e io sono qui da sola, per inseguirli. Non posso andare avanti così». Indica la vetrina dove ha esposto due manifesti: “Svendita totale, 50% di sconto”. «A fine marzo chiuderemo l’attività, non ce la facciamo. Quando abbiamo iniziato, ad aprile, speravamo andasse diversamente, ma la crisi è forte. Adesso svendo tutto e già così per certi prodotti incasso meno di quanto ho speso per comprarli, ma non posso anche accettare che me li rubino…». E poi, forse per analogia, aggiunge: «Vado e vengo con il bus e sul bus a loro è permesso di viaggiare senza biglietto o di non obliterarlo: ho visto coi miei occhi che gli autisti non li controllano nemmeno». Resta la domanda dell’inizio, comunque inevasa: un cartello che vieta l’ingresso agli zingari è una discriminazione razzista che ricorda un’epoca buia, forse la più buia dell’Italia unita. «So che questo è un luogo aperto al pubblico e so cosa può pensare la gente – risponde Fatima – Ma no, non sono razzista, l’ho anche scritto». Ma crede che basti averlo scritto? «Senta, sono marocchina, vivo qui da 12 anni e so che esistono le regole e io le rispetto. Non sono razzista ma le regole devono valere per tutti. Sennò non dite a me che tratto qualcuno in maniera diversa. Sa una cosa? I miei colleghi non mettono cartelli, ma mi dicono che non li fanno entrare. Cosa cambia?». Fatima Mechal, 20 anni, commessa di origini marocchine: da oggi i vicentini parleranno di lei.

È impossibile parlare del razzismo di oggi se non si ricorda il razzi­smo di ieri. (Gian Antonio Stella)

Noi faremo le nostre proposte sul dovere di arginare i rigurgiti alla prossima agorà di Milano il 3 marzo.