Vai al contenuto

Le quote mamme

Conciliare lavoro e famiglia per le donne italiane è una pratica funambolica. Lo confermano gli ultimi dati Istat che disegnano uno scenario ormai noto. C’è uno scarto di 11 punti tra occupazione maschile e femminile in mancanza di figli (76% maschi, 65% femmine) e uno di ben 32 punti con l’arrivo del primo pupo (90% i papà, 58% le mamme occupate). La forbice tra maschi e femmine si allarga con il secondo bambino con solo il 51% delle donne che restano al lavoro (mentre il tasso di occupazione dei papà resta invariato) fino ad aprirsi sguaiatamente con l’arrivo del terzo o quarto bambino (in tal caso è il 34% delle donne a restare al lavoro contro l’85% degli uomini). Il congedo parentale obbligatorio per i papà di tre giorni, un altro degli atti simbolici del Governo attuale, resta un inutile ago nel pagliaio dell’inadeguatezza e totale insensibilità dell’esecutivo davanti alla questione. Perché se è vero che c’è un elemento culturale che vuole la donna italiana relegata nello stilema dell’angelo del focolare, c’è da dire che il tema è tutto fuorché una mera questione familiare. Un ruolo rilevante lo giocano in primis istituzioni – che hanno scaricato totalmente sulle donne la cura di bambini e anziani, e che con la chiusura dei rubinetti alle politiche sociali renderanno la pratica di sostituzione del sistema di welfare a carico delle donne insostenibile – e impresa dove, come afferma la giuslavorista Roberta Bortone sul Fatto quotidiano, “il lavoro è ancora apprezzato in termini tayloriani” e “vige la presunzione per cui un figlio finisce a carico delle cure femminili”.

Un articolo sulla genitorialità per ripensare l’organizzazione sociale. Perché tra questo chiasso di riformismo e riformisti un po’ di modernità, su questo punto, sarebbe una bella notizia.