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Cosa non insegna la storia: le crisi e gli errori che si ripetono

Marriner S. Eccles fu nominato presidente della Federal Reserve da Franklin D. Roosevelt e ricoprì la carica dal novembre 1934 al febbraio 1948. In questo brano, tratto dal suo libro di memorie “Beckoning Frontiers” (New York, Alfred A. Knopf, 1951) illustra il rapporto tra la distribuzione del reddito e la “Grande Depressione”. Le analogie con la crisi attuale sono numerose. E’ legittimo chiedersi come sia possibile ripetere errori simili ad 80 anni di distanza.

di Marriner S. Eccles

Così come la produzione di massa deve essere accompagnata dal consumo di massa, il consumo di massa, a sua volta, implica una distribuzione della ricchezza – non della ricchezza già esistente, ma della ricchezza corrente prodotta – al fine di fornire alle persone un potere d’acquisto pari alla quantità di beni e servizi offerti dalla macchina economica della nazione.

Invece di realizzare questo tipo di redistribuzione, una gigantesca pompa aspiratrice dal 1929-1930 ha concentrato in poche mani una parte crescente della ricchezza corrente prodotta. Questo è servito all’accumulazione del capitale. Ma sottraendo potere d’acquisto dalle mani della massa dei consumatori, i risparmiatori hanno negato a se stessi l’ammontare di domanda effettiva per i loro prodotti che poteva giustificare il reinvestimento dei loro capitali accumulati in nuovi impianti. Di conseguenza, come in un gioco di poker in cui le fiches sono concentrate poche mani, gli altri partecipanti hanno potuto restare in gioco solo indebitandosi. Quando il loro credito si è esaurito, il gioco si è fermato.

Questo è ciò che è successo da noi negli anni Venti. Abbiamo sostenuto elevati livelli di occupazione in quel periodo, con l’aiuto di un’espansione eccezionale del debito al di fuori del sistema bancario. Tale debito è stato finanziato dalla crescita consistente del risparmio delle imprese così come degli individui, in particolare nelle fasce ad alto reddito, sulle quali le tasse erano relativamente basse. Il debito privato al di fuori del sistema bancario è aumentato del cinquanta per cento circa. Tale debito, a tassi di interesse elevati, in gran parte ha preso la forma di debito ipotecario su case, uffici e strutture alberghiere, credito al consumo, prestiti concessi ai broker e debito estero. Lo stimolo di spendere attraverso la creazione di debiti di questo tipo fu di breve durata e non poteva contare sul sostegno di elevati livelli di occupazione per lunghi periodi di tempo. Se ci fosse stata una migliore distribuzione del reddito corrente – in altre parole, se ci fosse stato meno risparmio da parte delle imprese e delle fasce di popolazione ad alto reddito e più disponibilità per le fasce a basso reddito – avremmo avuto una stabilità di gran lunga maggiore nella nostra economia. Se i sei miliardi di dollari, per esempio, che sono stati concessi in prestito da società e individui ricchi per la speculazione in borsa, fossero stati distribuiti al pubblico in forma di prezzi più convenienti o più alti salari e meno profitti per le imprese e i benestanti, ciò avrebbe impedito o fortemente moderato il collasso economico che ha avuto inizio alla fine del 1929.

Arrivò quindi il momento in cui non c’erano più fiches da dare in prestito. I debitori furono costretti allora a ridurre il proprio consumo, nel tentativo di creare un margine necessario alla riduzione dei debiti in sospeso. Questo, naturalmente, ridusse la domanda di beni di ogni genere e portò a quella che sembrava essere sovrapproduzione, ma era in realtà sottoconsumo, se valutata in termini reali e non monetari. Ciò, a sua volta, determinò un calo dei prezzi e dell’occupazione.

La disoccupazione aggravò ulteriormente la riduzione dei consumi, che aumentò ulteriormente la disoccupazione, chiudendo così il cerchio in un continuo declino dei prezzi. I guadagni cominciarono a scomparire, richiedendo economie a tutti i tipi di salari, stipendi, e tempo degli occupati. E così ancora una volta il circolo vizioso della deflazione si è chiuso fino a che un terzo della popolazione lavoratrice si è trovata disoccupata, con il nostro reddito nazionale ridotto del cinquanta per cento, e con l’onere del debito aggregato più grande che mai, non in dollari, ma misurato in valore corrente e in termini di redditi che rappresentavano la possibilità di ripagarli. Le spese fisse, come le imposte, le tariffe ferroviarie e di altri servizi, le assicurazioni e le spese per interessi, si mantennero vicine al livello del 1929 e richiesero una parte del reddito nazionale tale che l’importo lasciato per il consumo di beni non fu sufficiente a sostenere la popolazione.

Questa, dunque, è stata la mia lettura di ciò che ha portato alla depressione.

(Via Keynes Blog)