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Per l’8 marzo scriviamo alle donne un’altra storia

rectangleL’uomo è cacciatore. 
È da quando ho le orecchie per sentire che questo modo di dire ritorna inesorabile in ogni discorso in cui si voglia giustificare in un uomo l’attitudine all’incostanza sentimentale, l’insistenza ottusa nel corteggiamento o la frustrazione di chi si è visto sfuggire di mano la preda perché lei, rompendo le regole del gioco di ruolo, gli ha imposto un rifiuto netto e non previsto. Lo dicono i padri ai figli e le madri alle figlie; se lo ripetono tra loro gli amici ammiccanti con una pacca sulle spalle e lo mormorano le donne alle amiche con un’alzata di occhi al cielo, tutti con la stessa leggerezza: “he, che ci vuoi fare… L’uomo è cacciatore e la donna è preda”. 
Magari dopo averla detta sorridono. 
Non realizzano di avere dentro alla testa l’associazione micidiale tra seduzione e morte
Fanno finta di non ricordarsi che il cacciatore la preda la insegue per ucciderla.

Le donne in quella frase ascoltano una storia dove si dice loro che essere desiderate implica il rischio di essere uccise. 
Ogni volta che quella frase viene ripetuta, si consolida inconsapevolmente in chi ascolta la convinzione che quello che viene messo in scena a parole sia non solo accettabile, ma faccia addirittura parte della natura della cose: l’uomo insegue, la donna scappa, l’uomo spara, la donna muore, amico: che ci vuoi fare? Il linguaggio comune è pieno di espressioni simili. Chi le usa non pensa ai loro sottotesti, ma questi passano anche se chi li veicola non ne è perfettamente consapevole, perché le parole hanno un grande potere: confermano immaginari, consolidano visioni e generano realtà.

Il numero di donne uccise dagli uomini ogni anno in questo paese parla chiaro: per quanto si cerchi ancora di rubricarli come casi singoli di follia circoscritta, i femminicidi appaiono sempre più chiaramente come un fenomeno culturale, la radiografia di una società maschilista in crisi dove il prezzo della vita delle donne è messo in conto come danno collaterale alla perdita degli equilibri di ruolo. In questo processo di minimizzazione le parole che usiamo per raccontare gli uomini, le donne e le loro relazioni hanno un peso enorme e ancora troppo poco considerato da chi pratica parola pubblica e ha la responsabilità di renderne conto.

Una splendida e appuntita Michela Murgia, come sempre, da leggere piuttosto della mimosa.