Vai al contenuto

Cavalli e l’innocenza di Giulio. “La mafia? Senza politica non esisterebbe”

di Lorenzo Lamperti  (da Affari Italiani)

Giulio Cavalli, consigliere regionale Sel in Lombardia oltre che scrittore e autore teatrale, parla conAffaritaliani.it di mafia, politica e legalità: “Non si deve guardare solo alle colpe  penali, in Italia c’è bisogno di un ritorno a un codice morale. La vera legalità non è quella delle leggi che vengono spostate un po’ più in là ogni anno per salvare il politico di turno”.

Dice la sua su concorso esterno e concussione: “Altro che limitarli, io li rafforzerei. Penso, per esempio, al reato di favoreggiamento culturale”. La mafia che rapporto ha con la politica? “Non esisterebbe senza di lei. E oggi le mafie sono in ottima salute…” E presenta il suo nuovo libro “L’innocenza di Giulio”: “Dire che Andreotti è innocente, significa dire che è innocente tutta l’Italia degli ultimi cinquant’anni. Che cosa mi fa paura? Il pensiero di come sarà ricordato dai nostri figli. Senza le giuste chiavi di lettura non sapranno riconoscere gli Andreotti di oggi”.

L’INTERVISTA

Che cosa ha rappresentato e che cosa rappresenta Giulio Andreotti per il nostro Paese?

“Rappresenta un metodo sperimentato di fare politica. Un metodo che ha dimostrato di produrre grandi risultati, peraltro. Circoscrivere il fenomeno Andreotti a Giulio Andreotti significa un tentativo, in malafede, di personalizzare una storia che invece è tutta italiana”.

Il tuo libro contiene già dal titolo un riferimento al discostamento dalla realtà dei fatti per quanto riguarda Andreotti. Si parla di innocenza quando invece, come scrive anche il procuratore capo di Torino Caselli nella prefazione, i suoi reati sono stati prescritti. Credi che questo sia un elemento sconosciuto ai più?

“Ma sì, credo che se chiedi in giro nove persone su dieci non sanno come sono andate realmente le cose. Il processo parla di fatti storici, documentati. Questi fatti non devono per forza corrispondere a colpe giudiziarie ma sono parte della storia di questo Paese. Il problema però è che sono stati sempre trascurati, perché si è preferito fare la guerra tra schieramenti partitici diversi. Anche qui assolutamente in malafede. Il problema non è se Andreotti sia innocente o colpevole di fronte al codice penale e al codice di procedura penale. Il problema vero è un altro: l’Italia ha voglia di reimparare a esercitare il diritto e il dovere di valutare le opportunità? Cioé, ha voglia di diventare intollerante non solo con gli albanesi e i rom ma anche con i politici inopportuni? Questo libro cerca di risvegliare quel senso. Io non mi permetterei mai di giudicare gli elementi giudiziari, anche perché credo che gli atti parlino già da soli e non abbiano bisogno di commenti. Però dal punto di vista etico e penale secondo me c’è tanto da dire su una politica vissuta come sistema che mette in collegamento pezzi più o meno legali di questo Paese. Su questo la riflessione è dovuta”.

Nel tuo libro parli da una parte di una tendenza a minimizzare certi elementi, come le cattive frequentazioni dei politici e dall’altra invece di un’altra tendenza la quale porta a dire che Ambrosoli “se l’è cercata”. Credi che queste due tendenze siano prettamente italiane?

“Io credo che all’innocenza di Andreotti hanno aspirato in tanti, non solo lo stesso Andreotti. In fondo l’Italia voleva un grande condono. In fondo, se è innocente Andreotti fondamentalmente è innocente l’Italia di questi ultimi 50 anni. Dover riconoscere che il comportamento di Andreotti è risultato inopportuno significa riconoscere che noi cittadini italiani siamo stati un po’ troppo poco vivi, poco vigili”.

Oggi esistono nuovi Andreotti?

