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La pazza gioia

In Francia come vedono la questione dei rimborsi elettorali (che doveva essere ridefinita in poche settimane, dicevano AlfanoBersaniCasini scrittituttiattaccati):

Mani Pulite è durata poco
Nel 1981 si verificano le prime modifiche in seguito allo scandalo Caltagirone (bustarelle di un grande costruttore): l’importo dei finanziamenti pubblici è raddoppiato e i partiti sono nuovamente autorizzati a ricevere sovvenzioni. Non vi è alcun obbligo di controllo sulla loro contabilità.

Nell’aprile 1993 inizia la battaglia. Su iniziativa dei radicali, guidati da Marco Pannella e Emma Bonino, con un referendum si mette fine al finanziamento dei partiti. Sull’onda di Mani Pulite il 90,3% degli italiani approva l’abrogazione. Eppure non ci vuole molto tempo –  otto mesi – prima che il Parlamento, nel mese di dicembre, corregga il tiro consentendo ai contribuenti di versare lo 0,4% del proprio reddito ad un partito politico con un discreto beneficio fiscale.
Il totale di queste donazioni ai partiti è inizialmente assestato a 56 milioni poi a 82 milioni.
Nel 1997, i legislatori obbligano i partiti a tenere un bilancio, ma la Corte dei Conti può solo verificare l’esattezza delle spese elettorali.

Due anni più tardi, la legge 157 crea cinque fondi, alimentati da denaro pubblico, per rimborsare le spese sostenute dai partiti per le elezioni politiche, europee, regionali e anche per i referendum.
Nel 2006, i legislatori vanno anche oltre: questi rimborsi, che si aggirano intorno a 193 milioni di euro e sono versati in rate annuali, sono dovuti ai partiti anche se le elezioni anticipate interrompono la legislatura. Questo caso si è verificato nel 2008. I partiti hanno continuato a raccogliere i soldi spettanti per la precedente legislatura e li hanno sommati a quelli ottenuti in seguito alle elezioni del 2008.

Anche i partiti minori che, pur non avendo superato la soglia del 4% per entrare in Parlamento, hanno raccolto l’1% dei voti, hanno diritto ad un “rimborso elettorale”.
In questo modo la formazione di estrema destra La Destra, con una percentuale di voti pari al 2% aveva il diritto nel 2008 a 6,2 milioni di euro, mentre la sua campagna elettorale era costata solo 2,5 milioni.
La Corte dei Conti non può che essere perplessa. Per i suoi giudici, è difficile parlare di “rimborsi”, quando le somme versate dallo Stato sono tre volte superiori rispetto agli importi effettivamente spesi dai partiti per la propria campagna elettorale. Alle legislative del 2008, che hanno visto il ritorno di Berlusconi al potere, i partiti hanno investito complessivamente 136 milioni di euro in spese elettorali, ma hanno incassato 503 milioni. “Ovvero un guadagno del 270%” osserva Sergio Rizzo.

Nessuno partito fa eccezione

Nel corso degli anni, questi rimborsi sono aumentati sempre più. A ciascun partito toccavano 0,35 euro per elettore e per anno nel 1973. Poi si è passati ad 1 euro nel 2001, 2,47 nel 2006 e 4 euro due anni dopo.
A questo dobbiamo aggiungere i contributi pubblici ai giornali di partito: 4 milioni di euro nel 2008 a La Padania, il giornale della Lega Nord. Quasi altrettanto per il quotidiano comunistaLiberazione. Più di 6,37 milioni per L’ Unità, legato al Partito Democratico, ecc…

“Come moltiplicare per 11 il proprio capitale in cinque anni senza correre alcun rischio? Chiedetelo alla Lega Nord ” aggiunge Sergio Rizzo. Nel 2008, il partito autonomista e xenofobo ha speso 3,746 milioni per le elezioni e ha incassato 41,384 milioni dallo Stato, con un incremento del… 218% all’anno. A quanto pare questo non gli è bastato, come provano i gravi scandali che hanno costretto il suo carismatico leader, Umberto Bossi, a dimettersi.
Nessun partito fa eccezione, nemmeno quelli che si proclamano i più virtuosi e si battono per la moralizzazione della vita pubblica. L’Italia dei Valori (IDV), dell’ex giudice Antonio di Pietro, ha incassato nell’ultima legislatura 21,6 milioni di euro (in cinque anni) rispetto ai 4,4 milioni effettivamente spesi. Il PDL di Silvio Berlusconi 206,5 milioni per 68,5 milioni di spese. Il Partito Democratico, unico partito a presentare bilanci “certificati”, 180,2 milioni per 18,4 milioni di spese elettorali.
Non c’è da stupirsi che alla soglia di una riforma di importanza cruciale per le finanze del Paese, le forze politiche sono riluttanti e si mostrano quanto meno prudenti.

L’articolo de Le Figaro qui.