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Un mondo abitabile

Ogni giorno arrivano a Milano city-users in auto (ne entrano circa 800.000) in treno (320.000 persone ogni giorno in stazione centrale), in aereo (37 milioni di passeggeri l’anno) e con altri mezzi pubblici. Si stima che la popolazione diurna di Milano sia circa il doppio di quella residente. Da una parte la città dei residenti, invecchiati, un po’ impauriti e oppressi da problemi di congestione, inquinamento e abuso nei quartieri della movida, dall’altra la città-piattaforma delle funzioni dinamiche della Milano produttiva fatta di ricerca, finanza, moda, servizi avanzati, svago. Abitata questa da pendolari che faticano a raggiungerla nelle code interminabili di auto, nei treni malandati e nei bus spesso sovraffollati. È nella relazione fra queste due città che si gioca la questione dell’abitabilità: oggi la città-piattaforma schiaccia la città dei residenti. Occuparsi di abitabilità significa non pensare a progetti faraonici ma a ciò che può rendere la città accogliente, viva e in armonia, dando la casa ai giovani, ai lavoratori che fanno funzionare la macchina urbana, alle popolazioni temporanee. È necessario occuparsi degli spazi collettivi e dei luoghi della cultura che consentono l’incontro, del verde urbano, della valorizzazione delle aree agricole e naturali, della qualità dell’aria, delle forme e dei luoghi della mobilità, dei mezzi pubblici, della ciclabilità e di un uso delle auto non invasivo, dei servizi di welfare per la popolazione anziana e per l’accoglienza degli immigrati e delle nuove famiglie, di un decentramento vero di funzioni non marginali.

La riflessione di Alessandro Balducci apre una questione che sarebbe incosciente lasciare solo agli urbanisti: l’abitabilità del lavoro, l’abitabilità delle famiglie e l’abitabilità dei diritti e dei doveri sono il percorso obbligato per trovare lo slancio e costruire insieme. Perché l’accoglienza deve essere il nostro punto imprescindibile verso le elezioni che verranno e per gli amministratori che ci sono e che ci saranno. E l’accoglienza è l’ispiratrice di un momento che ci rende tutti migranti, nel passaggio di un’epoca che ha bisogno di reinventarsi e ha l’obbligo di essere includente. Lampedusa è anche nelle famiglie così difficili da costruire, nel lavoratore che rimane sempre più precario di quanto sia il suo lavoro e della famiglia che costa come un privilegio per pochi.

Ogni tanto mi piace pensare che partendo da qui, la Lombardia che ha innalzato i boriosi e gli spericolati a modelli di successo, l’inclusività diventi un punto di forza del nostro fare politica e si rompa il meccanismo che l’ha relegata tra le debolezze irrise dalla Lega e i suoi compari. Forti delle proprie fragilità, come scriveva qualcuno qualche millennio fa, e consapevoli. Un futuro abitabile perché attento ai meccanismi minori che determinano l’uguaglianza: e allora migrare sarà un viaggio verso il tempo che andiamo a prenderci.