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L’antipatico adagio della “sinistra”

Mi chiedono cosa ho intenzione di fare, in politica. Sì, bello, bravo, mi dicono, sei stato bravo e bello ma cosa sei e ancora meglio cosa vuoi essere? La politica è una cosa seria quando serve ad alleggerire l’oppressione degli oppressi ma diventa un esercizio dialettico nei salotti romani. Un reality dove l’isola è il parlamento e le facce vendono sempre più delle idee. E poi sbuca sempre prima o poi (appena un secondo prima della proposta dell’aperitivo) la “sinistra”. Dici “sinistra” di questi tempi e sei già stimabile di tuo perché hai il coraggio di pronunciarla senza eccezioni di parte. Tempi bui questi in cui una parola si porta con sè un bagaglio intero di pregiudizi.

C’è stata la sinistra responsabile che voleva dimostrare di avere la maturità di stare al governo. E ne è uscita (mio dio con che eleganza però, eh) un secondo dopo il governo appena impastato e fatto.

C’è la sinistra dura e pura che a forza di essere puramente dura e duramente pura ha finito per allearsi con quei quattro aspiranti confindustriali che stavano nel partito a forma di piscina gonfiabile insieme a Tonino Di Pietro.

Poi c’è la sinistra di Ingroia che ha voluto essere apartitico con tutti i segretari di partito capilista. Non sarebbe nemmeno servita un’indagine dei vigili urbani per capire che il ricambio era un’ispirazione rimasta bloccata come un nodo in gola e alla fine aveva la forma e l’odore di uno sputo minoritario per sintesi organica.

Poi c’è la sinistra extraparlamentare, extrapotentati che ha finito per essere anche extrasociale come un barricadero intriso di rhum ma simpaticissimo, per carità, come affascina seduti al bancone nessuno mai, mai.

Poi c’è la sinistra del centrcentrocentrosinistra che non vuole cambiare la partita ma vuole cambiare il partito e alla fine vorrebbe convincerci che la loro battaglia sia totalizzante nonostante il recinto. Perché per costruire una sinistra in Italia, ci dicono, bisogna fare che il PD diventi di sinistra. E poi giù con le risate finte come nelle commedie in pellicola incrostata e incerottata degli anni ’50.

Rimane di sinistra qualcuno, sì. Rimangono di sinistra gli anziani seduti al bar che vorrebbero far pagare in modo direttamente proporzionale le tasse come avevano scritto quei tali nella Costituzione parlando di “ognuno secondo la propria capacità contributiva”. Vorresti far pagare quindi i ricchi? Chiedono sdegnati i responsabili del bar ACLI la giù nella bassa provincia di qualsiasi provincia qualsiasi e quelli, responsabilmente alcolici come erano alcolici i compagni qualche decennio fa, dicono che sì, che dovrebbero pagare la crisi quelli che non l’hanno sentita che spesso sono quelli che l’hanno provocata per una disuguaglianza che costa troppo ormai. Ma nessuno li prende sul serio, nessuno.

Poi ci sono i “cantori della sinistra”. Meravigliosi. Aprono un cantiere al giorno e intanto dentro le proprie mutande nominano anche il segretario di circolo. Perché il controllo è tutto, dicono, e poi da lì credono che passi la potenza mentre spariscono nelle percentuali.

Vincono tutti lì dentro il recinto e sono preoccupatissimi di quello che si potrebbe preparare fuori. Mi telefonano allarmati e allarmanti. Perché a lavorare normali, senza commissioni e strategie da caffè, ma lavorare normali con un lavoro che sia di scadenze e cliente e impegni presi non riescono a concepirlo. Proprio no.

Cosa stai facendo? mi chiedono. Cosa hai intenzione di fare, intendo politicamente? Osservo il teatrino della sinistra più mendace e borghese di questi ultimi anni. Poi si vedrà. Come in “via col vento” perché mi vergogno anche solo a citarlo, Berlinguer.