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A chi appartiene lo spazio visivo di una città?

E non sono solo gli eccessi che iscrivono l’argomento nell’agenda dei designer della comunicazione, così come non si tratta, è bene chiarirlo, di una crociata moralista contro la pubblicità, crociata irragionevole quanto irrealizzabile — solo la città di São Paolo, in Brasile, a quanto risulta ha estromesso totalmente la pubblicità dai propri confini ottenendo un risultato curiosamente post-apocalittico con quegli scheletrici tralicci che si affacciano vuoti negli scorci cittadini — piuttosto si tratta di porsi la questione se sia accettabile la sua monopolizzazione dello sguardo urbano.

Un cambio di sensibilità da parte delle amministrazioni sarebbe auspicabile, ma non c’è dubbio che saranno necessari tempi lunghi per scalfire abitudini e interessi tanto radicati. A Firenze, il nuovo Piano Generale degli Impianti Pubblicitari, operativo dall’anno scorso, si muove nella direzione giusta, con il dimezzamento della superficie autorizzata per le affissioni pubblicitarie sul territorio comunale (dagli originari 31.000 mq agli odierni 15.000), ma non si pone il problema di un cambio di marcia rispetto ai contenuti stessi, se non attraverso la richiesta di una rispondenza etica dei messaggio pubblicitari, pretesa tanto vaga quanto di difficile applicabilità, come tanti recenti casi dimostrano.

Eppure una comunicazione diversa non solo è possibile, ma è stata, nel recente passato, uno degli elementi peculiari di crescita partecipativa alla vita democratica del paese. Ripensiamo, ad esempio, a quell’esperienza unica, e tipicamente italiana, che sotto il nome di “grafica di pubblica utilità” caratterizzò l’informazione delle amministrazioni pubbliche verso la cittadinanza negli anni Settanta e Ottanta. Si trattò allora di un progetto d’informazione pubblica basato su una condivisione di ruoli tra designer e amministratori — non un semplice servizio a richiesta — che diede origine a peculiari esperienze nelle città e nelle province d’Italia, pensiamo solo alle esperienze di Massimo Dolcini a Pesaro, di Andrea Rauch a Firenze, di Mario Cresci a Matera.

Una riflessione tra comunicazione e urbanistica di Gianni Sinni per una comunicazione responsabile.