Una riflessione (che sembra così ardita di questi tempi in cui già il consumo di suolo è eversivo nel suo significato politico) di Corman Cullinan sul Corriere della Sera che apre uno scenario di pensiero che può solo portare buoni frutti. Appunto.
C’è una Magna Carta universale che gli umani faticano a riconoscere e però sovrasta qualsiasi Costituzione scritta dagli umani stessi. Cormac Cullinan, socio fondatore della Cullinan&Associates Inc., studio legale di Città del Capo, in Sud Africa, la chiama Wild Law (guarda i dieci punti caldi del pianeta), o legge della natura: «Siamo così abituati a conformarci a un diritto che punta al controllo e allo sfruttamento della natura, che la sola idea che la legge debba piuttosto essere al servizio delle forze naturali ci pare assurda, una contraddizione. Invece, dovremmo riflettere sul fatto che gran parte delle nostre leggi contribuisce alla soppressione della wildness, l’ambiente incontaminato». Insomma, è tempo di ribaltare la filosofia antropocentrica che ha forgiato la giurisprudenza moderna e recuperare quei principi universali che governano l’esistenza di tutti i membri della comunità terrestre.
E per chi già pensa che si uno squilibrio troppo laico rispetto al liberismo che deve crescere senza moralismi Cullinan mostra di avere pesato con attenzione e intelligenza la misura:
Negli ultimi anni, anche grazie alla spinta delle convenzioni internazionali, si è ampliato il campo della cosiddetta «giurisprudenza ambientale». Eppure Cormac mette subito in chiaro che la Wild Law è un’altra cosa: «Le leggi ambientali modificano i sistemi legali esistenti proibendo o limitando la possibilità di danni all’ambiente, per esempio attraverso l’introduzione di permessi per l’attività mineraria, il disboscamento, l’edilizia, l’inquinamento ». Leggi che non contrastano, però, la concezione di base della nostra giurisprudenza, e cioè che il mondo è una collezione di «oggetti» (o risorse naturali) a disposizione dell’uomo. «Le leggi ambientali impongono alcune restrizioni al diritto di proprietà ma continuano a considerare il mondo naturale come una proprietà. In base alla Wild Law, invece, lo scopo del sistema legale non è di permettere agli uomini di dominare e sfruttare gli altri membri della comunità terrestre, con un’attitudine coloniale, ma di mantenere un equilibrio fra gli interessi degli uni e degli altri, garantendo l’integrità dell’intero ecosistema. «Le leggi ambientali sono l’equivalente delle leggi che limitavano il diritto di punizione di un possidente sul proprio schiavo, mentre la Wild Law vuole abolire la schiavitù, cioè impedire all’uomo di trattare la Natura come uno schiavo», sostiene Cormac. Un passo in più anche rispetto ai cosiddetti «diritti animali», perché secondo la Wild Law sono soggetti legali, e quindi detentori di diritti, anche fiumi, montagne, mari, piante… «Il diritto umano alla vita, all’acqua, al cibo, perde ogni significato se l’ecosistema che produce quell’acqua e quel cibo non ha diritti e se la popolazione non può far causa contro chi quei diritti non rispetta». Realtà o utopia? La maggior parte delle attività umane emette CO2. Nel mondo ideale di Cormac, sarebbero tutte illecite? «L’intenzione non è di proibire qualsiasi attività umana che impatti sulla natura. Significherebbe che non potremmo neppure mangiare. Il punto è come impedire agli umani di danneggiare la natura per motivi futili o egoistici. Se riusciamo a costruire auto che non impattano sui sistemi ecologici, non è necessario rinunciare alla guida. Se invece l’industria automobilistica mette a repentaglio la vita delle generazioni future, è meglio spegnere i motori».