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Mi hanno promesso la morte, dicono.

Ieri sera ho avuto modo di vedere la testimonianza di Adamo Gasparetto dal sito dell’associazione Sos Racket e Usura e leggere l’articolo a corredo dei video.

Voglio essere chiaro: ho condiviso molte delle battaglie di Frediano Manzi che hanno poi avuto evidenti riscontri investigativi (perché qualcuno finge di dimenticarsele: l’arresto del Prefetto Ferrigno, la vicenda delle case popolari e della signora “Gabetti” e altre, basta cercare in rete). Non ho condiviso alcuni atteggiamenti di Frediano e altre storie. E l’ho fatto non attraverso la delazione sotto voce ma in Procura. Pur conoscendo le difficoltà umane che possono avere alimentato la dissennatezza di alcuni suoi gesti. Ma queste sono cose che qui, ora, non c’entrano se non per il poco spazio di metterle come inciso per evitare che qualcuno mi riproponga una storia che conosco fin troppo bene.

Così come ho conosciuto Adamo Gasparetto. Mi ha raccontato la sua odissea lavorativa e come si sia ritrovato praticamente fallito per amicizie sbagliate. Non sta a me sindacare l’attendibilità. Certo Gasparetto conosceva molto bene la geografia criminale della periferia milanese. Conosceva i nomi, i cognomi e non solo. E anche questo nostro colloquio è stato depositato in Procura che, lo apprendo dal video, non ha ancora ritenuto di convocarlo. Questa l’introduzione.

Gasparetto mi aveva raccontato della promessa di morte di Vincenzo Mandalari nei miei confronti, nei suoi e altri. Non mi aveva voluto specificare i nomi del tramite e altri particolari. Potrà sembrare strano (faccio fatica a raccontarlo anche alle persone più vicine) ma di avvertimenti ne arrivano molti. Troppi, certo. Ma ci si abitua a tutto. Quest’anno abbiamo deciso di evitare che si parlasse delle minacce arrivate. Di tenerle il più possibile tra noi, i carabinieri che mi tutelano da tempo e la Prefettura che si occupa di tutte le valutazioni del caso. So molti dei nomi che stanno dietro ai segnali di sorta. Purtroppo con qualcuno ho avuto modo di avere scambi diretti. Faccia a faccia, come in quei brutti film di para-mafia che tiravano alla tele fino a qualche anno fa.
Ma, l’ho sempre detto, non mi piace la spettacolarizzazione di scorte e minacce, non riesco a non viverla come un dolore troppo intimo per essere prostituito ciclicamente alla notizia e mi sento sempre irrispettoso verso i tanti in prima linea che non hanno luce e (troppo spesso) nemmeno l’adeguata protezione: penso ai testimoni di giustizia e molti altri con cui ho l’onore di condividere amicizie e collaborazioni.

In questo video, però, ci sono luoghi, date, nomi e cognomi. E una frase sinistra che è nel DNA delle ‘ndrine: “farla pagare, senza fretta, un anno, due anni, dieci anni, non è un problema”.
E c’è il chiaro riferimento ad un’intervista che a volto coperto abbiamo fatto ad Adamo Gasparetto. Tra gli intervistatori c’ero anch’io. E nessuno, certo, avrebbe pensato che potessero riconoscerci con questa facilità. Questa volta Adamo Gasparetto ha deciso (finalmente) di parlare chiaro:

Penso che a questo punto sia il caso di chiedere un riscontro a queste parole. Mica per essere tranquillizzato: ormai la paura è un fischio cronico all’orecchio. Riesco a leggere, scrivere, grattarmi e sbagliare comunque con molta naturalezza. E purtroppo il mio mondo è pieno di tanti piccoli Mandalari. Cambia il cognome, l’accento, qualche volta la professione, ma in fondo si assomigliano tutti per la banalità criminale e l’animalità delle minacce.
Ma confido nelle istituzioni perché le responsabilità raccontate in questo video vengano accertate.
Perché è una signora che merita rispetto, anche la paura.