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Non hai visto Silvio?

img1024-700_dettaglio2_big_Berlusconi-Santoro-2Me lo chiedono in molti: essersi persi il duello Berlusconi – Santoro evidentemente è una colpa da espiare con dolore per una settimana buona.

Però ho letto Giorgio stamattina sul suo blog e concordo con lui quando dice: credo che il fenomeno di cui parli non abbia evoluzioni significative: credo anzi si ripeta in una modalità sempre identica. Forse, invece, dovremmo domandarci perché lo spirito critico di chi vi assiste non è maturato. E spesso si accontenta della critica sotto forma di un tweet sarcastico, o dello spettacolo stesso cui ha partecipato Berlusconi – uno spettacolo ben impostato, ma che obbediva alle regole stesse del suo sistema.

E già mi ero annotato le sue parole di marzo quando scriveva a proposito del berlusconismo e dell’approccio di questo Paese al berlusconismo:

La domanda è ora se siamo finalmente immuni da questo germe. Io non credo. Che il suo aspetto più ridicolo e grottesco sia sopito non è una buona ragione per ritenere la guarigione avvenuta. Meglio procedere con maggiore cautela.

Quello che sembra ragionevole dire, invece, è che ci troviamo di fronte a un abisso narrativo. La dialettica berlusconismo/antiberlusconismo ad ogni costo è stata svuotata: il palcoscenico appare deserto. Questa è un’ottima notizia: le modalità di lettura del reale saranno costrette a uscire da una gabbia che ci ha inchiodati per anni. Eppure, una nuova strada per raccontare l’Italia del presente è ancora tutta da trovare.

Perché una tossina del berlusconismo particolarmente complessa da smaltire è proprio questa: il disinteresse per la verità. La naturalezza con cui le dimensioni più importanti del discorso pubblico — argomentazione, approfondimento, dialogo — vengono sepolte da tutt’altro: la facile reazione di pancia, l’enfasi ad ogni costo, la legittimazione strisciante dell’egoismo. Tutto questo non è scomparso con il novembre 2011. È ancora lì. Non ci siamo trasformati di colpo in un popolo responsabile, cosciente e pronto a mettere il bene comune di fronte a quello privato.

Abitiamo un Paese che ha alle spalle un’autentica catastrofe dell’immaginario. Il modesto consiglio che si può offrire è quello di non pensare di averla già superata, ma di adoperarsi fino in fondo per superarla realmente.

Gaber diceva di non temere “Berlusconi in sé, ma il Berlusconi in me”. A costo di essere un po’ pessimista, io temo la facile e improvvisa scomparsa di questo “Berlusconi in me” dal palcoscenico delle nostre anime. Essersi sbarazzati di lui politicamente — ah, ma sarà davvero così? — non corrisponde affatto a una liberazione simbolica. Gli ultimi mesi non sono una forma assolutoria per ciò che il berlusconismo — un affare ben più ampio e complesso del singolo individuo — ha determinato.

Per combattere un virus linguistico e morale come questo ci vuole un grosso sforzo. Limitarsi a darlo per morto significa reiterare la solita mancanza d’intransigenza di cui l’Italia ha dato prova nel corso della propria storia: dimenticare rapidamente un passato difficile, invece di farne i conti fino in fondo. Per quanto complesso o doloroso possa essere.

Allora vale la pena rileggersi il libro di Giorgio Fontana “La velocità del buio” e studiare il senso del narcisismo e delle sue infezioni.