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Legge elettorale: la preservazione della specie

Riprendo due opinioni del dibattito in corso sull’intesa Alfano, Bersani, Casini per una riforma della legge elettorale. Il solito Matteo Pucciarelli su Micromega che scrive:

C’è un’intera classe dirigente che ha pensato e pensa di far politica grazie alle alchimie elettoralistiche, suprema sintesi del dalemismo più spinto, a sua volta originato dal migliorismo di maniera: quello dei tecnicismi, dell’ingegneria istituzionale, strategie e giuristi al lavoro ma non si capisce mai per fare cosa e in nome di quale idea di società.

Il sottoscritto, e con me quasi tre milioni di italiani (un milione e centomila di voti per la Sinistra Arcobaleno; ottocentottantamila voti alla Destra; trecentocinquantamila voti socialisti; quasi quattrocentomila tra Sinistra Critica e comunisti di Ferrando, e mi fermo qui), da circa quattro anni non è (e non siamo) rappresentati in Parlamento. E c’è il rischio di non esserlo anche da dopo il 2013. I nostri voti valgono meno? Le nostre teste non hanno diritto d’asilo? È questa una democrazia reale e compiuta?

Claudio Tito su Repubblica scrive:

La paura di perdere le prossime elezioni. Sembra questo l´architrave su cui poggia l’accordo trovato ieri dai tre partiti della maggioranza che sostiene il governo “tecnico”. Sull’idea che nessuna forza politica – a cominciare da Pdl, Pd e Udc – sia in grado di scommettere sul risultato delle prossime elezioni politiche. Tutti sperano di tenersi le mani libere e ognuno punta a limitare i danni. Lasciando aperta la porta ad ogni soluzione per il dopo-voto. L’intesa preparata da Alfano, Bersani e Casini è soprattutto il frutto di una convergenza di interessi.

E lo dimostra l’idea di tornare a un sistema sostanzialmente proporzionale, cancellando il vincolo di coalizione e assegnando un premio che non determina la maggioranza. Di fronte ad una instabilità, tipica degli ordinamenti e dei sistemi politici transitori, i tre principali partiti si adattano alla “corsa solitaria” e mirano a rimettere tutti ai nastri di partenza nella previsione che nessuno potrà vincere da solo. Proprio come accadde nel 1946 con la legge elettorale per l´Assemblea Costituente e nel 1948 per la prima tornata parlamentare dopo la caduta del fascismo e l´entrata in vigore della Costituzione.

Una convergenza di interessi che consente al Pdl di limitare la probabile – almeno al momento – sconfitta senza precludere la possibilità di ricomporre l´alleanza con la Lega dopo il voto. Nella consapevolezza, peraltro, di non avere un candidato premier sufficientemente forte e autorevole.

Al Pd di mettere definitivamente in soffitta la cosiddetta “foto di Vasto” e l’alleanza con Vendola e Di Pietro. Bersani spera così di contare sulla chance di presentarsi per la presidenza del consiglio senza dover trattare con nessuno la sua premiership e predisponendo un patto successivo con il Centro di Casini.

I centristi, invece, non saranno obbligati ad una scelta di campo preventiva, potranno confidare nel ruolo di ago della bilancia che i sondaggi gli assegnano sempre più e di coltivare il progetto di mantenere Mario Monti a Palazzo Chigi anche nella prossima legislatura (l’indicazione del premier non è prevista in Costituzione e quindi non sarà obbligatorio rispettare le designazioni dei partiti).

Giulio Andreotti l’aveva chiamata “strategia dei due forni” (potete cercarla qui) e quando mi è capitato di leggerne ne ero rimasto basito. Mi chiedevo come potessero essere stati così democraticamente assenti i nostri padri. Oggi quella disastrosa tesi torna e credo che con la riforma del lavoro sia il bivio che debba per forza dividere chi ci sta e chi no. Senza le solite noiose mediazioni per preservarsi e per non disturbare. Perché in una nuova Balena Bianca tinta di arancione passa la voglia di starci e di impegnarsi. Sul serio.

(il titolo è ispirato ad una citazione rubata a Barbara Collevecchio)