“Io ho scritto il libro perché spero che i miei figli conoscano non tanto Andreotti ma che invece sappiano riconoscere gli andreottismi. Non è un tiro al piccione contro Andreotti. E se per andreottismo si intende sedersi a tavola con gruppi più o meno apertamente criminali e considerarli buoni alleati per gestire il consenso sul territorio allora è meglio stare in guardia da questo pericoloso sistema”.

Secondo te come sarà ricordato Andreotti dalla gente comune?

“Ecco, questa è la cosa che mi fa paura. Noi siamo stati molto bravi nella commemorazione, colpevole da una parte e innocentista dall’altra, ma ci siamo dimenticati di esercitare la memoria. Io mi auguro che ai nostri figli rimangano le chiavi di lettura per porsi delle domande sugli Andreotti di ieri e sugli Andreotti di oggi”.

Quali sono i rapporti tra mafia e politica?

“La mafia senza politica non potrebbe esistere. E oggi le mafie sono in ottima salute. Quindi…”

Tu oltre che un attore e scrittore sei anche un consigliere Sel della regione Lombardia. Proprio in queste settimane abbiamo assistito a una serie impressionante di accuse nei confronti di politici del Pirellone. E d’altra parte la presenza mafiosa è sempre più diffusa. Nonostante questo i cittadini del Nord faticano a pensare alla mafia come a qualcosa di concreto. Come si fa a cambiare questo atteggiamento?

“E’ un compito che spetta a tutti. A noi narratori, ma anche a noi politici. Ecco io ho questo conflitto di interesse… ci si riuscirà a cambiare le cose quando l’argomento mafia non sarà un argomento solo per tecnici ma diventerà un argomento dei più, un qualcosa del quale parlano le sciure al bar mentre giocano a carte. La mafia deve essere un argomento che entra nell’ordinario e che tocchi tutti. Così dimostreremo che corruzione, riciclaggio e criminalità organizzata sono le diverse evidenze dello stesso minimo comune denominatore mafioso e assumono forme diverse, anche eleganti, a seconda della regione nelle quali operano”.

A proposito degli intrecci tra mafia e “colletti bianchi”, che cosa ne pensi di un argomento caldo come il reato di concorso esterno in associazione mafiosa?

“Non vado a giudicare le sentenze, però io non solo credo che il reato di concorso esterno debbe essere invece rinforzato, penso anche che bisognerebbe tornare a pensare al favoreggiamento culturale e imprenditoriale alla mafia. Io quindi estenderei la questione a tutti gli ambiti. E poi voglio sottolineare l’importanza del giudizio morale. L’opportunità non è un elemento che si lega al terzo grado di giudizio, ma ne prescinde. L’opportunità è un concetto sul quale in questo Paese è morta gente come Pio La Torre”.

Negli ultimi giorni si è parlato tanto del reato di concussione. Pensi che sarebbe giusto accorparlo a quello di corruzione, rischiando così di pregiudicare il processo Ruby?

“E’ sempre la stessa questione. Io timidamente vorrei parlare di legalità, una parola abusata. Se per legalità intendiamo il rispetto delle leggi anche di quelle non scritte dello stare democraticamente insieme allora mi va bene, ma se parliamo di legalità nel senso di rispetto solo delle leggi scritte in un Paese che le ha spostate ogni mese o ogni anno di un metro un po’ più in là per riuscire a sfamare il potentato di turno allora resto molto perplesso. Bisognerebbe cominciare a essere molto rigorosi: negli atteggiamenti e nelle interpretazioni legislative. Credo che a prescindere dai giudizi della magistratura noi dobbiamo comunque chiederci se in Italia la classe politica e dirigente ha uno spessore etico e morale oppure no”.

Su questi temi come sta operando la giunta Pisapia?

“Mi sembra che abbia alzato l’attenzione e che sia riuscita a trasformare una procedura amministrativa nel germe di una rivoluzione che vuole essere culturale e collettiva”.

Quanto fa paura l’arte alla mafia?

“Caponnetto diceva che il mafioso teme molto di più di essere raccontato piuttosto dell’ergastolo. Di fronte alla