Alessandro la chiama “principio dell’irresponsabilità” ma il concetto di fondo è lo stesso: gente che ha governato e improvvisamente indossa le vesti dell’opposizione contestando i propri atti di governo, politici da decenni che ci vorrebbero convincere di essere stati illuminati all’improvviso smentendo le decennali opportunità di governare che hanno collezionato in carriera, partiti ripuliti nel giro di una notte, macerie di partiti riciclate in movimenti civici e spartizione di posti e poltrone ancora prima che si siano celebrate (e magari vinte, se qualcuno se ne interessasse davvero) le elezioni.
Faccio una piccola proposta per la campagna elettorale che ci aspetta: non avere paura di parlare di discontinuità e magari praticarla. E costruire un’idea nuova di discontinuità che non abbia bisogno (solo) di cambiare le persone ma di sostituire vecchi metodi e gli antichi balbettamenti. E fare le cose seriamente: chiarire un programma che sia preciso nei suoi punti principali e che già oggi ci dica cosa vogliamo recuperare dalle demolizioni montiane nel campo del lavoro (l’articolo 18 ad esempio), dei diritti e nell’interpretazione dei rapporti di forza in Europa e nell’economia. Allo stesso modo in Lombardia smettere di lambiccarsi su ciò che di buono ha fatto Formigoni e raccontare cosa di diverso siamo pronti a mettere in campo noi.
Perché ogni tanto mi coglie il dubbio che in questa moda di “moderatismo” le diversità che ci impauriscono di più siano proprio quelle di interpretazione politica del nostro Paese. In un mare che assomiglia più ad un brodo in cui tutti galleggiano senza volere spiegare le vele. Galleggiare per trascinarsi alle prossime elezioni da sopravvissuti più che da timonieri. E poi stupirsi dei risultati delle radicalità, magari. E chiamarle populismi. Alla Monti.