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La Germania archivia Sant’Anna di Stazzema

La Procura di Stoccarda ha archiviato l’inchiesta sulla strage di Sant’Anna di Stazzema: non ci sono documenti che provano la «responsabilità individuale» di 17 persone che erano state accusate dell’uccisione di 560 civili, il 12 agosto 1944. L’indagine era iniziata dieci anni fa: tra gli imputati c’erano dieci ex militari, otto dei quali ancora in vita, condannati all’ergastolo in contumacia dalla Procura Militare di La Spezia nel 2005, per aver partecipato al massacro. E anche Gerhard Sommer, condannato all’ergastolo in Italia, per cui era stata chiesta l’estradizione, negata però dalla Germania. I soldati tedeschi responsabili della strage appartenevano alla 16esima divisione corazzata Reichsfuehrer SS.

Secondo la Procura di Stoccarda, per emettere una sentenza d’accusa nei confronti degli imputati era necessario provare, per ogni singolo imputato, la partecipazione alla strage. E questo non è stato possibile, per la mancanza di documenti. Per la Procura, il fatto che i militari appartenessero alle unità delle Waffen-SS, non basta, da solo, per dimostrare la colpa individuale nell’esecuzione della strage. Inoltre, nonostante i reati di omicidio e concorso in omicidio della strage di Sant’Anna di Stazzema non siano prescritti, per la Procura tedesca non è stato possibile accertare con sicurezza che la strage sia stata un’azione di rappresaglia nei confronti della popolazione civile.

Nella sentenza di archiviazione, si spiega anche che non è stato possibile stabilire il numero esatto delle vittime, perché in quella zona, all’epoca, c’erano molti rifugiati di guerra proveniente da altre parti d’Italia. Secondo i giudici italiani, invece, il numero delle vittime è stato di 560 persone, tra cui 100 bambini. L’eccidio è stato compiuto la mattina del 12 agosto 1944: all’alba, tre reparti delle SS, il gruppo paramilitare del Partito Nazista tedesco, raggiunsero Sant’Anna di Stazzema, un paese in provincia di Lucca, mentre un quarto gruppo chiuse ogni via di fuga dal paese, accompagnati da militari fascisti. (via Il Post)

Ecco perché raccontare storie: per evitare l’archiviazione della memoria o peggio la prescrizione degli eccidi.

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